di Gaetano Santangelo

        L’assonanza tra le parole reflex e riflettere giustifica la scelta del nome di questa rubrica che ho tenuto su Amadeus dal febbraio 2015 al dicembre 2019 quando il mensile, nato nel dicembre 1989, compiva trent’anni.

       Un tempo solo testimoni oculari potevano assistere e raccontare degli scontri che si consumavano in teatro a sipario chiuso, mentre il pubblico ignaro elargiva applausi o fischi a quanto aveva appena visto e udito in scena. Oggi, sotto l’occhio implacabile delle telecamere tutti possono assistere a quel che accade dietro il sipario. Ma se, nonostante l’imperversare dei media, avete perso l’episodio incriminato, c’è sempre qualche amico in rete che si premurerà di postarvelo invitandovi a mettere il vostro mi piace e a condividere la notizia con tutti i vostri corrispondenti di facebook. L’insulto che Leiser, il regista della versione scaligera della Giovanna d’Arco, ha rivolto a Riccardo Chailly a sipario chiuso è divenuto immediatamente di pubblico dominio, anche perché lo stesso Leisier si è premurato di tradurre in italiano la propria invettiva; lui sa che siamo un po’ refrattari all’inglese e ha voluto mettere i sottotitoli al suo linguaggio forbito. Dal contrasto Leiser/Chailly emerge in modo eclatante la dicotomia che si riscontra nella maggior parte delle nuove regie delle opere liriche, dove musica e scena viaggiano spesso su binari divergenti: da una parte la filologia musicale impegnata a ricostruire nei minimi dettagli la versione originale, così come l’ha voluta il compositore (del quale talvolta si ignorano anche i successivi ripensamenti), dall’altra la messa in scena, dove il regista tenta di attualizzare la vicenda con interventi arbitrari e di dubbio gusto. Il risultato è che i due elementi costitutivi dell’opera (libretto e musica) a causa della regia viaggiano in senso opposto rischiando di non incontrarsi neppure nella finzione scenica. A meno che non si debba accettare l’idea che, se finzione deve essere, deve esserlo fino in fondo, senza preoccuparsi del compositore, dell’autore e nemmeno del pubblico. Non escludiamo quindi che prima o poi vedremo (e abbiamo visto) Mimì o Violetta distrutte non dalla tisi ma dalla droga, Cavaradossi, imprigionato e giustiziato come un brigatista, mentre Jago fa esplodere il suo odio per l’umanità come un kamikaze, facendo saltare tutti per aria.

(Amadeus n. 318 – maggio 2016)