di Carlo Delfrati
Amadeus n. 5 aprile 1990: ha inizio la pubblicazione della rubrica “Le Parole della musica” a cura di Carlo Delfrati, uno dei maggiori esperti in didattica musicale e autore di diffusissimi corsi per le scuole medie.
Con questa rubrica si è cercato di chiarire il significato di alcuni dei più frequenti (ma anche dei più insoliti) termini usati dagli addetti ai lavori.
La rubrica Parole della musica si protrae fino al n. 73 del dicembre 1995 e viene sostituita dalla rubrica Scuola cui farà seguito il supplemento ScuolAmadeus.
Come si compone un’ouverture? A sentire Rossini, basta aspettare la sera prima dell’andata in scena dell’opera, o addirittura la mattina stessa, come gli accadde per La gazza ladra, quando fu imprigionato dal rettore, con la consegna ai sorveglianti di buttare dalla finestra le pagine di musica ai copisti, via via che il compositore le scriveva. Data la giusta tara al racconto di Rossini, la sua ouverture continua l’antica tradizione barocca: un brano orchestrale introduttivo all’opera ma pressoché indifferente a quel che nell’opera succederà. oppure, a suo modo, l’ouverture rossiniana è perfettamente coerente con lo spirito dell’opera: fin dalle prime battute orchestrali Rossini rivela la «distaccata» ironia nei confronti del comico, insensato agitarsi dei personaggi dell’«orrida fucina» della vita. Il suo secolo la pensava diversamente. L’ouverture doveva già dare un’idea del clima espressivo dell’opera, anticiparne lo spirito, la morale… Il modo più immediato, per il compositore, era quello di ricorrere a temi presi dal1’opera, ossia al materiale stesso dell’azione drammatica. Così fanno Gounod e Offenbach, Bellini e Verdi, e così fa Wagner, che dell’opera italiana e francese è il più aspro critico. Naturalmente Wagner non protesta contro la ripresa, nell’ ouverture italiana o francese, dei temi del1’opera. Wagner tuona – lo accennavamo nel numero scorso – contro l’ouverture pot-pourri di cui trovava il prototipo nella Vestale di Spontini: quella in cui il compositore si limita a «raccogliere i singoli passi di maggior effetto nell’opera… secondo la loro piacevolezza, e allinearli in una ordinaria sequenza». Quale l’alternativa, per Wagner? Una costruzione musicale retta da una logica «autonoma»: e ne offrirà di lì a poco un esempio nel Tannhäuser. Il punto di riferimento era la Leonora, la terza delle ouvertures scritte da Beethoven per il suo Fidelio: «ben lontana dal costituire soltanto un’introduzione musicale al dramma, ce lo presenta già più completo e impressionante di quanto ce lo presenti la susseguente discontinua azione». Beethoven vi conciliava due esigenze: anticipare il dramma, darne una prefigurazione musicale, e al tempo stesso costruire un discorso musicale autosufficiente. Per un compositore tedesco fra Sette e Ottocento, a garantire l’«autosufficienza» non poteva che essere la «logica sonatistica», il principio della forma-sonata, con la sua articolazione di esposizione-sviluppo-ripresa, e con i suoi relativi schemi tonali. In formasonata sono la Leonora e l’ouverture del Franco cacciatore di Weber, così come tendenzialmente ogni ouverture operistica tedesca.
Quello che a Wagner, erede-eretico di quella tradizione, doveva fatalmente sfuggire, era la possibilità di «matrici», di «logiche» diverse. Come quelle esibite appunto dalle «ouvertures pot-pourri». Basta confrontare due esemplari illustri di questa logica, le ouvertures verdiane del Nabucco e della Forza del destino. Verdi le costruisce entrambe cucendo insieme esclusivamente temi che torneranno nel corso dell’opera. Ma non li sceglie né li concatena a caso. L’obiettivo di Verdi è di esibire da subito il violento e insanabile contrasto di passioni che percorre entrambi i drammi. Le differenze tra le ouvertures dell’opera giovanile e di quella matura sono ancora più significative delle affinità. Nel Nabucco Verdi preleva dall’ opera quasi solo motivi cantati dal coro; motivi che si rifanno a momenti «positivi» della vicenda (per
esempio il «Va’ pensiero) si alternano – cozzando – con i motivi «negativi» («Il maledetto non ha fratelli»); l’inizio è una preghiera; la conclusione è trionfante: il bene trionfa sul male … Nella Forza del Destino i temi prelevati sono le melodie cantate dai protagonisti; e solo dai protagonisti «positivi» (Alvaro, Leonora, Padre guardiano); anche qui una preghiera, quella di Leonora, ma posta ora al centro dell’ouverture, e sublimata nella chiusa. Ma la novità più consistente è il continuo ritorno del motivo iniziale, simbolo di quel tragico. Destino che attraversa le aspirazioni dei protagonisti all’amore, al perdono, alla gioia… Lontanissimo il mondo espressivo di Verdi da quello di Wagner, le sue ouvertures ne sono inevitabilmente lontane nella struttura e nella logica complessiva.
Una precisazione doverosa sui termini, quasi un piccolo colpo di scena… lessicale. Per semplicità abbiamo usato sempre la parola ouverture: come parola-ombrello, per indicare ogni musica «preparatoria». Ma non è sempre così che fanno i musicisti. Anche se la parola francese d’uso normale nel lessico musicale italiano, ce n’è un’altra, ancora più usata, e che in certo qual modo ne è la traduzione musicalmente più corretta: la parola sinfonia. Proprio questa parola, è impiegata là dove ci aspetteremmo di trovare ouverture, o introduzione, o magari preludio. Ma non c’è da stupirsi. Sin fonia, cioè «suono di strumenti diversi», è proprio la musica che introduce cerimonie e spettacoli: potrà ben introdurre uno spettacolo musicale! E proprio «Sinfonia» troviamo scritto in testa alla maggioranza delle ouvertures operistiche italiane fino all’Ottocento. Ma capita anche che i termini siano usati l’uno per l’altro. In Verdi, ouverture e sinfonia stanno per pagine complesse, ricche di temi diversi. L’una o l’altra parola, indifferentemente: per esempio chiama ouverture il brano strumentale con cui inizia la Luisa Miller, ma chiama sinfonia quelli analoghi del Nabucco, dei Vespri siciliani, della Forza del destino. Quanto a preludio e a introduzione, Verdi li usa in situazioni diverse. Naturalmente, come sempre avviene nelle pratiche linguistiche, la distinzione di un autore non vale necessariamente per un altro.
Vedremo quanti diversi territori hanno attraversato le parole introduzione, preludio e, beninteso, sinfonia.
(Amadeus n. 73 dicembre 1995)