Si è spenta il 13 maggio 2022 all’età di 89 anni Teresa Berganza, una delle più raffinate interpreti rossiniane e mozartiane, applaudita in tutti i teatri del mondo, il suo repertorio era vastissimo. Si dedicava all’insegnamento quando, nel 2010, ha rilasciato ad Amadeus l’intervista che qui pubblichiamo dove svela con estrema sincerità il suo carattere, i rimpianti, le speranze, le sue idee sul mondo che si è impadronito della sua vita: la musica. Vogliamo ricordarla così, come lei si descrive.
Teresa Berganza: un atto d’amore
di Patrizia Luppi
(Pubblicato sul n. 242 di Amadeus, gennaio 2010)
Il mezzosoprano madrileno, grande interprete di Rossini e Mozart, musicista e docente appassionata,
donna dalla straordinaria carica umana, si racconta.
Perfino un critico implacabile come Rodolfo Celletti fu conquistato dal suo Rossini e le riconobbe, nell’Isabella dell’Italiana in Algeri, «inappuntabile vocalizzazione… grazia squisita … grande finezza e grande eleganza». In sintesi, ecco alcune delle principali doti che hanno fatto di Teresa Berganza nei decenni passati una protagonista del nuovo modo di interpretare la musica rossiniana.
Tra le più grandi cantanti del Novecento in assoluto, la Berganza resta indimenticabile anche e soprattutto nei ruoli mozartiani: per le sue doti vocali senza confronti, oltre che per un aspetto fisico molto attraente anche in età matura, fu scelta, a quarantaquattro anni, come Zerlina da Joseph Losey per il suo Don Giovanni cinematografico. Musicista a tutto tondo (studiò anche il pianoforte contemporaneamente al canto), ora il settantaquattrenne mezzosoprano madrileno, che ha smesso da non molto di dare concerti, si dedica soprattutto alla sua attività di docente in numerose masterclass, condividendo con i fortunati allievi non soltanto la sua straordinaria sapienza musicale, ma anche il suo spirito vivo, mercuriale e la sua personalità profonda mente umana. Abbiamo incontrato Teresa Berganza a San Marino dove ha tenuto, appunto, una masterclass nel corso delle manifestazioni del 3° Concorso Internazionale Renata Tebaldi per giovani cantanti, della cui giuria era presidente.
«Già due anni fa, quando partecipai per la prima volta, sono stata molto felice di vedere come lavorano tutti, davvero con amore, per questo Concorso che è tra l‘altro molto ben organizzato. Naturalmente è così difficile giudicare, noi che siamo in giuria abbiamo nature differenti, ognuno sente il canto in maniera diversa ed è giusto che sia così, altrimenti canteremmo tutti nello stesso modo o avremmo la stessa voce; ma insomma, ciascuno ha i suoi gusti, il suo modo di sentire la musica, la sua sensibilità e qualche volta è molto difficile mettersi d’accordo».
Ci saranno, come sempre, concorrenti provvisti di grandi doti ma di poca tecnica.
«Ah sì, certe volte è proprio necessario dire: fermati e ricomincia tutto da capo. L’abbiamo fatto anche durante una delle eliminatorie di questo Concorso: una voce stupenda completamente persa, con un repertorio impossibile.
È una cantante giovanissima, dove la faranno arrivare in questo modo? Ci venivano le lacrime agli occhi. Oltretutto, si possono dare dei consigli, ma non sempre i giovani li accettano; le assicuro che arrivano ai concorsi credendo di essere già la Tebaldi».
Tanti giovani sono ancora agli inizi ma hanno già un agente e ingaggi in paesi diversi: una volta non era così.
«È molto pericoloso. Prima di tutto ci sono maestri che non sanno niente, e sono tanti: potrei dire il cinquanta per cento. Danno lezioni di canto solo per guadagnarsi la vita; forse sono persone a cui piace la musica, hanno cantato in un coro, sono pianisti, ma senza la minima idea della tecnica. Molti ragazzi cadono in queste mani e non hanno la forza di riscuotersi, di rendersi conto che è un male per loro seguire quella strada. Ma insomma, come si può a vent’anni cantare La traviata? Bisogna invece cominciare con “O del mio dolce ardor” di Gluck, con Monteverdi per dire la parola, con gli oratori di Bach, con il Brahms meno difficile: si deve cominciare dalla base. Perché non crolli, una casa deve essere costruita non a partire dal tetto, ma dal terreno. Invece è per questo motivo che vediamo cadere tante voci già in carriera. Io stessa, due mesi dopo il mio debutto alla Scala nel 1958 nel Comte Ory, che ebbe un successo enorme, mi sentii offrire di cantare La traviata. Avevo ventitré anni ed ero mezzosoprano. Siccome però la mia voce andava bene negli acuti come nel centro e nei bassi, e avevo l’agilità, i dirigenti del Teatro pensarono di aver trovato una Violetta giovane e mi invitarono. Ma io risposi che si erano sbagliati completamente, che non avrei mai cantato La traviata in vita mia, a meno di un miracolo. Persino la mia maestra, che era stupenda, in quel caso perse un po’ la testa e mi propose di aiutarmi a preparare la parte. Dissi no, grazie. Questo per spiegare che non solo gli insegnanti, ma anche i cantanti devono avere una testa, sapere cosa scegliere».
Quali sono i principali consigli che lei offre a un giovane cantante?
«Tutti noi abbiamo questo strumento – la laringe – che è delicatissimo: non lo possiamo pulire, non possiamo cambiare una corda. È soggetto al nostro stato di salute e alla tecnica che deve far vibrare quelle due corde vocali senza forzarle mai. E bisogna amare questo suono e metterlo a disposizione dei grandi compositori. Rispettarli, rispettare il testo, perché questi autori, quelli geniali, hanno messo la musica giusta per ogni parola, e se questa parola ha un accento anche là musica ha un accento, se parla di una cosa leggera i compositori scelgono un fraseggio leggero.
Una delle cose più gravi oggi è che i giovani non studiano lo spartito: ascoltano i dischi, guardano i dvd e si accontentano. Ecco perché, quando tengo le mie masterclass, ho sempre lo spartito in mano: perché voglio che gli allievi cantino quello che c’è scritto, segno per segno. L’interpretazione arriva dopo».
Oggi, poi, è sempre più importante la presenza scenica.
«Beh, io ho sempre voluto vestirmi molto bene nei miei recital. Fin da quando ero molto giovane ho sentito che, quando entravo in scena, la reazione del pubblico dipendeva da come ero vestita. E poi ho pensato: il canto è un atto d‘amore, soprattutto in recital quando sono sola e dedico tutto a chi mi ascolta. Il pubblico è il mio amante; e per un amante non ci si prepara nel modo migliore?».
Anche nelle opere, però, si richiede sempre di più un aspetto avvenente.
«Certo, per stare nudi in scena bisogna per forza avere dei bei corpi. Non mi piacciono certe regie di oggi. Un compositore del ‘700 si basava su un testo di quell’epoca e non pensava come nel 2000: non si può cambiare il suo lavoro come non si può cambiare un dipinto, bisogna rispettarlo. Forse sono l‘unica a dirlo, forse sono la cattiva della lirica, ma sono molto contraria a questi spettacoli. Quando, anche molto giovane, ricevevo proposte di questo genere rispondevo sempre di no, ma forse io ho avuto una gran fortuna, la forza di impormi. Invece i giovani cantanti di oggi non possono dire di no, altrimenti non mangiano: ma è già difficile essere persone dei nostri tempi calate in una storia del Sei, del Sette o dell’Ottocento, figurarsi con questo tipo di regie. Insomma, se vogliamo fare del contemporaneo, scegliamo dei compositori contemporanei, e allora andremo in scena in bikini, o anche nudi, in piscina a cantare un‘aria».
C’è qualche ruolo che vorrebbe non aver sostenuto?
«Penso di non aver mai fatto un ruolo che non andava, se non nel caso di Charlotte del Werther che è stato uno degli ultimi. Andava bene per la mia voce, ma mi faceva male al cuore, mi dava troppa emozione. Mi ricordo quando l’ho cantato con Alfredo Kraus che mi diceva “Teresàita, mettici un po’ meno passione, perché poi devi arrivare agli acuti; l’emozione ti chiude la gola, devi essere più fredda”. Ma quel personaggio mi piaceva tanto. In quel momento stavo divorziando ed ero completamente Charlotte, ho portato la mia vita in quel ruolo e poi l’ho dovuto lasciare perché quando arrivava il duetto piangevo, non potevo cantarlo. Per il resto, la mia meravigliosa maestra ha cominciato presto a farmi cantare Rossini e io mi ci sono sentita subito benissimo. Studiavo gli spartiti – quelli che erano disponibili a quei tempi – e credo che uno dei motivi del mio successo, a parte il colore della voce, a parte la mia personalità di musicista e d’interprete, sia stato il rispetto della musica. Karajan era contentissimo di lavorare con una musicista; Abbado, Solti, tutti erano felici di poter parlare tra musicisti con me».
Una volta lei dichiarò che ogni mattina si sentiva costretta a prepararsi alla lotta quotidiana per l’esistenza.
«Era arrivato un momento della mia vita in cui mi dibattevo tra grossi problemi: una separazione, l’essere rimasta sola con i miei figli, la responsabilità della carriera, che poi è sempre stata la mia passione.
Devo dire che forse, se avessi dovuto scegliere tra la carriera e i figli, sarei rimasta con loro; per fortuna ho potuto avere entrambe le cose, ma la mia voce e il canto sono stati la vera passione della mia esistenza. È vero, a quell’epoca mi svegliavo e aprendo un occhio mi dicevo: devi fare questo, questo e questo. E mi preparavo alla lotta. In qualche modo, per me continua a essere così; ma a un certo punto mi sono detta che dovevo trovare un momento di pace, e tuttavia non riuscivo ad arrivarci da sola. Dodici anni fa, però, ho incontrato un’insegnante di yoga dopo un’operazione alla schiena che mi aveva lasciato una gamba paralizzata. Anche in quel caso mi sono detta: non sarò così per sempre, voglio camminare con la mia gamba; ho fatto sette anni di riabilitazione e ci sono riuscita. Nel frattempo ho trovato questa maestra e la mia vita è cambiata completamente. Lo yoga mi ha aiutato molto. Io sono una che non si ferma un momento, ho una testa che gira sempre e che pensa quattro cose alla volta: quando entro in meditazione, mi ritiro dal mondo e mi rigenero. Nel contempo ho cominciato a mangiare in modo più sano, a camminare un‘ora e mezza al giorno, a fare una vita – compatibilmente con le vite che facciamo noi – che mi sta dando grandi benefici».
Lei ha abbandonato l’attività concertistica di recente, che cosa l’ha spinta a questa decisione?
«Ho deciso di smettere nel 2008. Dovevo fare un recital, la voce stava bene; però proprio mentre cantavo la mia nipotina, che ha avuto una leucemia, era sotto i ferri in sala operatoria. Io lo sapevo ma mi ero detta: sono forte, canterò.
Ho incominciato e mi si è chiusa la gola. Ho perso man mano la voce, a un certo punto ero strozzata. Allora ho detto al pubblico: signore e signori, non ho più la voce, non posso cantare. E a me stessa ho detto basta. Non si può cantare soffrendo. Sono anche contenta, perché bisogna saper affrontare le grandi cose come le più difficili che arrivano in ogni istante e a ogni età; bisogna accettarle e saper essere felici per ogni momento della vita».
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Alcuni titoli essenziali dalla nutrita discografia di Teresa Berganza.
Prima di tutto un compositore di riferimento come Rossini: L’italiana in Algeri nell’edizione del 1963 con Alva, Corena, Panerai e Montarsolo, direttore Silvio Varviso (2 cd Decca 4758275).
La grande musica spagnola con La vida breve di Falla al fianco di Carreras e Nafé, direttore Garcia Navarro (Deutsche Grammophon 4698722, 1978).
Tra le molte registrazioni dedicate a Mozart, l’opera seria con La clemenza di Tito accanto a Schreier, Varady, Mathis, Schiml, Adam, direttore Karl Böhm (2 cd Deutsche Grammophon 429878 gx, 1979); e Don Giovanni con la regia cinematografica di Joseph Losey (1979), nel cast Raimondi, Moser, Riegel, Te Kanawa e van Dam, direttore Lorin Maazel (dvd Multimedia San Paolo DV 228); il film è stato pubblicato anche da Amadeus come supplemento al n. 6/2005 della rivista.
* Le parole sottolineate ed evidenziate in blu fanno riferimento a un link presente su internet, di cui consigliamo la visione.