Testimonianza raccolta da Myriam Anissimov
(Pubblicato sul n. 6 di Amadeus, maggio 1990
Copyright Le Monde de la Musique)

Filosofo, teorico, guru, Sergiu Celibidache è molto più che un direttore atipico:
lo ha testimoniato l’atmosfera quasi religiosa dei suoi recenti concerti
all’Opéra Bastille.

IL SUONO
La musica non è di natura statica. Non esiste come un Dasein Zustand, uno stato definito. È sempre in divenire, senza mai raggiungere una forma d’esistenza definitiva. Dove si trova la Settima Sinfonia di Brukner? Nella partitura? Questa non è che una traccia, una stenografia che ci permette, seguendola, di far vivere la musica. È un modo per utilizzare il suono. Ma la musica non è il suono. E tuttavia senza di questo non può materializzarsi. Il suono può diventare musica se sussistono alcune condizioni. Il suono, che è in primo luogo un fatto fisico, può portarvi fuori da qualsiasi contingenza fisica. Ogni desiderio di comprendere e di godere le relazioni fra i suoni e il loro legame con il mondo affettivo umano può essere trasceso. Detto questo, l’attaccamento dell’uomo al suono non è di natura simbolica come il linguaggio, ma è diretto. Il suono occupa una posizione speciale nella struttura sensoriale dell’uomo. Io non conosco una strada più breve del suono per arrivare alla trascendenza.

LA TRASCENDENZA
Quando dirigo, io non faccio della musica. Creo le condizioni affinché la gente possa trascendere il suono. Non vi è trascendenza senza appropriazione. Quando sono davanti a un’orchestra, sono come uno scultore davanti a un blocco di pietra. Quando ha dato tutti i suoi colpi, resta, per esempio, una testa d’uomo.       Qual è il denominatore comune di tutto ciò che faccio quando dirigo?  Non smetto mai di dire no: «No, no così, è troppo veloce! Non così avete coperto il secondo coro…  Non è il tema, il tema è là. No, no, no», affinché alla fine appaia il «SÌ». Ma il SÌ non sono io a realizzarlo. Io creo le condizioni perché ciascuno possa farsi un’idea del sì. Vi sono tuttavia dei musicisti che non potranno mai modellare un sì. La maggior parte essi hanno ridotto la musica a un’alternanza discorsiva di eventi circoscritti, completamente isolati dal contesto.
Quando una melodia si conclude per esempio, in generale, si riprende la frase un po’ troppo alta, o un po’ troppo bassa. In realtà, bisogna riprenderla esattamente dove l’altra è finita. Ciò è realizzabile, ma nessuno ha la minima idea di cosa sia questo concetto, la Raumlichkeit, la spazialità, se volete.
Se vi sono tre misure suonate al flauto che fanno seguito al coro, come si deve creare l’integrità del passaggio? Alcuni elementi devono essere trovati nella coscienza di colui che li suona. Ed egli deve avere la concezione di ciò che cerca. Quando mi trovo di fronte all’orchestra, sono davanti a una molteplicità d’informazioni. Qual è la tendenza, qual è l’unico oggetto che il mio atto di volontà dovrebbe seguire?  Quello di ridurre questa molteplicità a un’unità qualsiasi. E la riduzione non è intesa come perdita o eliminazione.

 IL LINGUAGGIO
Taluni affermano che la musica è un linguaggio. È, in realtà, il contrario di un linguaggio. Non esiste un concetto in grado di definirmi l’albero. Esistono milioni di alberi, e, attraverso il concetto parlo di volta in volta di tutti e di nessuno. Mentre in un do maggiore, non v i è nulla di equivoco! Se vi tocca, vi tocca, altrimenti bisogna metterci una pietra sopra. Coloro che posseggono la grazia di poter percepire l’effetto del suono su se stessi, possono praticare la meditazione.
Forse il linguaggio è meno reale della musica? Non si tratta di una realtà uguale per tutti. Voi sarete toccati da una frase e io no. Ma noi sappiamo come vanno le cose, tra un do e un sol, per esempio, non perché desideriamo che sia così, ma perché è così.
Cosa potete spiegarmi dell’estroversione di una quinta ascendente, del fatto che il sol sia l’avvenire del do? Se non la sentite, è finita. Se, invece, la sentite, non vi è nulla da spiegare, perché la spiegazione sarebbe data con gli strumenti del linguaggio e dei concetti. La musica non è logica. È vera.

 L’ INTERPRETAZIONE
Quando il compositore ha messo la sua opera sul mercato, interviene un signore: l’interprete. Non si sa tuttavia di cosa egli sia interprete. Forse della permanenza? Questo presupporrebbe che egli ne sapesse qualcosa. Come potrebbe, il poverino, se non ha mai saputo che esiste? Egli resterà al livello della fisiologia del suono. Il forte vi tocca in maniera differente rispetto al piano. È più facile associare al forte la violenza che la dolcezza. Sono associazioni primitive. Un «interprete» di grande temperamento realizzerà dei contrasti. Ma quanto corrispondono ai contrasti che hanno colpito il compositore? La proporzione dei rapporti, dal punto di vista della tensione e della struttura, nel cammino dell’espansione come nel cammino della risoluzione non è interpretabile. L’interprete può ignorarla. E invece d i ricondurre questo cammino verso la permanenza, mette in fermento il carattere debole dell’uomo, con tutte le associazioni inevitabili.

LA CREAZIONE
Il compositore non sa nulla di tutto questo. Egli non ha nessun modo di accedere alla sua stessa composizione. Com’è possibile che Stravinskij o Hindemith siano stati così cattivi direttori delle loro opere? Ravel, poverino, entrava in crisi ogni volta che dirigeva. Ciò che ha sconvolto, colpito i compositori, fecondato la loro creatività non è di origine razionale. Ma la loro mente è cresciuta a frequenze vicine a quelle della luce, è certo.
Detto questo, sono incapaci di percorrere il processo inverso partendo dalla materia inerte, simbolicamente rappresentata dalla partitura, per ritrovare l’edificio vivente che ha permesso loro di vivere qualcosa che apparteneva all’ordine della permanenza.

 LA CONTINUITÀ
Esistono rapporti tra i movimenti di una sinfonia? Sì, ma non sono di natura formale, a meno che il compositore non introduca, come Bruckner nella Quinta Sinfonia, il tema del primo movimento nell’ultimo. I movimenti si integrano gli uni negli altri. In alcune sinfonie, come la Terza di Beethoven, il quarto movimento non ha nulla a che vedere con gli altri. L’idea è eroica, nobile, ed ecco che rivela degli errori. Il fatto che il compositore senta il Continuum nel quale nuota, e che ogni errore che potrebbe distoglierlo da questo gli appaia evidente, non è di natura materiale. Coloro che abbiano un po’ di familiarità con la filosofia orientale questo lo sanno bene. In Mozart esiste una continuità inesplicabile. Io non arrivo a credere che un uomo abbia avuto una simile capacità di cogliere, prima di cominciare, l’ampiezza della fine. Nel principio vi è tutto. L’atto di creare la musica è simile all’atto di pensare, che è simultaneo.
In Mozart, ogni nota è così libera che potrebbe essere un’altra nota e allo stesso tempo è talmente determinata che non può essere altra da quella che è. In una frase di Mozart, in una serie di cinque note, le relazioni sono così chiare che egli potrebbe, invece di andare al mi restare sul sol. Mentre in Wagner il cromatismo determina la funzione successiva.

IL TEMPO
         Un giorno ho domandato a Furtwangler : «Maestro, questo passaggio come va eseguito? Qual è il tempo? A quale velocità devo andare?”. «Sowie es klingt. Tutto dipende da come suona meglio – mi rispose – Ecco cosa ti indicherà a che tempo dovrai andare».
Il metronomo non può indicare quali siano le condizioni nelle quali io posso realizzare l’atto della trascendenza. Ma si tratta di un atto della mia volontà? Assolutamente no. Il tempo preso come oggetto, così come lo considerano gli idioti che scrivono sulla loro partitura «la croma a 72» non esiste. Il tempo è la condizione affinché la molteplicità dei fenomeni che si presentano alla mia coscienza possano essere raccolti da questa forza che essa possiede, da questa capacità unica di «ridurre» la molteplicità, e di farne un tutto molto complesso, una unità della quale ci si può appropriare per poi lasciarla, trascenderla per trovarsi liberi di fronte all’unità successiva. Più la molteplicità è grande, più il tempo materializzato, visto nella sua dimensione fisica, è lento. Ma in verità il tempo non è lento. Non è né lento né rapido. Oggi il tempo è divenuto un oggetto che si può determinare con una misura fisica. La convenzione di misurare fisicamente il tempo è idiota. Il tempo fisico non esiste in musica. E tuttavia, i critici e gli imbecilli che insegnano nei conservatori continuano a misurarlo! Il tempo non ha nulla a che vedere con la velocità. Cosa diceva Bach a questo proposito? Che colui che non è in grado di valutare il tempo leggendo il tempo musicale – il Tonsatz, come lui lo chiamava – farebbe meglio ad astenersi, a rinunciare alla musica.
Il tempo non ha un’esistenza individuale. Non potrà mai essere ipostatizzato. In una buona acustica secca, questi stessi scopi sono molto ridotti. Dove si materializza tutto ciò? Sull’orologio. Ecco perché i critici idioti, che ignorano qualsiasi contatto naturale con il fenomeno del suono, verranno a dirmi che ho suonato sedici minuti «di troppo». Quando afferma «è troppo lento» il critico, il bambino, il povero, ha ridotto la stessa ricchezza di elementi che io ho ridotto? Egli sente nel mio stesso modo? Io non perseguo solamente delle relazioni allo stato fisico, ma delle corrispondenze allo stato astrale. Un altro mondo cammina a fianco del mondo dei suoni. Alcune ottave, le armoniche naturali, sono del tutto controllabili in Ravel e Debussy. Ma il critico, condizionato com’è dalla sua inevitabile ignoranza, può a mala pena controllare i suoni diretti. Come volete che sappia qualcosa delle ottave, delle armoniche? Poiché non le sente, non ha bisogno del tempo della riduzione. Crede che il tempo sia dato dal metronomo, cioè da una forza organizzata, un sistema referenziale che viene dall’esterno ad inserirsi su un processo vivo come la nascita e la sparizione del suono. Si confonde la materia con lo spirito che anima la materia!
Furtwangler, per esempio, suonava un adagio due volte più lentamente di un altro direttore, senza che sembrasse lento. Metteva tanta espressione negli elementi che si contraddicevano, si completavano, si armonizzavano, tanto che avrebbe potuto essere anche tre volte più lento. Un giorno gli dissi: «Come è bello, come è lento!», e egli mi rispose: Si, ma per poterlo fare così lentamente, bisogna avere dei contrabbassi con una risonanza straordinaria, e degli strumentisti che impegnino se stessi. Non potrei farlo con un’orchestra americana».

LA SOGGETTIVITÀ
La musica non è bella, è vera. Può essere anche bella, ciò non disturba. Come si capisce che è vera? È vero che voi vivete, ecco una verità sulla quale potete contare. A partire da questo concetto, potete trovare Bruckner, allo stesso modo i n cui potete mancarlo.
Quando i n una sinfonia ci sono solamente due temi, da dove proviene l’opposizione tra di essi? Chi la crea? È la forza interiore, la vitalità del mondo affettivo dell’uomo. L’attaccamento dell’uomo al suono non è di natura simbolica, come il linguaggio. Il legame tra l’intervallo e il mondo affettivo dell’uomo è diretto. È il fatto di essere prima colpito in una maniera, poi in un’altra, che crea l’opposizione, che non si riscontra nel materiale. In effetti, nella partitura , niente può mostrarvi la vita. Non c’è modo di accedere a questa idea, ma si può viverla, estrarla dal suo ambito ontologico e dire «è questa!» Non c’è un solo evento nella musica che sia isolabile. Tutto è collegato.

 LA MODULAZIONE
L’arte della modulazione armonica consiste nel lasciare una tonalità, nel trovare un campo neutro, poi nel fissare con una cadenza una nuova tonalità. Se passo dal do maggiore al sol maggiore, è un passaggio, non una modulazione. Se, lasciando il do maggiore, riesco a rendervi più o meno indifferenti, su un campo neutro, e se, in seguito, arrivo al la minore, ho fatto una modulazione armonica. Mozart e Bach modulavano alla perfezione. Ma se gli avessimo domandato il loro segreto, non avrebbero saputo rispondere. L’uomo più dotato nel suo tempo per muovere e mescolare le armonie era Max Reger. Ha scritto un libro sulle modulazioni armoniche, e ha lasciato cento esempi, fra i quali solo due valgono qualcosa. Tutto il resto prova che egli non sapeva di cosa parlava. Non aveva mai riflettuto sulle forze, sui principi secondo i quali si può lasciare una tonalità e stabilirne un’altra. Bruckner non ha scritto un libro sulle modulazioni, ma ne ha fatte di straordinarie. Delle modulazioni tridimensionali. Dal punto di vista delle modulazioni, Bruckner è uno dei più grandi compositori di tutti i tempi. Insieme a Bach, che possedeva un senso squisito, inaudito dello spazio armonico. La modulazione del finale della Quarta Sinfonia di Bruckner è straordinaria. Tutte le sue grandi sinfonie hanno una modulazione unica alla fine. Beethoven si è sbagliato molto spesso.
Nell‘Eroica, nell’ultimo movimento, passa dal la bemolle maggiore, per arrivare al la bemolle maggiore! Non è possibile! Egli non era cosciente degli antagonismi e della loro irriducibilità come Bach e Mozart, che non hanno mai scritto qualcosa di simile. Mozart bambino, il cui approccio alla musica non era ancora approfondito, non si è mai sbagliato. Nemmeno Haydn. Debussy ha un merito ancora maggiore, perché non esisteva più un criterio. La tecnica del suo tempo non gli aveva dato gli elementi necessari per orientarsi differentemente. Egli l’ha fatto solo grazie al suo genio, ed ha esplorato un territorio completamente sconosciuto.

LO SPETTRO
         L’uomo può sentire, cogliere, percepire l’ottava. Acusticamente, l’ottava superiore di una nota vibra a una frequenza doppia della frequenza della nota originale. Tutti gli altri sensi non percepiscono che una regione dell’ottava. Il suono esercita un tale potere sull’uomo perché tutte le sensazioni sonore sono contenute all’interno delle ottave. Ecco un sistema di riferimento che non si può né ignorare, né cambiare, né sostituire.
Le radiazioni dello spettro visibile hanno una lunghezza d’onda compresa tra 0,4 micron per il violetto estremo e 0,8 micron per il rosso estremo. Il doppio di queste lunghezze, che costituirebbe l’ottava, si trova al di là del nostro settore percettibile. Noi non percepiamo solamente una ma, auditivamente, nove, dieci ottave.
Sull’ottava d’altra parte hanno scritto tutti, compresi i grandi alchimisti le cui conclusioni non erano né di ordine matematico né di ordine materiale. Gli alchimisti non erano alla ricerca dell’oro, come la gente pensa comunemente.

*********

Sergiu Celibidache è nato nel 1912 a Iasi in Romania.
Trasferitosi a Berlino studia composizione, direzione d’orchestra e si laurea con una tesi su Josquin Desprès.
Sino questio gli anni in cui collabora con Wilhelm Furtwängler.
Dal 1945 fino al 1952 è direttore dell’Orchestra Filarmonica di Berlino. Dal 1953 al 1962 dirige regolarmente al Teatro alla Scala. Dal 1976 è professore all’Università di Mainz dove insegna fenomenologia della musica.
Nel 1979 viene nominato direttore artistico dell’Orchestra Filarmonica di Monaco. Si interessato di Buddismo e Zen ed è seguace di Sai Baba. Ha considerato l’insegnamento come una delle più grandi missioni umane.
Celibidache è morto il 14 agosto 1996 a La Neuville-sur-Essonne, un piccolo comune francese nella regione del Centro-Valle della Loira.