di Gaetano Santangelo

        L’assonanza tra le parole reflex e riflettere giustifica la scelta del nome di questa rubrica che ho tenuto su Amadeus dal febbraio 2015 al dicembre 2019 quando il mensile, nato nel dicembre 1989, compiva trent’anni.

Dicono che non ci sono più le mezze stagioni. Di conseguenza anche le stagioni della nostra età hanno perso punti di riferimento certi. Risulta infatti difficile stabilire a che età un interprete non è più giovane. È certo che con i parametri attuali la giovane età dura di più. Per la stessa ragione anche l’età della pensione si è spostata in avanti o (esodati docent) è svanita nel nulla. In campo musicale, lasciando da parte gli enfant prodige, sorge spontanea una domanda: quando un giovane interprete finisce di essere giovane per essere solo un interprete? Dove collochiamo quelli, per intenderci, che sono usciti vincitori da competizioni internazionali da molti anni e quelli che hanno già intrapreso la carriera concertistica dimostrando di avere tutti i numeri per emergere dalla palude che diversamente potrebbe diventare una trappola da cui è difficile uscire? Non sono a tutti gli effetti interpreti? Il trentenne che ha appena concluso una tournée internazionale è sì un giovane interprete, ma è ancor più un artista che sta facendo carriera. Il fatto che in Italia sia ancora sconosciuto, o quasi, può giustificare che lo si consideri ancora giovane anche se sfiora anagraficamente i quaranta? Non è per caso un alibi volto a giustificare la nostra ignoranza? In un paese come l’Italia dove c’è scarsa cultura musicale il giovane interprete farà sempre più fatica a imporsi, di conseguenza anche l’età per entrare tra gli artisti dove all’aggettivo giovane si sostituisce l’aggettivo grande o prestigioso si sposta in avanti. Egli continuerà a essere un giovane interprete in attesa che il terreno che si trova davanti si liberi dai mostri sacri che occupano ancora la scena e, come è giusto, non hanno nessuna intenzione di farsi rottamare. Tra le cause che determinano questo stato di cose ve n’è una di fondamentale importanza: in Italia manca uno degli elementi trainanti per la carriera di un musicista, manca un’industria discografica degna di tal nome.
Le cause sono molteplici, ma la più importante è sicuramente quella che deriva dalla scarsa educazione musicale, che rende un deserto il mercato della musica nel Paese che alla musica ha dato i natali. Poi forse c’è un’altra inconfessata ragione: finché sono “giovani”, si possono anche pagare poco.

(Amadeus n. 314 – gennaio 2016)