In occasione dl decennale della morte di Claudio Abbado, avvenuta a Bologna il 20 gennaio del 2014, iniziamo la pubblicazione di tutti gli articoli dedicati da Amadeus al grande direttore d’orchestra, protagonista della vita musicale del Novecento e di questo primo scorcio del nuovo secolo.
È stato inevitabile che, fin dal primo numero, la nostra attenzione fosse rivolta al Maestro da poco eletto a una delle cariche più prestigiose: quella di direttore dei Berliner Philharmoniker.

(Gennaio 1992 – Amadeus n. 26)

Abbado: l’addio a Vienna con la «Messa da Requiem» di Verdi

di Andrea Schenardi

Negli anni della sua presenza alla Scala, Claudio Abbado aveva diretto molte volte la Messa da Requiem di Verdi consegnandola al disco nel 1980 con l’Orchestra e il Coro del Teatro alla Scala. Per niente soddisfatto di quella registrazione, Abbado è tornato a dirigere il Requiem a Vienna in due concerti pubblici registrati dalla Deutsche Grammophon nella splendida e musicalissima sala d’oro del Musikverein con i Wiener Philharmoniker, il Konzertvereinigung Wiener Staatsopernchor e con Cheryl Studer, Marjana Lipovsek, José Carreras a Ruggero Raimondi. Concepito e composto tra il 1873 e il 1874 per commemorare il Manzoni (ma il Libera me conclusivo, anche se non esattamente nella forma attuale era stato composto già nel ’69 per una Messa funebre a più mani mai realizzata, per onorare la memoria di Rossini), il Requiem si sostanzia in una meditazione profonda sulla morte e sul destino ultimo dell’uomo. In esso è un sentimento religioso svincolato dalla rigidità liturgica, da un Credo che la Messa funebre non esige e che Verdi non avrebbe potuto recitare. Un grande affresco a tinte scure che nasce dal silenzio e nel silenzio si spegne, dove si agita un’umanità ora atterrita dal Giudizio universale, ora sbigottita nell’angoscia, ora profondamente rassegnata e supplice in toni di struggente dolcezza.

Abbado ha diretto con una intensità e una concentrazione tali che ogni nota, ogni istante si caricava di un significato determinante. Nella scelta dei tempi, che si direbbe fisiologica, nella resa accurata delle dinamiche, nella «verve» e nel «fuoco» che Verdi pure esigeva dall’orchestra, nella stessa potenza rappresentativa evocata e nei luoghi di più rasserenata dolcezza, Abbado ha compiuto un lavoro straordinario che dice quanto egli sia cresciuto in questi anni in favore di una più libera adesione al discorso musicale, di una comunicatività senza precedenti. Il Dies irae, in particolare, risultava davvero terrificante negli accordi aspri dell’orchestra, nel cromatismo e nella tensione spasmodica del tema con quelle note puntate che sono la metafora della morte e la grancassa in contrattempo «con le corde ben tese» che quasi scandisce la terribilità dell’ira divina. E poi il Tuba mirum e il tema ancora discendente in do minore con le note puntate del Rex tremendae majestatis a figurare la morte non come evento naturale, ma frattura, ictus, incognita verso cui si tende, suscitando un’impressione vivissima nella quale sembrava rivivere la lezione di Toscanini.

La Filarmonica di Vienna, per la quale non bastano gli elogi, è uno strumento che si presta perfettamente al suono e al clima di corrusca vitalità della Messa verdiana.
Il Coro della Staatsoper, istruito per l’occasione da Norbert Balatsch, ha superato ogni aspettativa e si è fatto apprezzare anche in quei luoghi come il Sanctus che sono normalmente giudicati meno riusciti di tutta la Messa. Non del tutto omogeneo è sembrato invece il quartetto vocale. Se le interpreti femminili hanno cantato meravigliosamente (l’ottava bassa leggermente chiara della Studer non ha pregiudicato nulla), Carreras, pur cantando con grande generosità, è stato costretto a spiacevoli forzature, mentre Raimondi è parso non sempre perfettamente calato nella parte (quel triplice Mors, ad esempio, sempre uguale a se stesso non aveva nulla della sbigottita angoscia che ci si attenderebbe). Il risultato complessivo è stato comunque di assoluta grandezza e c’è da augurarsi che il disco, che verrà pubblicato quest’anno insieme ai Quattro Pezzi Sacri, restituisca in tutta la sua evidenza drammatica l’impatto emozionale esercitato nel pubblico che gremiva il Musikverein. Al termine del concerto, spento nel nulla l’ultimo accordo senza misura del Libera me Domine, il pubblico è rimasto significativamente in silenzio per circa quindici interminabili secondi. Poi venti minuti di applausi hanno decretato a tutti, e a Claudio Abbado in particolare, un successo calorosissimo che era anche, un’autentica testimonianza d’affetto e di solidarietà del pubblico viennese per il nostro direttore che, come tutti sanno, ha lasciato definitivamente la Staatsoper.