di Enzo Fabiani

(Pubblicato sul n. 15 di Amadeus, febbraio 1991)

Nel pieno della Belle Époque la decorazione visiva dilagò soprattutto
nelle edizioni a stampa delle chansons legate all’ambiente dei caffè concerto.
Queste immagini oggi ci coinvolgonoin una narrazione appassionata e romantica.

          Johannes Brahms così scrisse nel 1894 al pittore Max Klinger: «Vedo la musica e la bellezza delle parole ed ecco che, senza che me ne accorga, i Suoi magnifici disegni mi portano più lontano; guardandoli mi sembra che la musica continui a risuonare all’infinito e che esprima tutto ciò che avrei voluto dire». Queste parole del compositore tedesco sono probabilmente il più alto riconoscimento che un pittore abbia mai avuto per avere «illustrato» uno spartito musicale, per avere cercato mediante figure o forme se non di migliorare, di arricchire in qualche modo la composizione, di avvicinarla all’ascoltatore.

Dall’alto, illustrazioni di Maurice Realier-Dumas (1896), Georges Dola (1905), e Marcello Dudovich (1907).

L’occasione di quei complimenti fu data al maestro (come scrive Giovanni Fanelli in Musica ornata, lo spartito Art Nouveau dell’editore fiorentino Cantini) dalla «apparizione del ciclo di incisioni Brahmsphantasie, uno dei risultati più alti di emulazione fra musica e arti figurative nella storia dell’arte contemporanea. Dell’interesse di Klinger per questo rapporto sono preziosa testimonianza gli spartiti da lui disegnati per sei Lieder dello stesso Brahms ben otto anni prima. «Alcune delle copertine» continua lo studioso «mostrano ancora il prevalere dell’intento illustrativo dei Lieder, ma altre, come Arion, anticipano l’aura epica e ricca di echi e di evocazioni che si realizzerà appieno nel ciclo di acqueforti. Negli spartiti Klinger include il titolo e la cornice nella·concezione della composizione. L’unione di suono, parole e immagini fu il tema centrale e unitario che ispirò anche il ciclo di incisioni».
1894: siamo in piena Belle Époque (che secondo alcuni sarebbe iniziata nel 1880, culminata nel 1900 con la Exposition Universelle e conclusa nel 1914 con la tragedia di Serajevo), e quindi in un periodo vivacissimo dal punto di vista economico, culturale e diciamo godereccio, che ha ovviamente il suo centro in Parigi; periodo del quale noi abbiamo in realtà un’immagine glorificata visivamente da pittori come Toulouse­ Lautrec e Boldini, e letterariamente da Marcel Proust, da Paul Verlaine e altri grandi. Glorificata, e quindi soltanto in parte rispondente alla verità, poiché, se osserviamo le immagini fotografiche del tempo, restiamo sorpresi dalla mediocrità ad esempio della messinscena degli spettacoli, dalla non avvenenza delle ballerine (basti vedere la faccia ottusa che aveva la celebre La Goulue) e via seguendo.
Tuttavia il trionfo della musica (come anche della pittura grazie agli Impressionisti e associati) ci fu, e specialmente su un piano più o meno «leggero»; anche se nel periodo contemplato non mancarono novità d’eccezione ad esempio nel campo operistico: e basti ricordare Aida di Verdi del 1880, Manon di Massenet del 1884 e, dello stesso, Thais dieci anni dopo, Tosca di Puccini nel 1897 e Louise di Charpentier nel 1900, Salome di Strauss nel 1910; per non parlare dei vari lavori di Debussy, Dukas, Wagner, Ravel, Gounod eccetera, in una fitta sequenza di proposte spesso importanti, a volte memorabili, che però – per ritornare al discorso iniziale – raramente costituirono occasione (a parte le scene e i costumi, in diversi casi) di «emulazione fra musica e arti figurative» nel senso indicato.
Tutt’al più si ebbero delle interessanti copertine degli spartiti: ecco infatti quelle di Adolfo Hohenstein, primo direttore artistico della Ricordi, per Selection from Tosca, di Puccini; di Jules Chéret per Joyeuse marche, di Emmanuel Chabrier; di Eugène Grasset per Enchantement e Esclarmond di Jules Massenet; di Fritz Erler per la serie di Lieder di Richard Strauss, tanto per citare qualche esempio.

Accattivante veste grafica
          Dove invece l’illustrazione dilagò, in milioni di copie, fu nelle edizioni di chansons di tutti i tipi, di quelle musiche che nella maggior parte avevano il loro epicentro nel Caf’Conc, cioè nel Caffè Concerto, dove si scatenavano Yvette Guilbert e La Goulue, Eugénie Buffet e Aristide Bruant, trasformando i vari Chat Noir in paradisi artificiali dell’amore e della fantasia, in cui ricchi e poveri andavano in visibilio contemplando magari Yvette Guilbert con il suo «magro corpo snello e flessibile, invariabilmente fasciato da guaine di seta. La maschera strana, indimenticabile, dove luccicavano degli occhi canzonatori da monello. Un collo che non finisce più …»; ma dalla quale non si fece incantare Toulouse-Lautrec, che le fece ritratti di un grottesco quasi macabro, tanto che ella gli scrisse: «Per l’amor del cielo, non fatemi così atrocemente brutta! Un po’ meno!…».
          Comunque sia la popolarità degli interpreti, belli o brutti che fossero, e l’acquisto del pianoforte da parte di moltissime fanciulle della borghesia, invogliate magari dalle leggende che avvolgevano di palpiti amorosi interpreti come Franz Liszt e altri virtuosi della tastiera, portarono gli editori a stampare i testi e le musiche (o queste soltanto, se si trattava di composizioni senza parole) ovviamente nella più accattivante veste tipografica e grafica, per la quale ricorsero ai nomi più adatti della pittura, della illustrazione e della decorazione.
Grandi artisti (salvo qualche eccezione come quella del solito Toulouse-Lautrec che tra il 1892 e il 1898 disegnò trentatré spartiti e altri ne firmò con lo pseudonimo di Triclau) non ve ne furono tra questi «mediatori»; forse anche perché, ad esempio tra gli Impressionisti, non molti furono gli appassionati dell’incisione: Cézanne, Gauguin e Renoir, ad esempio, raramente vi si cimentarono, e anche rare furono le prove di Degas, di Rodin e di Pissarro, rare o comunque non molto ricercate dai collezionisti, che preferivano i quadri e i pastelli.
          Ma gli altri, specialmente gli appassionati seguaci dell’Art Nouveau, non si fecero certo pregare, e ben presto le loro belle copertine di canzoni, canzonette, valzer e balli vari, brani di operette e «riviste» cominciarono ad apparire in bella mostra nelle vetrine dei negozi di musica non solo di Parigi, ma anche di Milano, Berlino, Vienna, Lipsia, Londra, Bruxelles, Barcellona; copertine eleganti, vivaci, con tanto di titolo, nome del poeta quando c’era, del musicista, dell’editore in due formati standard: uno grande per pianoforte di cm 34×27 e uno più piccolo di cm 27xl 7. Le firme furono, tra le altre, quelle di Pousthomis, Georges Dola, George Auriol e i fratelli Clérice in Francia; di Paul Telemann, Wolfgang Ortmann, Otto Dely, Edmund Edel per la Germania; del bravissimo Manuel Orazi, di Alfredo Edel, Emilio Malerba, eppoi Antonio Rubino, Golia, Dudovich, Aleardo Terzi, e altri in Italia; di John Frew e Starmer per gli Stati Uniti.
          Tutti bravissimi, tutti molto impegnati in quanto, come scrive Fanelli «il disegnatore di spartiti si trova a dover affrontare problemi analoghi a quelli che si presentano ai cartellonisti e ai decoratori del libro, ma in condizioni più vincolanti. Lo spartito differisce dal manifesto per il formato e per la rinuncia all’effetto a distanza, che induce gli artisti ad accentuare la soluzione di forme piatte bidimensionali e il valore del colore come elemento espressivo autosufficiente. Per altri versi il formato e anche certe esigenze compositive (rapporto immagine-scritto) avvicinano la tipologia della grafica dello spartito a quella della copertina della rivista»; arrivando così, seguendo quasi sempre i principii dell’Art Nouveau, a due categorie di copertine: quelle puramente ornamentali e quelle che comprendono un ‘illustrazione anche dentro lo spartito.

Sogni e sospiri
          Naturalmente le copertine risentono delle caratteristiche stilistiche in auge, e quindi della cultura, dei gusti dei vari periodi, dei modi di vivere, delle novità, delle invenzioni e così via. Ecco perciò presentata ed esaltata la bellezza ora medievale, ora giapponese, ora nordica, ora mediterranea, in relazione beninteso al genere di canzone o di melodia; per passare poi a scelte, diciamo, più moderne e coraggiose presentando come richiamo biciclette, automobili, attività sportive. Ne deriva che queste copertine sono efficaci documenti di un dato tipo di bellezza, della moda eccetera presentati quasi sempre però in chiave romantica e sentimentale, dato che, a parte qualche ritmo indiavolato, questa è la caratteristica più comune della musica cui la copertina deve aggiungere, deve essere, un invito seducente e convincente.

Aleardo Terzi: Automobile Galop, (1907).

Va da sé che gli autori, che sono spesso artisti valenti e colti, tengono presenti le varie forme che l’Art Nouveau, con i suoi vari nomi e modi, assume nelle diverse nazioni europee; come anche i suggerimenti che possono derivare dai vari movimenti, come il neoimpressionismo, il simbolismo eccetera, in modo di dare al lavoro un tocco di attualità culturale anche avanguardistica. Ora dopo questi accenni e indicazioni (che Giovanni Fanelli approfondisce autorevolmente) ecco riprodotti nel volume cantiniano circa 190 esempi di copertine quasi tutte eccellenti, a guardar le quali ci sembra di leggere se non proprio un romanzo del «divino» Marcel Proust almeno una narrazione appassionata delle gioie amorose, dei sogni, dei sospiri e delle ribalderie di allora; narrazione che incanta ancora oggi mentre le composizioni musicali sono tutte dimenticate.
          E infatti chi ricorda più Automobile Galop, musica per pianoforte composta nel 1907 da J. Burgmein? Nessuno crediamo: e invece la sua copertina di Aleardo Terzi è di squisita eleganza grafica, con i suoi colori rosso e nero su fondo giallo. E, per restare allo stesso illustratore, chi ricorda la Marcia funebre per pianoforte di Filippo D’Acconia In morte di Giosuè Carducci? Nessuno, e invece la ragazza della copertina, con quei seni al vento, ha una sua melanconica grazia. Due esempi tra i molti: a dimostrare che nella «emulazione fra musica e arti figurative» spesso ebbero la meglio le seconde: salvo che la musica non fosse di un Johannes Brahms o di qualche altro insigne compositore.