di Carlo Delfrati

Amadeus n. 5 aprile 1990: ha inizio la pubblicazione della rubrica “Le Parole della musica” a cura di Carlo Delfrati, uno dei maggiori esperti in didattica musicale e autore di diffusissimi corsi per le scuole medie.
Con questa rubrica si è cercato di chiarire il significato di alcuni dei più frequenti (ma anche dei più insoliti) termini usati dagli addetti ai lavori.
La rubrica Parole della musica si protrae fino al n. 73 del dicembre 1995 e viene sostituita dalla rubrica Scuola cui farà seguito il supplemento ScuolAmadeus.

Se cerchiamo la voce in un dizionario musicale, la troveremo quasi sempre al plurale. Uno dei più spinosi problemi dell’interprete, infatti, è oggi sapere come tradurre in suono la selva di segni speciali, disseminati negli spartiti soprattutto nell’età barocca. Le possibilità di impreziosire una melodia, quindi gli abbellimenti, sono illimitate. A complicare le cose, c’è da aggiungere che ognuno di quei tanti segni è interpretabile diversamente a seconda dell’epoca, dell’autore, dell’opera. E viceversa, che un medesimo abbellimento può essere trascritto con segni diversi, da un’epoca all’altra, da un autore all’altro, da un’opera all’altra. Johann Sebastian Bach, per esempio, usava i segni in maniera discontinua. Ma Bach ci offre anche un aiuto insperato: a volte scrive a una a una le note di molti abbellimenti, offrendoci così una pista sulla loro effettiva consistenza sonora.
Un lontano precedente di questa pratica lo si trova nel Cinquecento, quando il musicista trascriveva per liuto o per tastiera pagine vocali, per esempio madrigali, inserendo gli abbellimenti in dettaglio. Questa pratica, che testimonia il modo in cui nel Rinascimento s’improvvisavano gli abbellimenti, prendeva il nome di diminuzione (perché tra due note di lunga durata s’inseriva un ricamo di note «diminuite» di minor durata). Nella sua Fontegara del 1535, Silvestro Ganassi ci offre una descrizione di come andavano improvvisate le diminuzioni.
Due secoli e più dopo, è Carlo Filippo Emanuele Bach a fornire una mappa articolata degli abbellimenti allora in uso: un testo importante, sul quale si baseranno i compositori dell’età successiva. Nel nostro tempo, gli studiosi hanno tentato una classificazione sistematica e storica dei segni d’abbellimento. Uno dei più rigorosi è stato Robert Donington, che.li ha raggruppati in quattro famiglie. Vediamone qualche esempio, fra i più frequenti:

  1. A) Famiglia delle appoggiature. Appoggiature, propriamente dette, sono quelle note ornamentali aggiunte prima dei suoni reali della melodia, dando la sensazione di appoggiarvisi. Il più delle volte sono note contigue al suono principale (esempio l); ma possono anche essere non contigue (esempio 2). Acciaccatura è un’appoggiatura che ha una durata più breve di quella della nota reale (esempio 3). A questa famiglia appartiene anche la doppia appoggiatura: è formata di due note, di cui la prima può essere la ripetizione della nota reale precedente (esempio 4). Vi appartiene anche il coulé, o Schleifer: due notine che si dirigono verso la nota reale seguendo entrambe la stessa direzione (esempio 5)
  2. B) Famiglia dei trilli. Comprende quegli abbellimenti che consistono nella ripetizione più o meno prolungata di uno o due suoni. Si distinguono in mordenti, in cui si alternano rapidamente il suono reale e il suo contiguo superiore o inferiore (esempio 6), e trilli veri e propri, quando un suono reale e il suo contiguo vengono ripetuti più volte (esempio 7).
  3. C) Famigli dei passaggi. È un insieme di note che conducono da una nota reale a un’altra. Il più frequente è il gruppetto, formato dalle due note contigue che girano intorno alla nota reale: si chiama superiore quando la nota toccata per prima è quella superiore; inferiore nel caso inverso (esempio 8). Vi appartengono anche gli arpeggiati: tutti quei modi di eseguire un accordo, anziché simultaneamente, toccando suoi suoni in rapida successione (esempio 9).
  4. D) Famiglia degli abbellimenti composti. Sono il raggruppamento di due o più abbellimenti delle tre famiglie precedenti. Tra i più frequenti sono l’appoggiatura con trillo (esempio 10), e il gruppetto con trillo (esempio 11).

(Amadeus n. 71 ottobre 1995)