di Duilio Courir

(Pubblicato sul n. 3 di Amadeus, febbraio 1990)

Il maestro accettava malvolentieri ogni barriera contro gli assalti che la popolarità provocava.
«Quando doveva preparare gli ultimi dischi dopo aver deciso che non esisteva in tutta New York
uno studio in grado di funzionare alla perfezione, pensò che l’unica scelta era quella di far trattare acusticamente
il proprio salotto e di suonare a casa propria». Così è «nato» anche il compact «At Home».

Il congedo che Vladimir Horowitz ha preso dalla vita è stato inatteso, improvviso e assolutamente discreto, in coerenza con uno stile interiore che il volto avventuroso, frammentato e un poco enigmatico della sua esistenza non ha mai smentito. Sradicato dalla Russia dopo l’uragano della rivoluzione, irrequieto e grande protagonista della vita musicale europea fino allo scoppio della guerra e infine cittadino di quella città crogiuolo che è New York, per cinquant’anni con dentro una perenne nostalgia per Parigi, per Londra, Berlino e Milano, Vladimir Horowitz costituisce un esempio biografico in perfetto equilibrio con il suo pianismo intensamente e profondamente libero, geniale, inafferrabile , capace di trascinarti all’entusiasmo fino alla follia, un pianismo che riusciva a dare rigore alla sfrenata genialità delle sue idee interpretative e alla densità del suo sentimento.

Vladimir Horowitz

Horowitz era insofferente delle barriere che l’esistenza di un uomo celebre ponevano naturalmente come difesa davanti agli assalti che la popolarità provoca. Quando doveva preparare gli ultimi dischi, dopo aver deciso che non esisteva in tutta New York uno studio in grado di funzionare alla perfezione, pensò che l’unica scelta era quella di far trattare acusticamente il proprio salotto e di suonare a casa propria e le sedute di registrazione divennero delle occasioni di incontro.

Senza un avvertimento senza un lamento
Suonava in mezzo a tutti e più gente c’era più si sentiva felice. Alla fine, dopo aver suonato e inciso insieme a tutti, passava la serata in ristorante, cenando e conversando. Capitava spesso che ripetesse alla moglie Wanda, figlia di Arturo Toscanini, che gli ha dedicato l’esistenza con un senso di abnegazione nemmeno immaginabile, ha difeso la «privacy» dell’uomo e ha consentito alla sua umanissima vulnerabilità di esprimersi in grande arte, «La mia testa va bene, le mie mani continuano ad andare». Insomma conosceva da ultimo un periodo di grazia, anche se dentro di sé viveva in lui il desiderio di tornare in Europa.Voleva andare a Londra per rifarsi alcuni vestiti. Lo affascinava quel dandysmo aristocratico che si trova nella capitale inglese. In casa viveva un poco svagatamente, con degli atteggiamenti di una leggerezza bizzarra, che rivelavano il suo amore per il gioco e per lo scherzo. «Ho suonato per un’ora» diceva, quando non era stato al pianoforte più di dieci o dodici minuti. Negli ultimi tempi aveva smesso certe scelte quasi maniacali nei suoi pasti. Mangiava tutto quello che gli piaceva E prendeva anche i vini rossi, stranamente esclusi dal suo menu.

Vladimir Horowitz insieme a Wanda Toscanini.

In realtà Horowitz consumava gli ultimi giorni della sua esistenza con levità stupefatta, senza lamentarsi come faceva sempre. Venerdì su sabato, quattro novembre, ha dormito moltissimo e quando è arrivato il dottore, perché aveva provato senso di nausea e si sentiva un po’ stanco, il medico gli ha detto sabato sera: «Signor Horowitz, non l ho mai sentita così bene». Domenica mattina si è  alzato senza dire una parola si è seduto sul sofà della stanza della moglie. Hanno incominciato a parlare, ma mentre discuteva è scivolato improvvisamente dalla sedia. «Il signor Hororowitz sta svenendo» ha gridato la segretaria; in realtà era morto, senza un avvertimento e senza un lamento. Hanno cercato di rianimarlo per un’ora e mezzo, poi è arrivata la polizia in un trambusto immaginabile. Era finita in un istante la sua esistenza e quel destino di solitudine che si era portato dietro tutta la vita e che la moglie Wanda aveva intuito, fin da quando si erano sposati e dovevano partire per gli Stati Uniti, dicendogli: «In America non ti riusciranno a capire». Effettivamente non hanno compreso quanto fonda, delicata e ferita fosse la sua natura. La grande passione di Horowitz è stato il pianoforte, ma all’interno della letteratura pianistica sterminata, il cuore era per lui Franz Liszt.
Di Liszt aveva una fotografia che gli avevano regalato nel 1907 a Budapest e che portava sempre con sé come se avesse dei contenuti ai quali non poteva per nessuna ragione rinunciare.
In America è rimasto mezzo secolo, ma sui cinquant’anni per diciotto non ha suonato. Si sottraeva così alla routine, negandosi a tutte le convenzioni possibili, concentrandosi in sé stesso. Restava molto tempo a letto a guardare la musica e sentendo le sonorità. In questo modo preparava i passi più complicati approntando gli esercizi per superare le difficoltà.

All’Università di Yale tutta la sua musica
La sua sonorità, che sembra tutte le volte distruggere la «storia» per ricomporla con un atto di fantasia, usciva dalle mani e dal pedale. Sempre di più tendeva all’essenziale, svelava la sua passione per il frammento e concentrava tutta la sua tensione su quelle piccole cose capaci di rivelare la sconfinata, misteriosa e tragica verità dell’esistenza. Uscendo di scena quando aveva ancora tanti progetti, Volodia ci ha lasciato un ultimo disco che vedrà la luce entro i prossimi mesi.

Vladimir Horowitz.

Questo è il suo lascito più atteso, ma alla Scuola musicale dell’Università di Yale andrà tutta la sua musica. Le lettere personali della moglie sono state stracciate. Un Lied su una poesia della Acmatova, (Prokofiev e Rachmaninov gli dicevano che aveva il talento del compositore) è rimasto in Russia. I suoi primi dischi realizzati in America andranno anche all’Università di Yale. Alla Juillard School ha lasciato invece una somma rilevantissima che dovrà finanziare delle borse di studio per dei giovani. Horowitz non ha mai voluto sistematicamente insegnare, ma alcuni allievi della Juillard School venivano a farsi ascoltare nei periodi invernali per ricevere dei consigli. Un rapporto di stima personale il maestro provata per Murray Perahia che di tanto in tanto andava a trovarlo a Londra e a New York. Per Perahia ha suonato per l ‘ultima volta la sera di sabato 4 novembre Weinen, Klagen, Sorgen, Zagen di Liszt che custodisce il ricordo della sua estrema immagine al pianoforte.
Horowitz è sfuggito agli oltraggi dell’ufficialità e della retorica di quanti cercavano di trattenerne le spoglie tra le mani per i propri interessi, come è avvenuto per Karajan a Salisburgo. Anche questo lo si deve alla decisione ferma, consapevole, orgogliosa della moglie Wanda Horowitz Toscanini. Ma la città di New York, che forse non lo aveva compreso in vita, ha consentito, rarissimo privilegio, che la macchina con le sue spoglie si fermasse davanti alla sua casa prima di riprendere la strada dell’aeroporto.