di Carlo Delfrati

Amadeus n. 5 aprile 1990: ha inizio la pubblicazione della rubrica “Le Parole della musica” a cura di Carlo Delfrati, uno dei maggiori esperti in didattica musicale e autore di diffusissimi corsi per le scuole medie.
Con questa rubrica si è cercato di chiarire il significato di alcuni dei più frequenti (ma anche dei più insoliti) termini usati dagli addetti ai lavori.
La rubrica Parole della musica si protrae fino al n. 73 del dicembre 1995 e viene sostituita dalla rubrica Scuola cui farà seguito il supplemento ScuolAmadeus.

I primi ascoltatori della Sinfonia n. 1 di Gustav Mahler sobbalzarono sulle loro poltrone quando sull’ostinato impercettibile dei timpani il contrabbasso attaccò il terzo movimento, la Marcia funebre. Erano abituati a ben altri precedenti: la marcia dell’Eroica di Beethoven o quella pianistica di Chopin. Pochi anni prima avevano potuto ascoltare la solenne epopea della marcia dal Crepuscolo degli dei di Wagner. Questa di Mahler, invece, aveva di funereo il passo pesante e la sonorità cupa; ma il motivo principale sembrava scelto apposta per burlarsi del distinto pubblico pagante della Budapest bene. Un motivo ben noto, troppo ben noto: la canzoncina infantile Fra’ Martino.
Che ci faceva un motivetto del genere nella composizione musicale più veneranda della tradizione occidentale, la sinfonia? Mahler lo aveva deformato (o, se si preferisce, variato), cambiandogli il modo: non più maggiore, come nell’originale conosciuto in tutto il mondo, ma in minore. Il modo minore era il modo obbligato per una marcia funebre, ma bastano i baffi alla Gioconda per farla sembrare un uomo? Lasciamo un attimo i nostri ungheresi alle prese con la provocazione di Mahler, e riprendiamo (dal numero scorso) la riflessione sul modo: un termine che definisce la struttura interna dei suoni della scala, il loro vario fondarsi sopra uno o l’altro dei suoi suoni. Manuali di teoria musicale spiegano che la differenza tra modo maggiore e minore sta prima di tutto nel fatto che il terzo grado è più vicino al primo nel modo minore, un po’ più lontano nel maggiore (rispettivamente una distanza di terza maggiore e di terza minore): la dilatazione della terza maggiore (due toni) dà un uso di apertura rispetto alla chiusura della terza minore (un tono e mezzo). Al di là delle definizioni tecniche, è proprio la diversa atmosfera che caratterizza un motivo seguito nell’uno o nell’altro dei due modi. Lo può provare anche chi non abbia studi specifici, ma disponga di una tastiera: cerchi Fra’ Martino partendo dal tasto del do; poi ripeta la stessa sequenza di suoni partendo dal la. Avrà trasformato la canzoncina proprio come fece Mahler, da maggiore a minore. Alla polarità tecnica corrisponde una polarità espressiva: una marcia funebre è scritta in modo minore; una marcia nuziale o trionfale in maggiore. La nostra cultura associa infatti i due modi a due opposti climi espressivi: più aperto, chiaro, estroverso il maggiore; più chiuso, ombroso, introverso il minore. Ciò non significa che una musica in maggiore sia automaticamente gioiosa e una in minore triste, perché ci sono molti altri fattori che intervengono a determinarne il carattere. La verità è in quel «più»: ossia un motivo in minore appare «più» triste, ombroso eccetera, rispetto allo stesso motivo, con gli altri tratti immutati, ma in maggiore. Maggiore/minore costituisco­ no due poli fondamentali nella costruzione delle musiche europee degli ultimi secoli.
Una marcia funebre è in minore, ma molte volte contiene un episodio in maggiore: un bisogno compositivo di varietà, certamente, ma chi ci vieta di sentire un’aspirazione ad allentare la tensione dolorosa? E, viceversa, una marcia nuziale, che è inevitabilmente in maggiore, contiene un episodio in minore: e anche qui accanto alla spiegazione tecnica, lasciamo al lettore di immaginarsene una psicologica: anche il più riuscito matrimonio ha i suoi momenti… in modo minore! Il contrasto maggiore/minore è tipico anche di tante canzoni italiane. «Sento la nostalgia del mio passato …», canta col cuore in mano il tenore di strapaese: e la strofa è in modo minore. Ma poi si apre al sorriso radioso del ritornello, in maggiore: «Romagna mia, Romagna in fiore…». Il lettore ci perdonerà l’accostamento profano, al quale ci confidiamo autorizzati dal caso mahleriano. E a Mahler torniamo prima di chiudere. Forse quella sua scelta provocatoria era un’indiretta risposta proprio al precedente più illustre: la monumentale marcia di Wagner. Come l’eroe ideale del musicista germanico aveva i tratti del semidio, così Mahler sembra riportarci all’uomo comune alle prese con le contraddizioni della vita, impastato di grandezza e di banalità: un qualunque Fra’ Martino. Il pubblico delle prime si sentiva preso in giro; ma presto incominciò a sentire (la musica non si ferma all’enunciazione di Fra’ Martino, ma ha un seguito addirittura sconvolgente) che dietro la caricatura Mahler nascondeva un messaggio drammatico: il richiamo dai finti ideali alla terra dell’autentica esistenza individuale. Il modo minore serviva a Mahler per accompagnare all’ultimo traguardo il suo povero fraticello.

(Amadeus n. 34 settembre 1992)