In occasione dl decennale della morte di Claudio Abbado, avvenuta a Bologna il 20 gennaio del 2014, iniziamo la pubblicazione di tutti gli articoli dedicati da Amadeus al grande direttore d’orchestra, protagonista della vita musicale del Novecento e di questo primo scorcio del nuovo secolo.
È stato inevitabile che, fin dal primo numero, la nostra attenzione fosse rivolta al Maestro da poco eletto a una delle cariche più prestigiose: quella di direttore dei Berliner Philharmoniker.
(Febbraio 1999 – Amadeus n. 111)
«Tristan und Isolde»: il maggior trionfo di Abbado a Berlino
di Klaus Geitel
Questo «Tristano» in forma concertante, eseguito dai Berliner Philharmoniker sotto la direzione di Claudio Abbado, che non lo aveva mai diretto prima, ha destato tali aspettative che la sua unica esecuzione – lo spettacolo sarà rappresentato a Salisburgo al Festival di Pasqua – ha richiamato pubblico dalla Germania e dall’estero, ed è stato necessario trasmetterla per televisione sui monitor installati nella Kammermusiksaal, la Sala per la musica da camera adiacente alla Philharmonie. Al termine si sono scatenate ovazioni entusiastiche, come non capitava più da tempo. Lo spettacolo ha fatto registrare il maggior trionfo ottenuto finora da Abbado a Berlino.
Innanzitutto: i Filarmonici, sotto la sua direzione, hanno suonato in questa serata ambiziosa e riuscitissima come se si trovassero a una parata orchestrale. Abbado aveva spostato in avanti, alla sua sinistra, gli archi più bassi, per cui dove normalmente, dal punto di vista musicale, domina il primo violino, in questo Tristano, sedevano le viole, dietro le quali erano piazzati i violoncelli e i contrabbassi. È bastato già questo a dare all’esecuzione il tono cupo della notte eterna di cui canta l’opera, accompagnata in questa eccezionale occasione dalle voci straordinariamente vibranti di tutta l’orchestra. Abbado ha ricreato musicalmente il Tristano di Wagner partendo da una profonda conoscenza della ricchezza artistica della partitura e penetrando coraggiosamente nella densità di sentimento della composizione. Sotto la bacchetta di Abbado, i versi di quella che è la più grande poesia d’amore di tutta la letteratura musicale mondiale hanno cominciato a rimare, battuta dopo battuta, in modo nuovo.
Il pubblico è quasi impazzito e di atto in atto ha acclamato sempre più calorosamente il direttore e l’orchestra, fino ad arrivare alle standing ovations. Lo spettacolo si giovava ii un accenno discreto di messa in scena, a opera di Klaus Michael Grüber, esteticamente molto valida e ad esso assai congeniale, fatta di semplici entrate in scena, uscite di scena e movimenti delle mani, che però riuscivano a essere eloquenti e al tempo stesso a stimolare la fantasia. L’esecuzione ha segnato così una svolta attesa nell’interpretazione di Wagner, liberando la visione musicale wagneriana dalle assurdità degli strapagati registi di moda, restituendo letteralmente alla musica, con forza, la sua onnipotenza. Ben Heppner ha cantato nel ruolo del protagonista maschile con un’abbondanza mai udita prima di pianissimi, soprattutto nel terzo atto, senza per questo togliere assolutamente nulla all’immenso slancio vocale richiesto dalla parte. Deborah Polanski è stata in tutto e per tutto la «nobile signora» della storia d’amore, che non ha bisogno di filtri per abbandonarsi alla passione, e ha espresso con il suo canto un desiderio infinito e struggente. Il basso Matti Salminen è stato un Re Marco possente e doloroso. Ha suscitato sensazione, nella parte di Kurwenal, Albert Dahmen, un vassallo di Tristano dalla voce altrettanto nobile; viceversa, Marjana Lipovsek come Brangania non è stata del tutto all’altezza delle esigenze vocali della parte. Reiner Goldberg come Melot si è dimostrato il più convincente – dal punto di vista vocale – di tutti i traditori di Tristano.