di Gian Paolo Minardi
(Pubblicato sul n. 2 di Amadeus, gennaio 1990)
Ad Amburgo una semplice cerimonia ha fatto da sfondo alla presentazione mondiale
del nuovo «cd» realizzato dalla Deutsche Grammophon che comprende i due Concerti di Mozart K 466 e K 506
nell’esecuzione del nostro grande pianista con la Norddeutsche Rundfunk diretta da Gordon Garben.
La disponibilità del maestro ha consentito un ampio giro d’orizzonte attorno
ai problemi che maggiormente lo appassionano.
La prima rassicurazione, dopo lo sgomento recato dal drammatico strappo di Bordeaux, nell’ottobre dell’88, quando Arturo Benedetti Michelangeli venne colpito da un gravissimo attacco cardiaco durante l’esecuzione del secondo libro dei Preludi di Debussy, era venuta appena sei mesi dopo dallo stesso pianista con la registrazione di due Concerti di Mozart a Brema. Fu la rivelazione, per noi che abbiamo avuto la fortuna di assistere a quel concerto, di come quella tremenda vicenda, che aveva gettato nello sgomento tanti ammiratori, non avesse lasciato alcuna traccia; non solo, ma il maestro sembrava addirittura essere uscito con una nuova forza da quell’esperienza, a sentire la più penetrante tensione e la pienezza del discorrere che lo guidavano in questa rinnovata esplorazione mozartiana.
Si riannodava così, miracolosamente, il filo di quel discorso che il grande pianista era andato intensificando negli anni più vicini a noi, con risultati ogni volta più stupefacenti dell’ultimo concerto in Vaticano, di quelli di Bregenz nonché della registrazione discografica del secondo libro dei Preludi debussyani, testimonianza impressionante quest’ultima per la vividezza e la perentorietà con cui l’invenzione del grande musicista francese ha trovato un’organica fissazione sonora ben al di là dunque di quel fin troppo insistito abbinamento Debussy/Michelangeli sul filo esclusivo di una raffinata malia timbrica.
La rivelazione dolorosa
E quanto diversa risultasse l’incidenza dello scavo fino ad individuare più intrinseche necessità espressive di quel linguaggio, lo si poteva del resto trovare, con una mirabile circolarità, nella rivelazione dolorosa recata dall’esecuzione della beethoveniana op. 111, nella lancinante tensione strutturale impressa al Primo Scherzo chopiniano e pure nella appassionante rivisitazione delle brahamsiane Variazioni sopra un tema di Paganini.
Ora a recare un’ulteriore affermazione di questo modo così totalizzante di dar vita alle astratte strutture della lingua musicale giungono questi due Concerti di Mozart, quello in re minore n. 20 K. 466 e quello in do maggiore n. 25 K. 503, che hanno trovato una preziosa fissazione nel disco della DG, posto in commercio negli ultimi mesi dell’anno passato. Una testimonianza straordinaria per l’evidenza palpitante che assume la dimensione colloquiale dove, ormai, vi è perfetta integrazione tra significato e significante; dove il pianismo si impregna di una trascolorante qualità sentimentale per farsi poi partecipe di una vicenda sinfonica che in questi Concerti della maturità coinvolgi sempre più il compositore.
Senza sconvolgere il tracciato
Contenuti emotivi che Michelangeli fa suoi, in tutta la gamma screziata che è solo di Mozart, nel convivere di atteggiamenti anche contrastanti nella presenza di quel sorriso spesso enigmatici che decanta le cupezze più incombenti, ma senza mai che tale pressione esistenziale sconvolga la linearità del tracciato.
La grandezza del nostro interprete sta proprio, come in Chopin del resto e come in Debussy, nel riuscire a caricare di tali responsabilità espressive la logica musicale, mantenendone fermo il dominio: in un punto di equilibrio quasi irripetibile ed insieme «eterno» che è appunto la forza intrinseca dello stile. Raggiungimenti che si illuminano di quella strenua coerenza che abbraccia, come un’unica campata, il lavoro di una vita che si è nutrita essenzialmente di riflessione, di integrità, di proficua solitudine e non meno di quella umiltà artigianale che ha impresso al pianismo di Michelangeli una solidità senza confronti.
Sono aspetti, questi, il cui riflesso più incidente abbiamo potuto cogliere dalla stessa voce del maestro, in occasione della presentazione del disco che la DG ha organizzato, invitando ad Amburgo un ristretto gruppo di critici di diversi Paesi. Una circostanza senza dubbio rara, proprio per la riservatezza con la quale Benedetti Michelangeli ha sempre custodito il proprio lavoro; ma questa volta, l’eccezione era motivata anche dalla particolarità dell’avvenimento, quel «ritorno alla vita» che si voleva festeggiare ad un anno esatto dal terribile infortunio di Bordeaux.
Ed ecco allora lo stesso Michelangeli disponibile a parlare di sé, come animato da una nuova fiducia e per la quale, del resto, il disco offre un’affermazione più che eloquente: il tratto sobrio, essenziale, con il filtro di un ammiccante umorismo, appena trattenuto a volte da un velo di malinconia, lascia trapelare il fondo di umanità, autentico, nel toccare alcuni punti del suo lavoro. E sono ragioni impalpabili, legate all’interiorità delle scelte musicali che si intersecano, con una logica essenziale, a motivi pratici e più immediatamente tangibili, connessi allo strumento.
Una grande cura per il pianoforte
A quella cura proverbiale, ad esempio, che gli si attribuisce nella messa a punto del pianoforte; una cosa naturale, sottolinea Michelangeli, che un pianista abbia cura del pianoforte, così come un violinista solitamente la ha per il suo violino: eppure da noi la cosa ha fatto addirittura scandalo. Ma il discorso passa poi alle scelte artistiche, oggetto di riflessione profonda, come quella mozartiana che in questo momento occupa con insistenza i suoi interessi: «prima di morire vorrei suonarlo il più possibile»; e pure sempre rinnovantesi: «non ho memoria – rimarca con sottile gusto provocatorio, in realtà svelando il vero senso del proprio impegno musicale – ed ogni volta riparto sempre da zero».
Tra le varie curiosità che tale inattesa disponibilità del maestro sollecita, si fa strada un tema che rappresenta, per l’arte di Benedetti Michelangeli forse più che per ogni altro interprete, un’insidia crescente: quella della cosiddetta «pirateria discografica» di cui stiamo assistendo ad una crescita inconsulta, agevolata dal fatto che in Italia la tutela del diritto d’esecuzione è di soli vent’anni, al termine dei quali è consentito tutto. È così consentito di mettere in commercio dischi ricavati da esecuzioni estemporanee, registrate con chissà quali mezzi e che del profilo originale non conservano che una pallida parvenza.
Nulla è affidato semplicemente al caso
Benedetti Michelangeli come si sa, non affida mai al caso nessuna esecuzione, a maggior ragione quando si tratta di prolungarne la durata nel tempo per mezzo del disco.
Una lampante dimostrazione in tal senso è quest’ultima registrazione mozartiana, per la quale la realizzazione è stata particolarmente attenta: iniziati i lavori negli studi amburghesi della DG e dopo aver trovato la felice intesa con gli strumentisti della NDR di Amburgo sotto la duttile direzione di Cord Garben, si è scoperto che un’acustica ancor più favorevole la offriva il teatro «Die Glocke» di Brema, dove infatti si è trasferito tutto l’insieme e dove, praticamente, da una seduta «live», quella del concerto pubblico del 7 giugno, ma con alle spalle una lunghissima preparazione , è nato il disco.
Un disco importante perché suggella, pur nella continuità con le limpide testimonianze precedenti, anche l’aprirsi di un capitolo nuovo nella storia del nostro sommo pianista.