di Carlo Delfrati

Amadeus n. 5 aprile 1990: ha inizio la pubblicazione della rubrica “Le Parole della musica” a cura di Carlo Delfrati, uno dei maggiori esperti in didattica musicale e autore di diffusissimi corsi per le scuole medie.
Con questa rubrica si è cercato di chiarire il significato di alcuni dei più frequenti (ma anche dei più insoliti) termini usati dagli addetti ai lavori.
La rubrica Parole della musica si protrae fino al n. 73 del dicembre 1995 e viene sostituita dalla rubrica Scuola cui farà seguito il supplemento ScuolAmadeus.

«Esultate!» – proclama Otello all’inizio dell’opera verdiana – «L’orgoglio musulmano sepolto è in mar». Il nemico è stato sconfitto, la sua flotta affondata. La linea melodica, la linea del canto, ha il profilo presentato alla fig. 1. Come si vede, la linea del canto «imita» l’azione dell’inabissamento. Ponchielli era stato ancora più esplicito: (fig. 2).
Innocui giochetti? Semplici coincidenze? Certo, non tutti i cieli della musica cantata svettano sulle note acute, né tutti i mari si appiattiscono sulle gravi. Ma il caso dei due operisti italiani, come molti altri, non è una coincidenza. È l’applicazione ottocentesca di una pratica ben più antica: la pratica del Tonmalerei, come dicono i tedeschi, o «pittura verbale». Nel 1694, Joachim Thuringus ne illustrava tre specie, applicabili ad altrettanti tipi di parole:
1. Parole esprimenti affetti. La parola «ridere» è cantata su note rapide e staccate; «lamento» su note lente e declinanti; «gioia» su un esuberante vocalizzo.
2. Parole esprimenti luoghi e azioni. Abbiamo visto cielo e mare. «Saltare» sarà reso con «salti» d’intervallo; «Onda» con un graduale «su e giù» della melodia.
3. Parole esprimenti tempo e numero. «Due volte» sarà reso con un raddoppio di note; «fermati» con l’inserimento di pause dopo una lunga nota.

Thuringus non faceva che codificare una procedura ormai abituale ai compositori del primo Seicento; l’età del «Crepuscolo del madrigale». Proprio nei madrigali troviamo le applicazioni più numerose: da qui il nome di madrigalismo alla procedura. Gesualdo da Venosa e Monteverdi ci offrono gli esempi più straordinari di trattamento artistico del madrigalismo.
In senso stretto, il termine si riferisce agli usi nei madrigali del Cinquecento e del primo Seicento. Ma possiamo estenderne il significato fino a farlo coincidere con quello di «pittura verbale». I primi esempi documentati nella musica europea sono ben precedenti. Se non proprio nel canto gregoriano, come pure qualcuno crede, tracce convincenti appaiono nei mottetti del XIII e del XIV secolo. All’inizio del Cinquecento, è Josquin des Préz a farci sentire gli esempi più suggestivi, e alla metà del secolo è Nicolò Vicentino a teorizzarli. Quando il madrigale declina, soppiantato dal melodramma, dall’aria, dalla cantata, non declina certo lo spirito del madrigalismo, come abbiamo visto. Tra Monteverdi e Verdi, si può dire che non ci sia autore di musica vocale che non abbia occasioni di «pittura verbale» nel proprio arsenale compositivo.

L’esempio forse più clamoroso è offerto da Bach, dalle sue cantate, passioni, dalla Messa in si minore. Un esempio solo, per tutti, dal Magnificat non ha bisogno di commenti. Il testo dice: «Depose, depose i potenti dal trono ed esaltò gli umili». Si osservi la linea seguita dalla voce cantante: (fig. 3). Come ogni norma compositiva, anche il madrigalismo conosce i suoi eccessi. Tra i più curiosi, quella che gli studiosi tedeschi chiamane Augenmusik, la «musica per gli occhi”. Un esempio? La suite Gulliver, di Telemann. Contiene una Ciaccona lillipuziana, scritta in centoventottesimi ossia in note microscopiche, e una Giga brobdingnagiana, scritta nel metro di 24 interi, ossia in note «giganti». L’ascoltatore non nota niente di particolare; se ne accorge invece il povero esecutore, che trova un magro conforto alle fatiche della decifrazione nel godimento delle sottili corrispondenze tra la scrittura musicale e l’oggetto evocato. (Esempi tratti da R. M Schafer, When words sing).

(Amadeus n. 62 gennaio 1995)