di Enzo Fabiani

(Pubblicato sul n. 10 di Amadeus, settembre 1990)

Tra archetto e pennello; la straordinaria «doppia vita» di Paul Klee.
La musica ha accompagnato il pittore nei suoi viaggi, nelle sue esperienze amorose,
nella sua arte; ma non abbiamo nessuna testimonianza sicura

che confermi dei tentativi programmati di trasposizione pittorica della musica.

       Negli eccezionali Diari scritti dal 1898 al 1918 dal pittore Paul Klee, la musica è così spesso ricordata da farli sembrare l’agenda di un melomane, che in Svizzera, Germania e Italia, vada alla ricerca quasi maniacale di concerti e di rappresentazioni operistiche, a diverse delle quali egli assiste per la prima volta. Ecco ad esempio quanto si legge in una lettera scritta da Firenze dal ventiduenne Paul ai genitori residenti a Berna, in data 20 aprile 1902: «Ho sentito per la prima volta La Traviata, un’opera di grande genio. L’ esecuzione non era male, ma un po’ troppo popolaresca. Avevo un posto nella fila IL di plaea. Questo teatro (il Teatro Verdi) è piuttosto grande, ma non molto pulito».

Paul Klee a Possenhofen nel 1921.

E tanto poco pulito doveva essere il «Verdi» e tanto popolaresca l’esecuzione se egli ritornerà sull’argomento scrivendo alla pianista Lily Stumpf, sua futura moglie: «Dopo cena sono andato al Teatro Verdi, dove davano La Traviata (purtroppo in modo mediocre). Il teatro è grande quanto brutto e sporco. Ho sentito per la prima volta La Traviata e sono rimasto ammirato dalla pienezza e ricchezza della concezione melodica dall’intensità dell’ultimo atto. Una certa Milanesi ha offerto un’eccellente prestazione. Il migliore era il baritono, un sollievo a fronte del goffo tenore. Esecuzione e messa in scena, zero. L’orchestra bandistica e mal ridotta». Insomma il futuro genio dell’astrattismo salvò soltanto Verdi.

L’ordine del contro-DO, 1921.

Paul Klee a quell’età era più musicista che pittore, aveva cominciato a studiare violino a sette anni, a dieci aveva assistito per la prima volta a un’opera (Il Trovatore) e, pur già studiando pittura da qualche anno, nel 1903 entrò a far parte, come violinista, nell’orchestra municipale di Berna. Era insomma incerto tra l’archetto e il pennello, tanto che aveva notato nel suo diario: «La musica è per me come una donna stregata dall’amore. La pittura mi darà la gloria? Potrò diventare uno scrittore, un lirico moderno? Illusioni! Sono disoccupato, e vo’ girovagando»; anche se era ancora la musica a confortarlo nell’incertezza e nelle delusioni amorose e ambientali. Infatti: «I trattenimenti musicali mi piacevano. Così fu, per esempio, nella sera con Straube, che mi fece da maestro nella Sonata in la maggiore op. 100 di Brahms e fu pieno d’entusiasmo perché avevo imparato tanto nel breve spazio di un’ora. A lungo mi risuonarono nell’orecchio le sue parole: “Lei suona davvero in modo stupendo”, quando, dopo essere stati ancora al Caffè Stefania, a tarda sera ci eravamo lasciati un po’ brilli e rumorosi. Egli si acquistò poi grande rinomanza come organista e direttore d’orchestra».
Naturalmente anche con i suoi rapporti, all’inizio assai tormentati, con Lily la musica è presente: «Pensiero tormentoso di essermi ingannato con Lily. Mi sono ormai abituato a considerare mia questa donna… Sarebbe peccato, perché essa ha influito positivamente sul mio animo… Ora vuol venire a prendere il tè da me. Ma, dopo la Passione secondo Matteo; mi ha piantato in asso. Perciò oggi mi chiede perdono. Giovedì, 4 aprile, essa verrà!» E poco dopo: «L’incertezza per Lily s’è fatta sempre più tormentosa. Con meditazioni filosofiche mi sono strappato dalla donna, ma la vista delle ragazze continua a turbarmi. Durante il II atto del Tristano i miei nervi erano estremamente tesi. Il mio sguardo si posava fisso, su una di quelle creature, seduta poco lontano. Alcuni giorni dopo ho rivisto quella graziosa fanciulla presso i Propilei e, seguendola, mi sono di nuovo abbandonato al fascino che da lei emanava. La sera ho incontrato Lily al Fidelio. Era vestita di nero, il che le dona». Insomma, la musica era sempre presente negli avvenimenti importanti, e anche nei momenti più inquieti: «Dai dubbi sessuali nascono mostri di perversione. Simposi di amazzoni e altri oggetti spaventosi. Un ciclo a tre fasi: Carmen, Margherita, Isolda. Un ciclo Nanà. Théatre des femmes. Lo schifo: una donna coi seni su un tavolo vuota il contenuto nauseante di un recipiente».

Strumento per la musica contemporanea, 1914.

I concerti romani
Poi (e siamo al secondo Diario: ottobre 1901-1902) il viaggio in Italia, con osservazioni assai curiose, ad esempio: «Arrivo a Milano il 22 ottobre 1901. Galleria Brera: Mantegna (Luini?); di Raffaello pochi quadri. Sorpresa: Tintoretto. Molto vino. Vescichette causate dalla vaccinazione. Astute espressioni italiane. Albergo Cervo. Buona cucina: risotto… Arrivo a Genova di notte. Il mare al chiaro di luna. Per la prima volta il mare di notte, visto da un’altura. Il porto imponente, i giganteschi piroscafi. Del mare avevo un’idea approssimativa, non però della vita in un porto.». Fin qui nessun accenno alla musica. Ma basta arrivare a Roma, ed ecco: «15 novembre. Ottimo concerto al Costanzi. Direttore d’orchestra Gulli, Brahms: Serenata op. II;Wagner:Idillio di Sigfrido. Mendelsohn: Sinfonia Italiana».
Concerti, ma anche attenzione alla musica popolare: «Queste frasi melodiche si sentono ogni momento (più tardi me le ricordò la musica orientale). Sono sulla bocca di tutto ciò che è femminile. Con simile tono patetico ho sentito due ragazzi cantare una lunga, triste ballata, mentre camminavano lungo il Tevere». Segue la trascrizione delle note della ballata, con il commento «Non diversa è la canzone di Lola nella Cavalleria». Ma ecco ancora l’opera, con un preciso commento: «8. 1.1902. Al Costanzi: La Favorita di Donizetti. Sentire per prima quest’opera del maestro forse non era indicato. Essa ricorda più Halévy e Meyerbeer che il meraviglioso Rossini. Le cadenze dei cantanti sono micidiali. Uno ha cantato come se non fosse di questo mondo, magnificamente, come un arcangelo o come un Dio stesso. 1l tenore Bonci. Gli altri non si sono distinti. Dirigeva bene il maestro Vitale, coro efficiente, molto grande, ottima l’orchestra. Scadente l’azione scenica, nel loro impeto tutti estinguono ogni scintilla di vita drammatica» .

Fuga in rosso, 1921.

Un poema astratto
Da questi accenni e riferimenti risulta chiaro (ma potremmo farne altri a decine) che Paul Klee conosceva e amava davvero la musica, e non soltanto da dilettante. Ma poi la pittura «prese il campo» e nacque così, uno dei più grandi «poemi» pittorici del nostro tempo: al punto che molti sono i critici che lo giudicano uno dei più importanti, e alcuni il più importante, dell’ultimo secolo; poema pittorico composto di circa diecimila «pezzi» (733 dipinti a olio, 3197 acquarelli, 4877 disegni, 109 acqueforti, sedici sculture e un migliaio di altri lavori), molti dei quali eseguiti, specialmente negli ultimi tempi, con molta difficoltà e sofferenze: Klee morì in­ fatti ad appena sessant’anni nel 1940 per un cancro alla pelle che gli impedì spesso di lavorare.
Un poema (usiamo ancora questo termine perché ci sembra giusto) completamente e squisitamente – salvo il primo periodo – astratto e costruito pennellata dopo pennellata, linea dopo linea in modo tale che molti studiosi di pittura e di musica si sono domandati se e quanto la prima, in Klee, sia stata influenzata dalla seconda: se cioè il grande artista tedesco abbia compiuto, o almeno tentato, in certi suoi lavori, una «trasposizione plastica della musica». Un argomento eccitante, data la personalità di Klee, quanto complesso; anche perché il maestro, pur continuando, quando gli era possibile, a suonare il violino (ma anche la viola) in orchestra e in quartetto, e a prendere nota di questa sua attività nel Diario, non lasciò sull’argomento un testo chiarificatore: che certamente sarebbe stato illuminante, data anche la sua eccellente capacità di teorico e di scrittore,  segno questo che Klee o volle tenere segreto il suo metodo (se mai vi fu) o lo ritenne inesistente o non determinante.

Verststimmt (Scordato), 1939.

Tra musica e pittura
Certo è che si può parlare di «legame» tra musica e pittura in Klee, questo sì; e si potrebbe anche parlare di nutrimento indiretto, di sollecitazione ma andare oltre è azzardato. A proposito di legame: questo termine viene usato dal figlio unico Felix, nato nel 1907, in una pagina di ricordi che è anche un delizioso ritratto familiare, anzi casalingo, del maestro. Vale la pena di riportarlo. Dice: «La creatività di Klee era legata alla musica. La sua formazione di violinista lo portò alle soglie della carriera di concertista. Era difficile che passasse un giorno senza che mio padre non ponesse mano al suo ‘Testore’ per suonare Bach o Mozart, a volte solo, a volte con mia madre Lily, ottima pianista. Assisteva a tutti i concerti e alle opere con passione intensa, ma, mentre come ascoltatore spaziava dai vecchi ai nuovi maestri esecutori, rimase legato ai suoi beneamati autori del XVIII e XIX secolo. Dal 1906 al 1921, Klee si occupò del ménage familiare, facendo tutto il necessario per me, e cucinando in modo magnifico, mentre mia madre dovette provvedere al pane quotidiano dando lezioni di pianoforte. Nella sua attività produttiva, Klee restava spesso concentrato e solo, isolato dall’esterno. I suoi lavori non venivano mai discussi, neanche quando ce li presentava. Ma, al di fuori della sua attività creativa, egli era allegro, gentile e aperto a tutti i sentimenti umani. Mia madre ed io ci rendevamo conto, naturalmente, della sua importanza, rispettavamo la sua eccezionale personalità ed eravamo felici di poter dire che un così ottimo marito e padre era ‘nostro»

Equilibrio vacillante, 1922.

Professore di composizione
Legame, dunque. Ma come e in che senso? A questa domanda ha cercato di rispondere, e lo ha fatto da par suo, Pierre Boulez in una intervista e due conferenze tenute in vari periodi e pubblicate recentemente a cura di Paule Thévenin nell’ottimo volume Il paese fertile, Paul Klee e la musica pubblicato dall’editore Leonardo e molto ricco di illustrazioni. È un esame autorevole quanto acuto del problema, chiaro anche se ovviamente il linguaggio è tecnico. Dopo avere ripor­ tato l’affermazione che fece Stockhausen quando gli regalò il libro Das bildnerische Denken, che contiene le lezioni di Klee al Bauhaus: “Vedrà, Klee è il miglior professore di composizione», Boulez ricorda i vari tentativi di «traduzione grafica» della musica. E dopo avere, oltre a vari altri pittori, accennato ad alcuni disegni di Matisse ispirati alla Quinta Sinfonia di Beethoven, si domanda: «Ma Klee mira forse a ottenere una semplice ‘traduzione’? Certamente no. Egli cerca di applicare le ricchezze della musica a un’altra forma d’espressione, di studiare e di trasporre le sue strutture. Lo dice molto chiaramente a proposito della polifonia (parola che ricorre nei suoi titoli come ‘Bianco polifonicamente incastonato’, ‘Polifonia a tre soggetti’, ‘Gruppo dinamicamente polifonico»; per concludere che «Klee non cerca di stabilire un parallelismo stretto, che avrebbe peraltro forti limitazioni, fra il mondo dei suoni e quello dell’immagine. Egli ci insegna che i due mondi hanno la loro specificità, e che la relazione tra loro può essere solo di natura strutturale. Ogni trascrizione letterale sarebbe assurda»; questo anche perché «esistono frequenze acustiche e frequenze visive, ma non per questo seguono le stesse leggi. Il momento della percezione fa sì che il suono, il timbro, sia differente dal colore» E questo è vero; ma è anche quasi certo che se Paul Klee non avesse conosciuto la musica, se non avesse suonato in «modo stupendo» la sua pittura sarebbe stata diversa. Ed invece, per fortuna, è quella che è.