In occasione dl decennale della morte di Claudio Abbado, avvenuta a Bologna il 20 gennaio del 2014, iniziamo la pubblicazione di tutti gli articoli dedicati da Amadeus al grande direttore d’orchestra, protagonista della vita musicale del Novecento e di questo primo scorcio del nuovo secolo.
È stato inevitabile che, fin dal primo numero, la nostra attenzione fosse rivolta al Maestro da poco eletto a una delle cariche più prestigiose: quella di direttore dei Berliner Philharmoniker.

(Aprile 1994 – Amadeus n. 53)

A Berlino, Abbado e la monumentale «Ottava» di Mahler

di Giangiorgio Satragni

La nuova tappa di Claudio Abbado nel percorso di riesplorazione e reincisione delle sinfonie di Mahler coi Berliner Philharmoniker è stata l’Ottava. Lavoro di per sé di grande richiamo, non foss’altro per l’immenso organico, la Sinfonia dei Mille a Berli­ no ha avuto ancora maggior risonanza in quanto punto di partenza di un ciclo letterario e musicale ideato da Abbado, incentrato sulla figura di Faust. Si ascolteranno così a Berlino fino a giugno lavori quali, per esempio la Dannazione di Faust di Berlioz, la Faust-Symphonie di Liszt, le Scene dal Faust di Schumann, con esecutori di rango, come attori di rango saranno impegnati nel filone di prosa; basti dire che Bernhard Minetti leggerà il Faust I, Peter Stein il Faust II in cinque sere e Hanna Schygulla reciterà e canterà testi faustiani. Cultura al maiuscolo, a Berlino, dunque: mentre Abbado dirigeva Mahler, alla Deutsche Oper Gwynet Jones cantava la sua centesima Elektra affiancata da una Christa Ludwig alla penultima apparizione teatrale berlinese. E se pensiamo al numero dei cinefili accorsi in quegli stessi giorni al Festival del Cinema e lo sommiamo a quello dei musicofili convenuti da più parti per queste esecuzioni, si rafforza l’immagine di Berlino come capitale dello spettacolo culturale.
Tornando ai Filarmonici – simbolo musicale della Germania intera e pertanto preservati da pericoli finanziari – e alla sinfonia mahleriana che mette in musica con qualche manipolazione la scena finale del Faust II, diremo subito che l’esecuzione di Abbado si distingueva per la chiarezza formale e l’equilibrio. Le dinamiche erano tarate in maniera che l’acme sonoro si raggiungesse alla fine di ognuna delle due parti, punti ai quali tendevano, in senso finalistico e verticistico, tutti gli elementi del discorso musicale. Nonostante l’organico immenso l’approccio di Abbado alla composizione era improntato a un pensare in senso cameristico applicato sia all’orchestra, con passi toccanti, sia ai cori, di ammirevole duttilità, sia ai solisti. Nulla di tronfio, bandita l’esteriorità: le sonorità erano di carattere «affettuoso» morbide, mentre il fraseggiare improntato ad aerea cantabilità.

Claudio Abbado e i Berllner Phllharmonlker ritratti nella sala della Philharmonie insieme all’imponente organico utilizzato per eseguire l’Ottava Sinfonia di Mahler.

Si trattava, dunque, di un’interpretazione sotto il segno dell’interiorità, e ciò non sta a dire che la partitura veniva livellata a un medium espressivo e che a essa venivano spezzate le punte (ché sarebbe l’esatto contrario di quanto avvenuto), vuol dire piuttosto che ogni cosa aveva un senso perché profondamente sentita da Abbado, che l’atto esecutivo era naturale compimento di una intima meditazione. I passi del tutti in forte non avevano il tratto del gratuito trionfalismo, ma portavano in sé la necessità di esprimere una gioia tutta interiore. La prodigiosa acustica della Philharmonie esaltava l’esemplare lettura di Abbado, trasparente come il vetro e scorrevole come l’acqua. Assieme ai Berliner Philharmoniker prendevano parte al1’esecuzione il Coro della Radio di Berlino, il Coro Filarmonico di Praga, il Tolzer Knabenchor e una schiera di solisti più o meno famosi che citiamo assieme non per essere sbrigativi, ma perché tutti erano fedeli realizzatori delle idee di Abbado: i soprani Cheryl Studer, Sylvia McNair, Andrea Rost, i mezzi Anne Sofie von Otter e Rosemarie Lang, il tenore Peter Seiffert, il baritono Bryn Terfel, il basso Jan-Hendrik Rootering. È forse superfluo dire delle ripetute ovazioni tributate agli artisti da un foltissimo pubblico.