di Gaetano Santangelo

          Già dal nome, l’arpeggione («un ibrido tra il violoncello, del quale conserva buona parte della tecnica esecutiva, e la chitarra, della quale ha l’accordatura, la forma della cassa e la tastiera del manico»), non poteva promettere granché; infatti è durato poco, anzi pochissimo. Sembra fosse già quasi dimenticato, quando il genio di Schubert gli dedicò la Sonata, alla quale l’arpeggione deve l’unico motivo per cui oggi è ricordato. Tanto che il capolavoro del prolifico compositore viennese è oggi solitamente eseguito non con il suddetto arpeggione ma con il violoncello o, più raramente, con la viola.
Ed è al giovanissimo violista Leonardo Taio e all’altrettanto giovane pianista Sofia Adinolfi, che dobbiamo l’esemplare esecuzione della suddetta Sonata nel ciclo Musica al Tempio della Chiesa Valdese di Milano (che si fa apprezzare e merita attenzione per l’attività in campo musicale e culturale). È stata una serata esemplare, una lezione di stile e di coerenza, che ha deliziato il pubblico sia per la scelta del repertorio, che abbinava al titolo già citato altri due capolavori romantici come l’Adagio e allegro di Schumann e la Sonata op. 120 di Brahms, sia per l’esecuzione, che ha messo in risalto la maturità artistica dei due giovani interpreti perfettamente a proprio agio anche nei passaggi tecnicamente più impegnativi. Si noti bene nessuno di questi era destinato alla viola, ma al corno (Schumann) o al clarinetto e in alternativa alla viola (Brahms).
L’ammirevole interpretazione esaltava i momenti in cui oltre alla tecnica è richiesta una capacità di scavo non comune nel tessuto melodico e armonico esaltato dalla voce un po’ scura della viola, voce che si colloca a metà strada tra il violino e il violoncello distinguendosi per la tessitura sonora del tutto particolare e coinvolgente per l’ascoltatore attento e sensibile.
È necessario sottolineare che la viola chiede all’interprete doti e impegno non comuni e, oltre ad essere uno strumento facilmente confuso dai non addetti ai lavori e dai frequentatori distratti e superficiali delle sale da concerto e degli auditorium con il violino, è uno strumento che possiamo ascoltare raramente in veste solistica.
La viola che, salvo le dimensioni, assomiglia praticamente in ogni dettaglio al violino, la si incontra quasi esclusivamente nell’orchestra e in alcuni ensemble cameristici, come il quartetto d’archi, dove svolge un ruolo del tutto paritario con gli altri archi.  Invitiamo perciò i nostri lettori a porsi qualche domanda, come per esempio: perché una delle più diffuse formazioni cameristiche, il quartetto d’archi, ci sono due violini, una viola e un violoncello? e perché nelle orchestre oltre ai violini, ai violoncelli e ai contrabbassi ci sono anche le viole?
Il fatto che, per introdurre un breve commento sul concerto dei due bravissimi e già citati solisti, mi sia sentito in dovere di fare queste ovvie considerazioni non è per sfoggio di cultura musicale, ma per non lasciarmi fuggire la ghiotta occasione di parlare di uno strumento che, in orchestra, ha la caratteristica essere tanto discreto quanto indispensabile.