di Gaetano Santangelo
L’assonanza tra le parole reflex e riflettere giustifica la scelta del nome di questa rubrica che ho tenuto su Amadeus dal febbraio 2015 al dicembre 2019 quando il mensile, nato nel dicembre 1989, compiva trent’anni.
Ha scatenato un putiferio l’invito rivolto dal ministro Franceschini ai musicisti a esibirsi gratuitamente per celebrare la giornata della musica il 21 giugno. Se l’Italia fosse un paese normale, dove la musica occupa il ruolo che le spetta nell’ambito della politica culturale dovremmo stare dalla parte del Ministro. Se fosse quel Paese che assegna alla cultura il ruolo che tutto il mondo le attribuisce e trovassimo nei responsabili della vita culturale italiana non solo parole, ma fatti, bene, forse ci metteremmo a perorare la causa della musica con un’esibizione gratuita da parte di chi fa per “professione” il musicista. Sì avete letto bene: professione, che non significa divertimento, non significa riposo, ma studio, studio e ancora studio. Per tutta la vita.
Ma, come tutti sanno, non è così. Infatti chi ha studiato nove/dieci anni per raggiungere un diploma che oggi equivale a una laurea, si è perfezionato nelle Accademie, ha inseguito i grandi maestri per ascoltare la verità dalla bocca di chi aveva già percorso l’iter che poco per volta avrebbe aperto le strade della professione di musicista, ha partecipato e magari vinto concorsi e magari è titolare di una cattedra a migliaia di chilometri dalla propria residenza, chi insomma, scusate il termine, si è fatto un paiolo di dimensioni sesquipedali, dovrebbe esibirsi gratuitamente. Ma per festeggiare che cosa? La Musica? Ma signor Ministro loro suonano già gratis. Suonare gratis non è più una novità, ma un fatto quasi normale in Italia.
Alla radio: suoni gratis perché così ti fai conoscere. La registrazione del tuo cd: te la paghi perché con il cd ti fai conoscere. Vuoi partecipare a un evento ripreso dalla tv: devi farlo gratis perché se non sei stato in tv non esisti.
Ora si dà il caso che i musicisti in Italia, se vogliono suonare, si stanno poco per volta abituando a suonare “gratis” perché il cachet, un francesismo, che forse in Francia ha ancora il significato di emolumento per prestazione artistica, in Italia si conosce ormai solo come pillola per il mal di testa. Possiamo permetterci di ricompensare i nostri artisti con un cachet, che non sia solo una pillola?
(Amadeus n. 319 – giugno 2016)