In occasione dl decennale della morte di Claudio Abbado, avvenuta a Bologna il 20 gennaio del 2014, iniziamo la pubblicazione di tutti gli articoli dedicati da Amadeus al grande direttore d’orchestra, protagonista della vita musicale del Novecento e di questo primo scorcio del nuovo secolo.
È stato inevitabile che, fin dal primo numero, la nostra attenzione fosse rivolta al Maestro da poco eletto a una delle cariche più prestigiose: quella di direttore dei Berliner Philharmoniker.

(Aprile 1996 – Amadeus n. 74)

Il futuro e la memoria

di Gian Paolo Minardi

Il legame che il festival «Di Nuovo Musica» ha stabilito con Wien Modern ha trovato anche quest’anno un tramite di grande evidenza nel concerto tenuto da Claudio Abbado con la Gustav Mahler Jugendorchester, e non solo per la particolare lucentezza dell’esecuzione ma pure per i nessi programmatici offerti, che proponevano un incrocio di forte spicco tra le linee che disegnano l’edizione di quest’anno: dove la matrice dello Schönberg espressionista si proietta sullo schermo di un’attualità più prossima a noi, in specie attraverso le opere di Luigi Nono e di Wolfgang Rihm. Un arco tesissimo quello offerto da Abbado, pur nella ampiezza del tracciato, che stabiliva l’avvio nel sibillino torso della Decima mahleriana, il grande Adagio che il direttore ha indicato come straziante ed enigmatico occhio verso il futuro essenzialmente, tenendolo fino allo spasmo, con un colore sidereo e attonito, senza mai volgersi indietro, come per sottrarsi con fredda determinazione alle lusinghe della memoria.
Il filo, pur nella diversa alternanza dell’impaginazione, si tendeva ulteriormente con il tentacolare Lied der Waldtaube dai Gurrelieder (solista di alto tenore emotivo Waltraud Meier), quindi con il più freddato tessuto corale di Friede aud Erden, come dire, appunto, dell’intreccio, e non l’opposizione quindi, delle due radici, Mahler e Brahms. A far da ponte verso i giorni nostri, in questo mirato itinerario schönberghiano, era A Survivor from Warsaw (recitante seducente John Shirley-Quirk) che è sempre di insottraibile effetto. E infine l’approdo a Nono, al Nono estremo, con quell’opera che può leggersi, insieme alle altre due che si collegano come trittico ad essa, come il suo testamento, vale a dire Caminantes… Ayacucho, per contralto, flauto basso, organo, due cori, orchestra e live electronics.
Abbado ha seguito passo passo l’intera evoluzione del compositore veneziano, ne ha colto dunque le ragioni profonde che hanno guidato Nono verso una riflessione sempre interiorizzata, iniziata con il quartetto ispirato a Holderlin, vera e propria meditazione entro un universo sonoro dove l’insidia dell’afasia sembra miracolosamente incarnarsi con la leggerezza di una libertà prima d’ora mai cosi impavidamente tentata. E anche in questa occasione Abbado, con la collaborazione di interpreti da sempre impegnati in tale cimento quali il contralto Susanne Otto, i cori di Friburgo e di Radio Lipsia e i tecnici della Fondazione Strobel, ci ha condotti con Caminantes nel cuore di questa sempre più strenua meditazione, dove tutto il passato turbinoso, a volte fin troppo esibito, del musicista, riappare filtrato attraverso una lente deformante che decanta le tensioni liriche fino a farne spaziature estatiche, portate al limite dell’udibilità e pur arricchite all’interno da una vita segreta, un pullulare fonico uscito dall’interrogativo infinito posto dal compositore agli strumenti tradizionali e prolungato verso quelli elettronici quale tramite di un più spaziato paesaggio sonoro.