di Kern Holoman

(Pubblicato sul n. 8 di Amadeus, luglio 1990)

Il ruolo della «Fantastica» nel mondo musicale dell’Ottocento.
La sinfonia fu accolta dalla critica e dal pubblico con controversi pareri,
dal caustico Rossini: «Meno male che non è musica»
all’ammirato Schumann: «terrore degli ignoranti».

Con i capelli color ruggine tutti spettinati, la cravatta di seta, la giacca di velluto e l’espressione perennemente accigliata, Berlioz nel 1820 sembrava più un dandy che un romantico; anche l’aneddoto (probabilmente apocrifo), secondo il quale avrebbe gridato all’Opéra «non due flauti, furfanti, due ottavini!», denota un atteggiamento non tanto romantico quanto infantile e maleducato.

Hector Berlioz a sedici anni.

Berlioz tuttavia ha contribuito al movimento romantico attraverso un impegno continuo, grazie alla capacità di trasporre in musica le sue passioni più intime e grazie alla fortuna di aver conosciuto Shakespeare, Faust e Beethoven proprio mentre stava scoprendo il suo stile personale. Quando compose nel 1830 la Symphonie Fantastique aveva già intrapreso una promettente carriera: possedeva un certo grado di esperienza tecnica, una grandissima padronanza dei meccanismi e della politica dell’ambiente musicale, unita alla conoscenza del giornalismo e dell’editoria, e soprattutto una straordinaria chiarezza d’intenti che era orgoglioso d’ostentare. Inoltre, Berlioz stava diventando un colto umanista, conscio dell’importanza, per i romantici parigini, dello studio della letteratura.
Berlioz ascoltò la prima vera musica d’avanguardia nel dicembre 1824, quando all’Odéon venne rappresentato Robin de bois, che Castil-Blaze aveva adattato dal Der Freischiitz (Il franco cacciatore) di Weber. Berlioz si recò a teatro più volte, e dopo aver studiato la partitura originale di Weber giunse a rifiutare il procedimento che conduceva i responsabili delle esecuzioni a tagliare, riadattare e mutilare i vari capolavori musicali.
È chiaro, tuttavia, che l’opera da lui scritta in quegli anni, Les Francs-Juges, affonda le sue radici proprio in Freischiitz, non solamente per la somiglianza dell’ambientazione (idillica di giorno e diabolica di notte), ma anche per il modo in cui Berlioz imita l’orchestrazione di Weber. Non ci possono essere dubbi neppure sulla stretta analogia tra Les Francs­Juges e la Fantastique, perché la Marche de gardes del II atto dell’opera diventa nella sinfonia la Marche au supplice.
Le tragedie shakespeariane arrivarono nei teatri di Parigi nell’autunno del 1827 con una compagnia di una ventina di attori e attrici inglesi, accompagnati dal loro geniale impresario, William Abbott. Questi, con una mossa che voleva attirare il pubblico e mascherare i limiti della sua non eccezionale troupe, intendeva assicurarsi la collaborazione dei più importanti attori inglesi tragici del momento, e cioè Edmund Kean, il giovane William MacReady e Charles Kemble, per far ricoprire loro i ruoli dei personaggi principali delle opere che intendeva mettere in scena. Kemble, tuttavia, rimandò la sua celebrata recita di Romeo per attendere l’arrivo di una degna Giulietta dall’Inghilterra, Maria Foote. «L’insignificante parte di Ofelia» venne invece data a un membro della compagnia, la bella Harriett Smithson, che non era ritenuta eccezionalmente dotata.

Un fulmine a ciel sereno
Ma la sua straordinaria entrata, nell’ Amleto dell’11 settembre 1827, fu un’apoteosi di dolore e delirio che stupì i suoi colleghi e incantò gli intellettuali presenti tra il pubblico. Lei, probabilmente, non sapeva cosa pensare: «Santo cielo, cosa stanno dicendo? Sta piacendo o è un fiasco?».

Un ritratto di Harriett Smithson, amata da Berlioz.

Ma il timbro della sua voce, l’espressività del suo viso, la sua gestualità, la sua grazia, l’abbandono e l’ingenuità infantile avevano sedotto tutti gli spettatori. «Un’intera generazione – scrisse Jules Janin – rimase ammaliata dalla magia di questa donna». Berlioz si trovava là, quella sera, insieme ad Alfred de Vigny, Alexandre Dumas, Théophile Gautier e tanti altri romantici (dei quali tuttavia non conosceva bene nessuno). Non era certamente la prima volta che il drammaturgo inglese veniva rappresentato in Francia in lingua originale, ma Berlioz, nel 1827, stava affrontando, come gli altri scrittori citati, i drammi più importanti e originali di Shakespeare e quella rappresentazione fu un fulmine a ciel sereno che colpì la sua immaginazione. La Smithson nei panni di Giulietta, un ruolo che recitò per la prima volta il 15 settembre, diventò il personaggio principale di quella che in seguito Berlioz definì «la più grande tragedia della mia vita». Si sposarono infatti nel 1833. Per di più, condividendo la scoperta di Shakespeare con gli artisti-eroi di Parigi, Berlioz entrò direttamente a far parte del movimento romantico.

Coraggio di sperimentare
Dopo la stagione shakespeariana fu la volta della nuova Société des Concerts du Conservatoire, un’orchestra fondata dal direttore Habeneck e dai suoi collaboratori per promuovere la musica sinfonica moderna e, soprattutto, le sinfonie di Beethoven. Il concerto inaugurale, il 9 marzo 1829, propose la prima esecuzione in Francia dell’Eroica. Nel gennaio 1830, quando cominciò a comporre «Episodi della vita di un artista» (o Symphonie Fantastique en 5 parties), Berlioz aveva già scoperto la Quinta, la Sesta e la Settima Sinfonia e, prima di concludere la sua opera, sentì anche la Quarta. La sua analisi di Beethoven, tuttavia, era ben lontana dai veri motivi della forma-sonata, e la sua stessa eredità musicale non avrebbe potuto essere più lontana dallo stile viennese. Berlioz era troppo sicuro di sé per lasciarsi intimidire da Beethoven e quello che imparò dal maestro «viennese» fu il coraggio di sperimentare: strutture guidate dalla narrazione, ciclicità e ripetizioni tematiche, nuovi colori e intrecci orchestrali. Probabilmente il suo modello iniziale fu la Pastorale, con i suoi cinque movimenti capaci di esprimere in modo vivido le passioni umane e la grandezza della Natura. La differenza è che nella Fantastica non vi è niente del classicismo di Beethoven. Nella composizione Berlioz imbriglia i passi del «viennese» per adattarli ai suoi ideali profondamente romantici, a partire dal desiderio insoddisfatto del primo movimento fino alla battuta finale (e conseguente tripudio) che concludeva sommariamente la Marche au supplice.

Ritratto di Hector Berlioz, opera del pittore francese Gustave Courbert.

Nel frattempo, ovviamente, Berlioz stava maturando uno stile ancor più personale. Con Cléopatre, la sua cantata «prix de Rome» del 1829, raggiunse una nuova urgenza d’espressione drammatica, piena di batticuori, sospiri, ansimi e fremiti. Non aveva mai infuso tale passione nella sua musica: l’invocazione di Cleopatra ai propri avi è sintomo di una frenesia tipicamente shakespeariana risolta con straordinaria armonia. In quest’opera Berlioz scopre nuovi modi di manipolare il suo vocabolario armonico e il risultato è lontanissimo dagli esperimenti compositivi di Les Francs-Juges.
Il musicista sfruttò queste nuove conoscenze nella Fantastique, sebbene l’eredità di Cléopatre sia ravvisabile ancor prima nel Roméo et Juliette e nelle Huit scènes de Faust del 1828/29, opera nata dalla lettura dello scritto di Goethe nella traduzione di Gérard de Nerval. Qui, forse, ciò che colpisce maggiormente è il vocabolario molto più esteso nella strumentazione come ad esempio la bruma splendente del Concert de sylphes. Di uguale importanza sono i progressi di Berlioz nel campo della messa in scena del testo poetico e le sue scoperte ritmiche e metriche, come nell’Histoir d’un rat (Brander) e nell’Histoire d’une puce (Mefistofele). La struttura melodica della Romance de Marguerite è l’archetipo berlioziano che lascia presagire l’«idée fixe» della Fantastique, e come nell’«idée fixe» l’accompagnamento segue i battiti di un cuore tormentato. Berlioz riteneva che Huit scènes de Faust fosse, fino a quel momento, la sua composizione migliore e la definì come opera numero 1. Era ormai entrato nel travaglio di un autentico personaggio tragico, a furia di inserire nella sua musica riferimenti autobiografici. Nella Fantastique si trovano suggestioni tratte dal romanzo Confessioni di un oppiomane di Thomas de Quincey, accenni al René di Chateaubriand e a Odi e ballate di Hugo. Insieme alla brama eroica e all’idillio frenetico sono ora presenti nelle sue opere riferimenti al soprannaturale e al grottesco. L’Amata, ovviamente, è un connubio tra la Smithson, le sue affascinanti Ofelia e Giulietta e la Estelle dei romanzi rosa, rintracciabile più tardi nei capitoli iniziali delle mémoires.
Ritengo che Berlioz si sia semplicemente imbattuto per caso nella «idée fixe». Sebbene la sua tecnica si sia raffinata molto nel corso della terza decade del 1800, la retorica della Fantastique divenne la base dello stile maturo di Berlioz. Pochi dei suoi seguenti lavori, ad esempio, mancano di quella «grande réunion des thèmes», di cui è esempio, nel quinto movimento della Fantastica, la giustapposizione della Danza delle streghe e del Dies irae.

Un mondo sonoro dirompente
Dopo la prima (e popolare) Marche au supplice, Berlioz continuò a comporre marce da includere nei suoi grandi brani sinfonici: la Marche des pèlerins dell’Harold, la Offertoire del Requiem, la Convoi funèbre del Roméo et Juliette e naturalmente la Ràkòczy de La Damnation de Faust. Nel frattempo continuò a fare esperimenti per risolvere il problema dell’unione di elementi narrativi con la musica strumentale utilizzando, per esempio, semplici titoli come in Harold en Italie, il coro nel prologo della sinfonia Roméo et Juliette, un narratore in L’Enfance du Christ; non si affidò, più, invece, a un programma scritto, trovando la soluzione troppo ingombrante.

Una caricatura di Hector Berlioz.

Che cosa ne pensavano gli ascoltatori del 1830 della sconcertante prima sinfonia di Berlioz? Il mondo della Symphonie Fantastique deve essere sembrato troppo dirompente, perfino agli intellettuali, proprio come era stato per l’Hernani di Hugo. Le ottave consecutive di tono dominante, tendente alla tonica, della prima battuta della sinfonia sembrano un preciso messaggio sovversivo, come lo era stato il celebre «enjambment» di Hugo all’inizio di Hernani. Un compositore moderno come Schumann, addirittura, non riusciva a capire le misure d’apertura e pensò che il si diesis del fagotto fosse un errore di stampa. I liberali di Parigi condivisero questa eccitazione, soprattutto quelli che si erano appassionati a Shakespeare: scrittori minori, come i fratelli Emile e Antony Deschamps, grandi personaggi come Vigny, Balzac ed Hugo. Ai tradizionalisti non piaceva quell’enfasi, e si dice che Rossini coniasse, al tempo, il migliore dei suoi «mauvais mots»: «meno male che non è musica». I professori del conservatorio furono pronti a esprimere le proprie riserve, e la stampa, preoccupata degli avvenimenti politici del 1830, prestò poca attenzione alla prima rappresentazione. In Germania, tuttavia, Schumann conobbe la Symphonie Fantastique tramite l’adattamento per pianoforte eseguito da Liszt nel 1831; fu grazie a questo e all’analisi di Schumann sul Neue Zeitschrift fuer Musik che l’attenzione dell’élite musicale europea si puntò su Berlioz e sulla sua musica. Schumann intuì presto l’inutilità di suonare questa musica al pianoforte, scoprendo che l’aspetto più notevole dello stile era quello orchestrale. La novità della Fantastique era caratterizzata da una grammatica sfacciata che offendeva l’orecchio tedesco, Schumann lo chiamò «avventuriero», ma lo ammirava molto, tant’è che lo soprannominò anche «il terrore degli ignoranti».

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Kern Holoman, professore di musica alla University of California, Davis, è autore di «Berlioz» e del catalogo delle opere del compositore francese, oltre che curatore per le New Berlioz Editions del «Romeo e Giulietta»; per i suoi studi è stato insignito della Legione d’Onore.