di Callisto Cosulich

(Pubblicato sul n. 9 di Amadeus, agosto 1990)

Gli innumerevoli interessamenti cinematografici alla vita e all’arte del musicista
spesso sono stati influenzati dai rapporti politici tra la Russia e il mondo occidentale.

Il veto sovietico e i tagli subiti da «Music Lovers» di Russell.

 

Agosto 1939. Al Lido di Venezia il mondo a due dimensioni della Settima Mostra d’Arte Cinematografica, con le sue rassicuranti finzioni, forniva un ottimo antidoto alla minaccia crescente di una guerra che non appariva più scongiurabile. Pochi erano, infatti; i film che lasciavano trasparire, fosse pure in forma mediata, l’angoscia per quanto stava accadendo; men che meno il film tedesco Es war eine rauschende Ballnacht (Una inebriante notte di ballo), che si apriva sulle note, per l’appunto «inebrianti», del valzer di La bella addormentata nel bosco e si chiudeva su quelle meste del quarto tempo della Patetica: film diretto dallo stimatissimo «Herr Professor» Carl Froelich, presidente della Reichsfilmkammer e membro del Senato Culturale di Berlino, dove si percorreva una biografia del tutto immaginaria di Piotr Ilijc Ciaikovskij, conteso dalle più affascinanti attrici del cinema nazista (la svedese Zarah Leander e l’ungherese Marika Rokk). Ciaikovskij rimaneva stroncato dal colera, proprio nel momento in cui si apprestava a coronare il suo sogno d ‘amore con una ipotetica Katharina Murakina (la Leander), liberatasi finalmente dal facoltoso ma prosaico commerciante che l’aveva in sposa.
Fosse stato il 1940, Una inebriante notte di ballo avrebbe potuto inserirsi agevolmente nel pacchetto degli scambi culturali contemplati dal patto von Ribbentrop-Molotov, come «omaggio» tedesco a un artista russo. Ma eravamo nel ’39: il patto, al momento delle riprese, era ancora inimmaginabile; il film di Froelich si presentava come un semplice biopic, fatto a immagine e somiglianza di quelli che si producevano parallelamente a Hollywood; rappresentava, quindi, il volto dell’entertainment, per nulla sgradito a Goebbels, il ministro della Propaganda, che anzi non perdeva occasione di raccomandare ai suoi cineasti di non essere «noiosi».

Ciaikovskij tra Russia e America
            La Mostra di quell’anno si chiuse il primo settembre con un fuggi fuggi generale che coinvolse pure i membri stranieri della giuria internazionale, ansiosi di raggiungere i rispettivi Paesi. Niente premi, quindi, e pochi ricordi, spazzati via dalla invasione della Polonia: il critico musicale Bruno Barilli, prestato per l’occasione al cinema, nel servizio conclusivo redatto per il settimanale Oggi, da «Spettatore stralunato», quale egli si definiva, aveva totalmente scordato il film su Ciakovskij e rammentava soltanto un documentario nazista sulla marina e l’aviazione del Terzo Reich, «piccolo film che, a vedere, suscitava stupore e anche entusiasmo, dando un’idea esatta della impressionante potenza di armi e disciplina d ‘armati della Germania d’oggi».
Se Una inebriante notte di ballo giunse sugli schermi troppo presto per servire da «omaggio» all’arte e alla cultura russe, cinque anni dopo, ad alleanze ribaltate, tale compito fu assolto in modo egregio a Hollywood da Song of Russia, uno dei film realizzati negli Stati Uniti per rinsaldare il neonato sodalizio tra l’uncle (zio) Joe e l’uncle (zio) Sam, nel momento in cui l’«amico sovietico» reggeva sulle spalle l ‘intero urto delle armate tedesche. Ciaikovskij, il più «Occidentale» dei compositori dell’Ottocento russo, apparve l’artista adatto a fare breccia nella sensibilità musicale del pubblico nordamericano. Stavolta, a servire da viatico, non fu la vita, più o meno romanzata, del musicista, bensì la sola musica, in particolare il Concerto n. 1 per pianoforte e orchestra, che veniva diretto da Robert Taylor nelle vesti di un maestro statunitense, sorpreso dalla «Operazione Barbarossa» durante una tournée nel Paese di Stalin. Ambientato in una Russia veridica quanto la Venezia di Topo Hat (Cappello a cilindro), il celebre musical con Ginger e Fred, il film, diretto da Gregory Ratoff, un russo che non aveva atteso neppure la Rivoluzione d’Ottobre per emigrare in Occidente, descriveva la vita nei kolchoz come un continuo succedersi di feste folkloristiche: una sorta di paradiso terrestre, insomma, con coppie di contadini eternamente danzanti; un sogno, un delirio gioioso, interrotti dall’improvviso, proditorio sopraggiungere dei Panzer della Wehrmacht. Il film non fece in tempo ad arrivare in Italia, poiché la Metro Goldwyn Mayer, che ne deteneva i diritti, subodorando con notevole anticipo la «guerra fredda» prossima ventura, si premurò di riporlo nei propri cellari prim’ancora che i rapporti fra le due superpotenze si deteriorassero. Era destino comunque che Ciaikovskij continuasse a fungere da tramite nei rapporti cinematografici russo-americani anche in epoca più recente.

Un’immagine tratta dal film di Ken Russell
«L’altra faccia dell’amore»: Ciaikovskij (Richard Chamberlain) è con l’amatissima sorella Alexandra (l’attrice Sabina Maydelle).

Una pioggia di stelle
            Alla fine degli anni Sessanta, dopo il successo negli States di Vojna i mir (Guerra e pace), il kolossal di Sergej Bondarčuk tratto dal romanzo di Tolstoj, ci fu un immediato interessamento di Hollywood a realizzare delle coproduzioni cogli studi moscoviti. A darsi maggiormente da fare, fu il musicista Dimitri Tiomkin, altro russo emigrato, reso popolare dalla ballata country da lui composta per il western High Noon (Mezzogiorno di fuoco) di Fred Zinnemann e per avere dato le note alla tromba del degüello in Rio Bravo (Un dollaro d ‘onore) di Howard Hawks. Tiomkin riuscì a mettere in piedi una combinazione finanziaria tra la Warner Bros e la Mosfilm, per produrre un film sulla vita di Ciaikovskij. A interpretare il ruolo del compositore, fu chiamato Innokentij Smoktunovskij, vale a dire l’attore di maggiore prestigio del teatro e del cinema sovietici, che gli italiani ricorderanno di avere ammirato in Gamlet (Amleto) di Grigorij Kozincev e, più recentemente, in Oci Ciornie di Nikita Michalkov, dove egli impersonava il marito di Anna Sergeevna, la «Signora del cagnolino», e si lanciava in un memorabile duetto bilingue con Marcello Mastroianni. Anche la regia fu affidata a un personaggio di prestigio: Igor’ Talankin, che aveva svolto dignitosamente la propria parte durante il disgelo krusceviano e, nel ’68, si era distinto, dirigendo Dnevnye svezdy (Stelle di giorno), un film sull’assedio di Leningrado, visto secondo l’ottica molto soggettiva della poetessa: Ol’ga Berggol’c che, quella tragedia, l’aveva sofferta in prima persona. Purtroppo, sulle ragioni del cinema e della musica, prevalse in questa circostanza la ragione di Stato. Ne venne fuori un atto ufficiale, un’algida superproduzione in formato 70 mm, tipico parto dell’era brexneviana, detta della «stagnazione» : grigio, sterile, fissato in un linguaggio impersonale, asettico, burocratico, rituale così com’erano rituali gli itinerari che i turisti dovevano allora seguire e li portavano dalla metropolitana al cenotafio di Lenin, con tappe a Zagorsk e al Museo dell’Armata Rossa. Fu un disastro economico, aggravato dal forfait della Warner Bros, che si ritirò dalla combinazione. Il film ebbe scarsa diffusione persino nei Paesi promotori della iniziativa. In Italia poi, dei 191 minuti originali, ne rimase solo un centinaio. Tra l’altro venne soppresso il finale, risparmiandoci così la morte del musicista, vittima della epidemia di colera. La pellicola, che in origine si chiamava semplicemente Ciaikovskij, fu intitolata Una pioggia di stelle. In pratica, non la vide nessuno. Quasi contemporaneamente, però, un’altra vita di Ciaikovskij veniva girata in Gran Bretagna ad opera di Ken Russell, che non doveva rendere conto a nessuno, per sua fortuna, ubbidendo solo al proprio estro. Ken Russell, cineasta ricco di talento visionario, si era innamorato da tempo del personaggio e delle sue contraddizioni. Egli era versato nella musica fin dall’infanzia; poi, per la BBC, aveva diretto lavori televisivi su compositori celebri, da Prokofiev a Kurt Weill, da Elgar a Bartók, da Debussy a Richard Strauss: opere molto originali, che erano state etichettate come living biographies, site a distanza planetaria dalla normale divulgazione trasmessa per video. Russell, da tempo intrigato dal personaggio di Ciaikovskij, lo aveva introdotto nel suo film precedente, Women in Love (Donne in amore), usandolo come «maschera» indossata da un personaggio durante un ballo carnevalesco. Il particolare è importante per comprendere l’atteggiamento dell’autore nei confronti del musicista. Ciaikovskij, nelle mani di Russell, diviene un oggetto di travestimento, un manichino forgiato a significare il romanticismo decadente.
«È la storia di un omosessuale con una ninfomane», spiegherà il cineasta nel presentare il film.

Un’altra immagine tratta dal film di Ken Russell «L’altra faccia dell’amore».

L’idea della decadenza
            Evidentemente egli allude allo sfortunato matrimonio di Piotr Ilijc con Antonina Milyukova, che porterà lui sulla soglia del suicidio, lei in manicomio. Per Russell la musica di Ciaikovskij esprime come nessun’altra l’idea della decadenza e il cupio dissolvi. Anche il suo film, intitolato Music Lovers, abbreviazione dell’iniziale Ken Russell’s film on Tchaikowsky and the Music Lovers, utilizza a piene mani il Concerto n. 1 per pianoforte e orchestra. Ma lo fa, non per suggestioni esteriori, bensì come nodo essenziale della struttura narrativa del film. Assistiamo alla sua prima esecuzione pubblica: il primo tempo, l’Allegro, serve a descrivere i personaggi presenti alla esecuzione, cioè i futuri protagonisti della vicenda; il secondo, l’Andantino, diviene un sogno ad occhi aperti, il sogno della vita che il compositore avrebbe voluto vivere e che non ha mai vissuto; il terzo, l’Allegro con Fuoco, s’incen­ tra sulla futura moglie Antonina, anch’ella presente alla esecuzione, e sui suoi desideri morbosi. Fin da questa lunga sequenza tripartita, Russell usa con spregiudicatezza il kitsch, come – nella fattispecie – i cliché del cinema pubblicitario (controluce, sfocature, alonature, ecc.). Tale tecnica, egli la porterà ai limiti estremi nella sequenza della Ouverture 1812, girata con una violenza visiva che lascerà perplessi i «puristi», forse dimentichi che Russell si associava così alle rispettabilissime tesi di chi, come Oscar Wilde, vedeva nell’arte la forma tipica della esagerazione, la intensificazione dell’enfasi, o addirittura di coloro che, come Baudelaire, Jean Rostand e Marcel Duchamp, cantavano le lodi del cattivo gusto. Naturalmente un siffatto atteggiamento scandalizzò i benpensanti, a cominciare dai sovietici, i quali ne fecero una questione politica, attribuendo a Russell la deliberata intenzione di offendere con immagini triviali una loro gloria patria. D’altra parte, se è vero che il film non riuscì a varcare la frontiera dell’URSS, è anche vero che esso ebbe a combattere con varie censure occidentali, le quali ravvisarono in alcune sequenze una inammissibile carica di violenza e di erotismo. In Italia, per esempio, dove il film fu presentato col titolo quanto mai volgare L’altra faccia dell’amore, la censura intervenne sull’allucinante scena della pazzia di Antonina, mutuata dal Marat­ Sade di Peter Brook e ispirata anche ad alcuni stilemi del cinema m uto.

Musica da vedere
            Lo straordinario di Music Lovers, uno dei rari film in cui la musica, oltreché farsi sentire, si lascia in un certo senso vedere, sta appunto nel suo accostarsi, nonostante la colonna sonora quanto mai fragorosa, alla esagitazione visiva dei film muti, ossia a film che hanno assunto l’aspetto di un cinema sognato, più che effettivamente esistito, come avviene di certe immagini enormi, mitiche, che ci portiamo appresso dalla prima infanzia.

Glenda Jackson (la prima a destra), interpreta la moglie di Ciaikovskij.

Naturalmente i rapporti fra il cinema e la musica di Ciaikovskij non si esauriscono in questi pochi titoli. C’è stato un altrto biopic, The Song of My Hearth, di Erich von Stroheim e Flesh and the Devil (La carne e il diavolo), di Clarence Brown con la Garbo. Il film è passato anche sugli schermi italiani col titolo Si velarono le stelle, ma se ne è perduto il ricordo. Almeno due volte, poi, si è fatto un uso non banale di alcune partiture famose: in Unfaithfully Yours (Infedelmente tua) di Preston Sturges (nel quale l’Ouverture della Semiramide, il Coro dei Pellegrini del Tannhäuser e la fantasia sinfonica Francesca da Rimini stimolano un direttore d’orchestra, convinto della infedeltà della propria moglie, a tre diverse soluzioni della crisi coniugale: l’uxoricidio, Rossini; il perdono, Wagner; il duello col rivale, Ciaikovskij) e in Rapsody (Rapsodia) di Charles Vidor, dove Vittorio Gassman era combattuto tra l’amore possessivo della frivola Liz Taylor e l’impegno che egli metteva nel suonare il Concerto per violino di Ciaikovskij. Infine, non va dimenticato l’episodio dello Schiaccianoci in Fantasia, che Walt Disney ha risolto con una danza animata di ortaggi, debitamente antropomorfizzati: l’unico episodio in cui l’animazione avesse un rapporto diretto, concreto, colla musica prescelta, cosa del resto ovvia, poiché la musica di Ciaikovskij è quasi tutta da «musica a soggetto», cioè una musica fatta su misura per un’arte, il cinema, che, all’epoca del compositore, era ancora di là da venire.