di Enzo Fabiani

(Pubblicato sul n. 4 di Amadeus, marzo 1990)

Irrequieto fin dai tempi della scuola con una grande passione per la musica

Ha realizzato la «S» che orna una porta famosa nel mondo della musica: quella del ristorante Savini della Galleria di Milano. Allorché decise di abbandonare il jazz, Trieste e la radio, quest’uomo, quasi un tarantolato, giunse nel capoluogo lombardo per dare vita alla sua attività di artista figurativo: nacquero così i suoi «baroki» con i memorabili ritratti di Saba, Joyce, Kafka e Svevo e anche quelle delicate figure di ballerine e di altri protagonisti della vita di ogni giorno. All’ombra della Madonnina, dopo la decorazione, la pittura e la musica, aveva scoperto la sua nuova «morosa».

Lo scultore triestino Bruno Chersicla è molto noto ai più grandi cantanti lirici, direttori d’orchestra e solisti; o meglio, molto nota ad essi è un’opera sua, davanti alla quale si fermano sorpresi quando, finito il loro lavoro alla Scala, vanno al Ristorante Savini, nella Galleria di Milano. Di Chersicla infatti è la bellissima porta di legno africano akoumé, aprendo la quale si entra, appunto, nel ristorante.
La guardano, e ogni volta si meravigliano dell’armonia della «S» traforata, incorniciata e colorata, che è poi la lettera iniziale del cognome di Savini Virgilio «l’astuto ragazzone di Valcuvia», come ha scritto uno storico di cose milanesi «che alla fine del secolo scorso intuì le possibilità e il destino della sgangherata Birreria Stocker, acquistandola e avviando all’insegna del proprio nome il “Maxim” di Milano, destinato a diventare, con autonoma dignità, il ‘Savini’ e basta».

Scorcio del salone di villa Erba a Cernobbio che nel 1989 ha ospitato la mostra delle sculture lignee di Bruno Chersicla.

Una curiosità per i turisti, ma non è tutto. La porta del famoso ristorante non viene soltanto a completare degnamente – dopo il giardino d’inverno costruito da Porcinai – la struttura edile del locale: s’inserisce anche in uno spontaneo programma di «riscatto sociale», diciamo, di quel braccio di Galleria conquistato dall’avanzata degli hamburger e delle patatine fritte. Di questo preciso parere, almeno, è Alfio Bocciardi, indomito «patron» del Savini e committente, nel 1985, della porta chersiclana, che è diventata una curiosità anche per i turisti italiani e stranieri (e sembra anche per diversi miliardari americani, che l’hanno voluta uguale, ma ovviamente con la lettera iniziale del loro cognome).
È un fatto curioso. Ma ancor più singolare è che Bruno Chersicla (scomparso nel maggio del 2013), oltre ad essere uno dei più eccellenti scultori italiani in legno, ammirato persino al Beaubourg di Parigi dove ha esposto qualche anno fa, è stato anche eccellente musicista, allievo del Conservatorio di Trieste, virtuoso di contrabbasso, chitarra e pianoforte e «profeta» del jazz in Italia, in quanto cofondatore e colonna del «Trieste Jazz Ensemble», un complesso che nell’ultimo dopoguerra non solo incantò i soldati americani di stanza a Trieste e Aviano, ma molto contribuì a diffondere da noi quella musica bellissima, che allora era ancora in gran parte sconosciuta.

Il Trieste Jazz Ensemble nella formazione del 1960: Bruno Chersicla è il contrabbassista, al piano Severino Sever.

Il mago dai capelli rossi
Ma prima di parlare di Chersicla «profeta» del jazz, vediamo un po’ il personaggio: che tale è davvero, per come vive, veste, parla, sogna e lavora. Innanzitutto va detto che egli vive a Zoccorino di Besana in Brianza in una antica filatura-filanda simile a un caravanserraglio tutto stanze e stanzette, scale misteriose, botole, grandi vasche ormai asciutte ma ugualmente impressionanti, per le quali egli si aggira come un mago dai capelli rossi. E racconta come prima rivelazione al visitatore sbalordito, che tutta la sua vita è stata segnata dal fantasma (o almeno da lui creduto tale) di un violinista vagabondo anche lui dai capelli rossi, il quale cominciò ad apparirgli a Trieste, nella trattoria di suo padre, eppoi si è fatto rivedere spesso e volentieri lì, a Zoccorino.
«Già, sì – dice Chersicla – mio padre aveva una trattoria e quindi, almeno da ragazzo, non ho patito la fame. Ma questo è secondario: l’importante è che in trattoria imparai le cosiddette ‘canzoni d’osteria’ non solo, ma anche le canzoni del porto: piccoli capolavori che poi rielaboravo in chiave jazzistica … Mi capisci, meravigliando tutti, americani e triestini. Eh, sì: furono anni fantastici, anche perché, ascoltami, in quel tempo ero indeciso fra tre donne, non sapevo cioè quale sposare… Non meravigliarti, e non pensarmi un dongiovanni: si chiamavano ‘Decorazione delle navi’, ‘Pittura’ e ‘Musica’. Mi capisci? …».

Una xilografia di Chersicla dal titolo «cello».

Infatti Bruno Chersicla, dopo le elementari, si era iscritto all’Istituto d’arte per l’arredamento e la decorazione della nave e degli interni, del quale era presidente il grande scultore triestino Marcello Mascherini. Lì imparò a disegnare, a conoscere i legni e i tessuti, i colori eccetera, e con così grande profitto che ancor prima del diploma gli fu richiesta la decorazione della «Stanza da fumo» di una nave in ristrutturazione: decorazione che egli fece bellissima, giocando con il motivo delle piante e foglie di tabacco. Ci fu meraviglia in tutti; fuor che nel preside dell’Istituto, il quale chiamò Chersicla e lo rimproverò severamente, avendo saputo che la sera, e fino alle ore piccole della notte, egli se ne andava a suonare la chitarra e il pianoforte nei «localacci» del porto …

Il momento di mollare gli ormeggi
Si profilava, anzi si concretava, il tradimento della «prima donna» da parte di Chersicla; bisogna però fare attenzione: non era per la «Signora Musica» bensì per la «Signora Pittura». Nel 1858 egli infatti andò a visitare la Biennale di Venezia e rimase come folgorato dalle opere dello spagnolo Antoni Tapies, grande o comunque famoso maestro della pittura informal-materica. E rimase folgorato al punto che, mollati gli ormeggi di navi e bastimenti, divenne pittore a tempo pieno (anche se già c’era in atto il tradimento con la «Signora Musica», come vedremo).

Ritratto di Antonio Vivaldi (Acquaforte).

Piccoli quadri, bellissimi e importanti (almeno nel loro genere), che subito fecero scandalo; ma colpirono anche uno dei grandi poeti italiani e critico d ‘arte espertissimo: cioè Leonardo Sinisgalli, fondatore, tra l’altro, della celebre rivista «Civiltà delle macchine». Orbene, Sinisgalli entrò in una galleria di Lignano Pineta, vide i quadri di Chersicla e li comprò tutti. Scrisse poi una nota, che venne pubblicata in seguito anche in volume, dove si sosteneva che «il più geniale epigono dell’lnformel è un ragazzo di Trieste. Le sue opere più preziose hanno il formato di una mattonella. Polveri, paste, impiastri di un Oriente che comincia a Porto Corsini e attraversa Aquileia. La cupa angoscia di Tapies ha fabbricato questo chierico a dispetto. Come l’uovo della gazza covato dal cuculo. È nato a due passi da San Marco e da Bisanzio. Ed è una fortuna poter leggere nelle sue opere-documenti non truccati, documenti espliciti, puerili – le influenze della nera Spagna di Tapies e della Francia pata-fisica di Dubuffet. Leggere come la civiltà del retroterra, le civiltà del convento e della bottega, della preghiera e della crapula, si siano di sciolte nella operosità di squadra degli arsenali, dei bacini, per una specie di ritorno al ‘plein air’, a orizzonti più felici: isole, penisole, estuari, delta, promontori, più aperti orizzonti pagani».
Chiunque avrebbe fatto salti di gioia e sarebbe corso a Roma, dove Sinisgalli l’aveva invitato per una mostra; ed invece Chersicla non si mosse, o almeno si mosse quando oramai era tardi: la «terza donna» l’aveva ormai legato strettamente a sé. Metafore a parte, entrato in crisi come pittore e «perdendo tempo con grande tristezza, avendo capito che sarei forse diventato un epigono», Chersicla si gettò nelle braccia della «Signora Musica», che gli occhieggiava da molto tempo, amorosa e possessiva: così, addio Tapies e arriva il jazz. Così, dopo qualche sbandamento, Chersicla si iscrisse al Conservatorio, dove il maestro Benasso, primo contrabbasso alla Filarmonica del Teatro Verdi, rimase stupito della «Cavata» del giovane allievo: «Perché – dice Chersicla -, se la cavata, specialmente nel contrabbasso, non c’è, è meglio cambiare mestiere. Ed invece io, devo dirlo, l’avevo meravigliosa. Tre anni e più di studio, anche con un grande violoncellista, il maestro Bisiani, col quale studiavo teoria… “Violoncello sì, ma anche il pianoforte. Sai che io non riesco a dormire se non ho vicino un pianoforte? Questo a Trieste, questo a Zoccorino e questo a Milano, dove sto sistemando una cascina per farmi un nuovo studio… Be’, come ho scritto in una didascalia ad un mio libretto autobiografico disegnato: Conservatorio Tartini, tre anni. Febbre del jazz. Radio Trieste americana. Ecco, ecco il problema. Dalla fine della guerra a Trieste ci sono le truppe americane, c’è il Governo Militare Alleato, c’è la radio americana che trasmette jazz dalla mattina alla sera…

Bruno Chersicla nel suo studio.

«Passata questa fase – continua Chersicla – in cui ero ancora un ragazzino, feci una conoscenza di temi, di motivi sempre più approfondita: mi aiutava moltissimo l’ascolto della radio… Allora, eravamo ormai nel 1958, cominciai a frequentare altri jazzisti: tra i quali il batterista Mario Clema (che oggi canta e suona in California, pensa!), e che era formidabile: suonava dodici strumenti … No, io non ho suonato sulle navi: con il ‘Trieste Jazz Ensemble’ suonavamo dove capitava: per i soldati americani, nei night club ed anche altrove. Eravamo presi dalla ‘febbre’ di cui ti ho detto. Mio Dio quanto amavo la musica e quanto amavo il mio contrabbasso. Mi viene in mente una frase, non so bene se è mia, che dice: ‘Il contrabbasso se c’è non si sente, se non c’è si sente. Questo, per dirti come ero fissato sulla musica, sul mio strumento; com’ero convinto della nostra azione musicale innovatrice, che del resto si trova citata nelle storie della musica nuova riguardanti quel periodo e anche nelle enciclopedie musicali».

In Lombardia trova la nuova materia
Poi, altro tradimento dell’irrequieto e diremmo tarantolato Chersicla: addio Trieste, addio jazz. Se ne andò; o meglio, se ne venne a Milano, dove, come scrisse ancora il fedele suo ammiratore Leonardo Sinisgalli, dovette fare i conti, lui che della poesia aveva conosciuto un volto cieco se pur ridente, con l’aspra voce e la sagoma dura della Minerva tecnologica. Allora forzò il processo di raffinazione della sua immensa riserva di greggio. Nacquero i ‘cerambici’, gli insetti non tanto diversi dalle larve di prima»; e nacquero poi i «baroki» e i memorabili ritratti in legno di Saba e di Joyce, di Kafka e di Svevo; di poeti, musicisti e cantanti e le impressionanti e delicate (da un punto di vista tecnico) composizioni di figure al naturale di ballerine, di motociclisti, calciatori e così via.

Chersicla nel «Duo d’archi», uno dei suoi «baroki».

Bruno Chersicla, insomma, in Lombardia aveva trovato la materia che doveva essere la sua nuova «morosa», dopo la decorazione, la pittura, la musica: e quella materia era ed è il legno. Ha scritto Gillo Dorfles che la particolarità di queste sue sculture «risiede soprattutto nella loro scomponibilità e nella possibilità di ottenere, attraverso i molteplici incastri, sempre nuove e inattese formazioni plastiche: ora quasi zoomorfe, ora simili a complicati e assurdi meccanismi, ora primitivi e ‘barocchi’ totem. Questi oggetti-esseri sono degli ottimi esempi di produzione artigianale, ma sono anche ricettacoli ironici e beffardi monstre di strane personalità giocose, dove la maestria esecutiva dell’artista si sposa con un evidente significato ludico».
Certo, per meglio capire le sculture, i ritratti e le composizioni di legno di Chersicla (il quale continua naturalmente a suonare ogni giorno il jazz, ma in privato, traendone spunti per i suoi lavori), è utile ricordare il Futurismo, inteso come dinamica anche interiore, e Depero e Arp: ma il segreto è nel loro «nocciolo musicale» , direi; cioè una melodia che si versa e riversa, scomponendosi l’oggetto, nel fiume della sorpresa e della fantasia, per poi ricomporsi nella quiete profonda e incantata della «pausa».
Domando a Bruno Chersicla se ha mai eseguito musica classica. Mi risponde: «Sì, una volta, ma fu come in sogno. Avvenne così: un pomeriggio eravamo al Conservatorio, una ventina di studenti con i nostri strumenti ad arco. Aspettavamo il professore, quando non so chi, se violino o violoncello, attaccò, mi pare, il «Largo» di Haendel, oppure qualcosa di Bach, non ricordo. Ebbene, anch’io cominciai a suonare: e subito mi sentii come preso da un sogno, da qualcosa di indicibilmente meraviglioso; e il mio strumento mi pareva un grande angelo che cantasse, implorasse… Ne ebbi paura. E subito attaccai un pezzo vorticoso di jazz, per liberarmi da quell’incantamento: che stranamente mi richiamava il suono del violino del violinista vagabondo dai capelli rossi… Te ne ho parlato prima, no?».

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Enzo Fabiani è critico d’arte di “Oggi” e caporedattore del mensile “Arte” edito da Giorgio Mondadori

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