In occasione dl decennale della morte di Claudio Abbado, avvenuta a Bologna il 20 gennaio del 2014, iniziamo la pubblicazione di tutti gli articoli dedicati da Amadeus al grande direttore d’orchestra, protagonista della vita musicale del Novecento e di questo primo scorcio del nuovo secolo.
È stato inevitabile che, fin dal primo numero, la nostra attenzione fosse rivolta al Maestro da poco eletto a una delle cariche più prestigiose: quella di direttore dei Berliner Philharmoniker.
Roberto Verti ancora sul concerto di Ferrara del 1990.

(giugno 1990 – Amadeus n. 7)

A Ferrara Abbado dirige lo storico ritorno in Italia dei «Berliner»

di Roberto Verti

Avrete certamente letto tutti del ritorno in Italia dei Berliner. Un ritorno dopo diciannove anni d’assenza che suonavano un po’ punitivi, come se il nostro Paese non fosse degno dell’orchestra che è stata di Herbert von Karajan. E in realtà, è difficile mettere in dubbio che, per qualche verso, non abbiamo goduto appieno di quella dignità. Ma le cose mutano, s’evolvono: e il mondo della musica è instabile, irrequieto, pronto a seguir di continuo nuovi percorsi: alla musica non s’addice la certezza. E quindi, dopo il falso allarme d ‘autunno, e all’indomani dell’investitura di Claudio Abbado, i Berliner hanno suonato in Italia. Non in una sede riconosciuta, storica, se volete, bensì a Ferrara, che qualcuno s’è subito affrettato a definire per questo «Capitale della musica italiana», ma che tale non è e non sarà mai, mentre è invece città di grande e bellissima storia culturale, città d’arte tra le più belle d’Europa, città una volta tanto prontissima per l’attenzione dei suoi amministratori e per l’intervento generoso di sponsor importanti, a cogliere una buona, eccellente occasione di musica dopo averne intelligentemente costruite le premesse.
Queste premesse – i lettori di Amadeus già ne sono informati – significano Ferrara Musica, il comitato misto pubblico e privato che dalla scorsa primavera si occupa di organizzare le tranche italiane del lavoro di preparazione della Chamber, di cui Ferrara è divenuta una delle quattro sedi di residenza europee. Nata da un nucleo di musicisti usciti per ragioni d ‘età dalla Ecyo, la Chamber Orchestra of Eu rope è uno dei risultati dell’appassionato, instancabile lavoro di Abbado con i giovani. Al suo secondo anno di residenza italiana, inaugurato con il concerto dei Berliner, la Chamber Orchestra of Europe ha in programma dopo i quattro concerti di aprile un quadrifoglio autunnale di notevole interesse: Heinz Holliger direttore e solista l’11 e il 14 ottobre, e ancora sul podio il 17 ottobre con il pianoforte solista di Radu Lupu; Claudio Abbado per il concerto di chiusura il 10 novembre, in accoppiata con Roberto Benigni, per un’edizione di Pierino e il lupo di Prokofiev affidata anche al disco.
La sera del 31 marzo, nel Teatro Comunale di Ferrara, Claudio Abbado ha voluto portare testimonianza del suo insostituibile contributo alla cultura della musica. Abbado è il fulcro di Wien Modern, un festival creato in una capitale della musica europea anche, e forse soprattutto, per far capire che l’esiziale frattura tra avanguardia e storia, tra modernità e repertorio deve essere superata e dimenticata (e in Italia più che altrove questo segnale andrebbe raccolto e interpretato con grande attenzione, più che mai ora, in tempi di pericolosa attitudine consolatoria, di standardizzazione dell’ovvio: responsabili anche coloro che lamentandosi del «ghetto della musica contemporanea» hanno lavorato in realtà per costruirlo e tentare di dorarne le mura).
L’impaginazione del programma, nel concerto ferrarese di marzo, dice cose importanti in tal senso: l’Incompiuta di Schubert in apertura e i Sei pezzi per orchestra op. 6 di Anton Webern a chiudere la prima parte: poi la Settima Sinfonia di Beethoven. Quindi Webern, in posizione privilegiata, al centro di una trilogia viennese. Si è sostenuto che questa decisione di collocare Webern in chiusura della prima parte del concerto e non in apertura, come annunciato in origine, sia stata una scelta motivata, forse, dal timore di eccedere attaccando d’acchito col «Grande Moderno»; al contrario, questa partizione del programma, crediamo, dovrebbe essere letta come atto di coraggio.
Qui, di fronte a questo Webern ancora ricchissimo d’umori viennesi, nel quale in controluce si scorgono nette eredità d’ogni genere e, su tutto, l’anima e il respiro della musica di Vienna, qui Abbado ha regalato pochi minuti di musica, intensi e profondi a tal grado da bastare per l’intera serata, relegando paradossalmente in secondo piano – se concedete l’enfasi – i due capolavori sinfonici che facevano da cornice. Il Webern di Abbado, paragonabile solo a quello di Pierre Boulez quanto a lucidità, supera qualsiasi altra lettura weberniana per la sottile, raffinatissima capacità di collocare esattamente nel proprio ruolo storico e linguistico l’opera dell’autore viennese. Benché, com’è noto, finora non assidui del repertorio novecentesco, i Berliner hanno risposto da par loro alle sollecitazioni del maestro milanese, spiegandoci una volta di più, se ve n’era bisogno, che Webern s’addice solo alla grande lettura (pena il rischio di farlo parere un post-weberniano).
Per l’inaugurazione della stagione 1990 di Ferrara Musica il Teatro Comunale si è dotato una nuova camera acustica. Il risultato, sul quale invero è difficile dare valutazioni certe sulla scorta di un unico concerto (per di più affidato a un’orchestra capace di un volume di suono inusuale), è parso buono anche se non perfetto, passibile di correzioni, ammesso che esse si possano efficacemente effettuare, per smorzare la tendenza a enfatizzare con qualche asprezza nei forti e fortissimi e soprattutto quando sono coinvolti gli ottoni, mentre una resa eccellente s’è colta nella risposta al fraseggio ampio degli archi.