di Carlo Delfrati

Amadeus n. 5 aprile 1990: ha inizio la pubblicazione della rubrica “Le Parole della musica” a cura di Carlo Delfrati, uno dei maggiori esperti in didattica musicale e autore di diffusissimi corsi per le scuole medie.
Con questa rubrica si è cercato di chiarire il significato di alcuni dei più frequenti (ma anche dei più insoliti) termini usati dagli addetti ai lavori.
La rubrica Parole della musica si protrae fino al n. 73 del dicembre 1995 e viene sostituita dalla rubrica Scuola cui farà seguito il supplemento ScuolAmadeus.

Chi ha visto quella scena del film L’Esorcista difficilmente l’ha dimenticata: la bambina protagonista parla improvvisamente in un modo strano, che nessuno capisce: che sia una lingua inventata da lei, sull’esempio di Ildegarda di Bingen, musicista e santa? Ahimè no, a sciogliere l’enigma è il registratore, che permette di riascoltare, tante e tante volte, il discorso della bambina: sempre invano, finché qualcuno non pensa di far girare il nastro a rovescio; e allora i familiari scoprono un lungo sensato discorso, e una deduzione che fa accapponare la pelle: la bambina è posseduta da un essere preternaturale. Parlare all’incontrario è una cosa che possono fare soltanto gli esperti di giochi enigmistici, ma, faticando, su tre, quattro parole al massimo: ROMA ORAVA al rovescio fa AVARO AMOR. Solo un’indemoniata può parlare per mezz’ora in questo modo.
Però, se la bambina avesse usato questo sistema cantando «la la la» o suonando il flauto, non ci sarebbe stato bisogno di scomodare l’esorcista e invocare «Vade retro Satana». Perché quello che nel linguaggio verbale sarebbe una stregoneria, in musica è una pratica innocua e serafica. Prendi una melodia, anche Il piccolo montanaro, suonala dalla prima nota all’ultima, seguendo diligentemente il pentagramma, da sinistra a destra, come si usa; e ora risuonala, però, stavolta, partendo dall’ultima nota per retrocedere alla prima. Nessuno profferirà scongiuri: i musicisti hanno sempre praticato questo artificio; si chiama suonare all’incontrario, oppure al roverso, oppure per moto retrogrado, o infine cancrizans (ancora oggi qualcuno dice per moto cancrizzante, un po’ per snobismo astrologio, un po’ con riferimento al gambero: che appunto cammina all’indietro).
Le certezze non appartengono a questo mondo: troviamo un canone rinascimentale costruito con una voce che va per la sua onesta strada, ed ecco che gliene si sovrappone un’altra, al roverso. Tutto normale, l’abbiamo detto. Ma qual è il suo titolo? Vade retro Satana! Il musicista non perde mai il vizio di celebrare riti neri per tener lontani i profani dai segreti del suo mestiere: da Orfeo al Leverkühsen di Mann, quanti musicisti hanno patteggiato col diavolo!
Leverkühsen è il protagonista del romanzo Doktor Faustus, e si sa che il referente era un musicista in carne e ossa, Schönberg, l’ideatore – come Leverkuhsen nel romanzo – della dodecafonia. Nelle musiche dodecafoniche il moto retrogrado (o retrogradazione) è una delle varianti fondamentali nella composizione. E contribuisce efficacemente a creare quel senso di perenne «imprevedibilità» che è la base stessa di questa musica. Ma come si diceva, Schönberg non ha fatto altro che usare con rigorosa sistematicità una prassi che risale al Medioevo. Dove vedi alfa, lì considera omega traduciamo il titolo di una composizione del tempo; e il grande Machaut ne intitola una Ma fin est mon commencement: sempre canoni, in cui la seconda voce esegue la melodia originale More Hebraeorum (Al modo degli ebrei), altro titolo di un canone cancrizzante del tempo: ossia leggendo da destra a sinistra.
Venuta l’età dei lumi e dimenticati i roghi delle streghe, l’artificio ex satanico diventa oggetto di frivolezza giocosa: Haydn costruisce con la tecnica retrograda l’intero Minuetto della sua Sinfonia n. 47, e si ripete in un paio di Sonate. Beethoven stesso arriverà a usare il moto retrogrado in uno dei suoi più alti capolavori, la «Sonata Hammerklavier» op. 106. Ma il maestro indiscusso (e tanto imitato, per esempio dal nostro Clementi in Gradus ad Parnassum) è Johann Sebastian Bach, che impiega la retrogradazione con estrema nonchalance, la stessa che esibisce nella padronanza di tutti gli altri artifici contrappuntistici. L’ Arte della fuga ci offre gli esempi più lampanti.
A questo punto è lecita una perplessità. Quando un compositore immagina la propria melodia, la immagina per il senso che le note acquistano, succedendosi via via l’una dopo l’altra, nel loro logico ordine temporale. Com’è possibile che la semplice inversione di marcia conservi ancora un qualche senso? Non è un puro artificio, un gioco se si vuole, privo di valore espressivo? Non è come vedere un film srotolandolo dall’ultima sequenza alla prima? La verità è che ogni linguaggio ha, per così dire, i suoi meccanismi di funzionamento: e la retrogradazione è sempre stata vissuta dai compositori come un forte stimolo alla fantasia. Se nei casi meno ispirati si riduce ad artificio meccanico (ma questo succede con qualunque applicazione tecnica, anche con la fuga o con la modulazione), nei casi più alti, da Machaut ai Quaderni di Annalibera del nostro Dallapiccola, passando per Bach e Beethoven, il compositore sente la melodia retrograda come un vincolo formidabile, che solo un’altrettanto formidabile fantasia è in grado di far interagire con le altre voci della composizione. Un po’ come un architetto o un arredatore che si veda costretto a inventare una soluzione inedita intorno a una struttura preesistente e casuale.
La genialità, sono in tanti a ripeterlo, si vede dai limiti che assumi e con i quali ti confronti.

(Amadeus n. 35 ottobre 1992)