di Carlo Delfrati
Amadeus n. 5 aprile 1990: ha inizio la pubblicazione della rubrica “Le Parole della musica” a cura di Carlo Delfrati, uno dei maggiori esperti in didattica musicale e autore di diffusissimi corsi per le scuole medie.
Con questa rubrica si è cercato di chiarire il significato di alcuni dei più frequenti (ma anche dei più insoliti) termini usati dagli addetti ai lavori.
La rubrica Parole della musica si protrae fino al n. 73 del dicembre 1995 e viene sostituita dalla rubrica Scuola cui farà seguito il supplemento ScuolAmadeus.
L’orchestra è uno dei casi più clamorosi di metonimia, la figura retorica che mette il contenente al posto del contenuto. L’orchestra originaria non era altro che lo spazio semicircolare in cui il coro della tragedia greca cantava e compiva le sue evoluzioni. Quando nel Settecento il termine torna in auge, indica ancora uno spazio: ora quello destinato agli strumentisti. E in poco tempo passa a designare il complesso stesso degli strumenti. Ma quale complesso? Nell’accezione più ampia si indica qualunque complesso: per esempio si parla di orchestra gamelar, l’insieme delle percussioni indonesiane; oppure di orchestra monteverdiana, con riferimento all’insieme eterogeneo che Monteverdi ebbe occasionalmente a disposizione per il suo Orfeo. In senso più ristretto, indica l’insieme strumentale come è venuto formandosi nelle sale da concerto europee dalla fine del Seicento: un nucleo fondamentale di strumenti ad arco a cui altri strumenti possono essere aggiunti. Possono, non devono: si parla infatti anche di orchestra d’archi. Il termine «orchestra di fiati» invece si usa raramente: più adatti alle cerimonie pubbliche, militari e civili, gli strumenti a fiato (con l’aggiunta di percussioni) sono andati formando negli stessi secoli una famiglia a sé: la banda. La tradizionale orchestra barocca è formata da violini, viole, violoncelli, due oboi, un fagotto e cembalo. Sia per le nuove esigenze espressive dei compositori sia grazie al perfezionamento tecnico degli strumenti, la tavolozza orchestrale si integra di nuovi colori: contrabbassi, corni, trombe, clarinetti. Finché nel nostro tempo, niente più le è estraneo, dai campanacci alpestri alla… macchina da scrivere. L’orchestra così cresciuta si definisce sinfonica, dal genere musicale più blasonato dell’età classica, la sinfonia appunto: l’aggettivo è usato in opposizione a cameristica. L’orchestra da camera è quella in cui le parti degli archi «tendono a uno»: a quel dialogo fra solisti che caratterizza propriamente la musica da camera (un quartetto, un sestetto…). Ma siccome pur sempre di orchestra si tratta, qui le parti sono affidate a pochi esecutori, e possono essere integrate da pochi fiati. Cercare il numero che fa da spartiacque fra questi pochi e i tanti della compagine sinfonica sarebbe come voler quantificare la differenza tra due aggettivi come grande e piccolo: e infatti piccola orchestra è l’altro termine per orchestra da camera. La distinzione diventa interessante per apprezzare il risultato sonoro dei due organici: il piccolo numero di archi dell’orchestra da camera offre una sonorità più trasparente, meno densa: una sorta di sintesi ideale fra la coralità erga omnes della sinfonia e l’intimità di una riservata conversazione fra pochi eletti.
(Amadeus n. 74 gennaio 1996)