di Gaetano Santangelo
L’assonanza tra le parole reflex e riflettere giustifica la scelta del nome di questa rubrica che ho tenuto su Amadeus dal febbraio 2015 al dicembre 2019 quando il mensile, nato nel dicembre 1989, compiva trent’anni.
Franco Fayenz, titolare da sempre della nostra rubrica dedicata al jazz, è firma autorevole per la sua lunga militanza, praticamente una vita, in qualità di storico e critico di una delle forme d’arte musicali più rivoluzionarie del XX secolo. Quando siamo nati (sia Fayenz che il sottoscritto) il jazz si trovava nella fase che corrisponde più o meno all’adolescenza. È grazie al jazz, che cresceva insieme a noi, e all’amore per la musica che molto più tardi ci siamo incontrati ed è iniziata una collaborazione ultraventennale. Gli anni sono passati e il jazz, recentemente ha festeggiato un secolo di vita, documentato come era inevitabile più dai dischi che dalle partiture. Tutto ciò avveniva sotto gli occhi degli storici e degli studiosi tanto che del jazz possiamo supporre di sapere quasi tutto, salvo verificare che questo “quasi tutto” è avvolto nella leggenda.
Si sa per esempio che si scrive “jazz”, ma non siamo certi della pronuncia, si sa che il termine “jazz” apparve per la prima volta sulla carta stampata nel numero del 6 marzo 1913 del quotidiano “The Bulletin”, ma nessuno sa spiegarne con certezza l’origine, si sa che il jazz ebbe più di un padre ma il più accreditato sembra essere Buddy Bolden, che suonava la cornetta, ma di lui non abbiamo testimonianze registrate, si sa che uno dei primi successi, King Porter Stomp è del 1906 e si deve al pianista Jelly Roll Morton, che si attribuiva, anche lui, la paternità del jazz… Una cosa è certa: si tratta di uno dei momenti musicali più importanti del secolo scorso entrato a pieno titolo a far parte della storia della musica. A testimoni di queste affermazioni possiamo citare i nomi di alcuni tra i grandi compositori che se ne sono serviti: Stravinskij, Ravel, Poulenc, Milhaud, Gershwin, ma quest’ultimo è un caso a parte. In senso opposto, ispirandosi al classico, operarono Oscar Peterson, Dave Bruebeck, Modern Jazz Quartet … Gli esempi sono così numerosi che è impossibile ricordarli tutti. Di fronte a tali premesse, avrebbe potuto Amadeus ignorare il jazz? Considerato che gli intrecci si sono fatti sempre più intensi, grazie a Keith Jarrett, Uri Caine, Paolo Fresu, Enrico Pieranunzi, Stefano Bollani e molti altri.
(Amadeus n. 304 – marzo 2015)