di Peter Fuhrman

(Pubblicato sul n. 126 di Amadeus, maggio 2000)

L’idea della sua costituzione prese avvio nel lontano 1942 sotto le volte dei saloni della «Chigiana» di Siena,
ma le vicende della guerra imposero un repentino cambiamento dei progetti.
Però il disegno che era nato tra Paolo Borciani, Piero Farulli, Franco Rossi ed Elisa Pegreffi
non avrebbe mancato di trovare attuazione: fu il mese di agosto del ’45 a segnare
una ripresa di contatti che sfociarono nel primo brillante pubblico concerto a Carpi:
correva il primo anno di pace ed era il mese di novembre.

         Non è un segreto: per accingersi all’ascolto di un brano di musica da camera è necessario considerare che ci si accosta a un mondo particolare e complesso, un mondo che potremmo definire unico. Per chiarire meglio questa affermazione è necessario fare alcune considerazioni. Possiamo cominciare con il ricordare alcune famose formazioni di Trio, quali «Rubinstein-Szering-Fournier», «Istomin­ Stern-Rose», «Cortot-Thibaud-Casals» e altre ancora, in cui i membri sono sempre stati principalmente dei solisti importanti, che solo occasionalmente si dedicavano al piacere di dilettarsi con questo genere di musica; dall’altro lato possono essere ricordate le formazioni fisse, quelle cioè composte da musicisti che non hanno mai fatto una carriera solistica (il «Trio di Trieste», il «Beaux Arts», il «Borodin», e così via), ma che hanno ugualmente ottenuto un grande consenso presso il pubblico.
        Un discorso completamente diverso deve essere fatto quando si parla del «quartetto d’archi». Questo è da considerare unicamente in una luce di «complicità»: una volta costituito il gruppo, termina, per così dire, la «vita privata» dei singoli componenti. Per potersi affermare in questo settore assai difficile, un musicista deve dire addio a tutte le ambizioni personali.
Egli deve considerarsi a tutti gli effetti unicamente al servizio di un gruppo costituito da quattro distinti personalità, che dovranno però dimostrare la massima omogeneità e affinità. Qualsiasi presunzione personale risulterebbe fuori luogo. Malvolentieri gli artisti, oggi, si sottomettono a questa severa disciplina che esige molte rinunce di carattere privato e un maggior esercizio giornaliero per poter sfuggire alla routine, sempre in agguato.
Tra le formazioni giovani sono poche, rispetto al passato, quelle che dimostrano un’attività continua e costante: in prima linea troviamo i quartetti «Melos» e «Alban Berg»; in questa direzione si muovono anche il quartetto «Hagen» di Salisburgo e, negli Stati Uniti, con uno stile e un repertorio poco convenzionali, il quartetto «Kronos», che pubblicamente esegue solo musica d’avanguardia, ma che giornalmente affronta sette ore di studio e di lavoro. Una tenacia che ci muove a un enorme rispetto nei confronti di questi giovani del «Nuovo Mondo».
Un cambio generazionale si è verificato, in modo singolare, nelle formazioni affermate del passato. I «grandi» hanno spesso abbandonato la scena a causa di decessi all’interno del gruppo, i quartetti «Amadeus», «Smetana», «La Salle» sono stati sciolti, altri, come il «Borodin» e lo «Janàcek», hanno proseguito l’attività con altri membri.

All’interno di un gioco d’insieme
         Si è sciolto anche il miglior quartetto di origine italiana di questo secolo: il «Quartetto Italiano», la cui fama rappresenta un fatto storico molto significativo. Per quasi quattro decenni, tre uomini e una donna – Paolo Borciani, Piero Farulli, Franco Rossi ed Elisa Pegreffi – hanno svolto la loro attività all’interno del genere più nobile che la «forma mossa da suoni» (secondo le parole di Eduard Hanslick) ci regala nella prassi musicale. Natura e cultura, all’interno di un gioco d’insieme, sono diventati con loro espressione della più alta perfezione artistica. Il loro nome non fu il trionfo di un individuo, bensì quello del gruppo. E la ragione prima va ricercata in quello che avevano genialmente elaborato sulla carta compositori come Mozart, Haydn, Beethoven, Schubert, Dvoràk e molti altri.
Anche quello che nella partitura non era espresso, ma andava intuito, riusciva ad acquistare una importante forma sonora filtrata dall’arte di quei musicisti, provenienti da quattro diverse regioni italiane. Sembrava che il pubblico della loro prima esecuzione – a Carpi nel 1945 – avesse capito tutto ciò. I concerti che seguirono, in Europa e negli Stati Uniti, non fecero altro che confermare le notevoli capacità del «Quartetto Italiano», che spiccò il volo nel mondo della musica cameristica. Il cielo gli si era aperto.


Ma non è facile dimostrare tutto ciò, dato che non si possono esprimere in modo oggettivo le impressioni date da una esecuzione dal vivo. Restano però le incisioni discografiche a dimostrare come l’eccezionale rango assegnato al «Quartetto Italiano» da parte dei migliori critici è in grado resistere anche alle non meno esigenti orecchie dei giorni nostri.
Tutto ciò non è verificabile se riferito alla musica contemporanea della quale esistono poche testimonianze discografiche nonostante fosse presente in modo non secondario nel repertorio del «Quartetto Italiano», lo è soprattutto per quanto riguarda il notevole numero di registrazioni relative al periodo classico e romantico. Il gruppo infatti ha lasciato un ricco catalogo discografico con opere di Haydn, Mozart, Beethoven e Schubert. Innumerevoli volte, in perenne lotta contro la routine, il «Quartetto Italiano» si è messo a confronto con i brani di questi autori, autentici punti di riferimento nel proprio repertorio, del quale facevano parte anche Dvoràk, Debussy e Ravel. Questi brani famosi sono stati temprati nel fuoco delle rappresentazioni di migliaia di concerti tenuti in tutto il mondo, sono stati condotti ad altissima perfezione e infine, specialmente durante gli anni sessanta, incisi presso la Philips.

Le migliori realizzazioni in assoluto
         Al culmine interpretativo del «Quartetto Italiano» incontriamo alcune incisioni che si possono tranquillamente mettere al confronto con le migliori realizzazioni in assoluto di questo genere musicale.  Ci riferiamo ad alcuni quartetti di Haydn e alle antologie dedicate a Mozart e all’integrale dei quartetti beethoveniani: letture che hanno fatto epoca nell’ambito della produzione discografica, tanto da meritare numerosi riconoscimenti e premi.
Il Mozart del «Quartetto Italiano» non è solo concepito in maniera magistrale da un punto di vista tecnico e sonoro, ma anche dal punto di vista stilistico: né troppo lezioso (stile rococò), né drammaticamente anticipatore di Beethoven. Mentre il blocco delle composizioni di Beethoven – che inizia con i primi quartetti dell’opera 18 e passa attraverso la fase intermedia dei quartetti «Rasumovski» per culminare nelle realizzazioni dell’ultimo periodo – mai e poi mai è stato interpretato con tanto equilibrio emotivo.
In queste esecuzioni, governate da uno stile classico, piene di temperamento italiano, il suono del «Quartetto» ancor oggi appare intensamente stimolante e sovrano nella forza espressiva fino al più piccolo dettaglio. Anche a livello artistico l’esecuzione si colloca sullo stesso altissimo e impeccabile livello tecnico dell’interpretazione. La cultura musicale e l’intensità espressiva hanno raggiunto il loro apice nell’ultimo decennio di attività di questa formazione, la cui caratteristica peculiare era l’equilibrio del suono. Lo il passaggio dalla cantabilità un poco effeminata del primo periodo alla ricchezza della sfumatura virile e ritmicamente più stringata della più aspra trama musicale beethoveniana.
Furono evidenziati nuovi contorni nel rapporto delle sonorità, emersero più evidenti i processi titanici, senza i quali il possente cosmo dell’inventiva e dell’energia del compositore non troverebbero una adeguata espressione.
        E non per ultimo, dalla prospettiva dei successori Schumann e Brahms o, in contrasto ad essi, addirittura dalla visione dell’opera di Anton Webern e Sylvano Bussotti, si manifesta al «Quartetto Italiano» di Franz Schubert. ha ascoltato Arthur Schnabel al pianoforte impegnato nelle opere di Schubert oppure ha presente, in fatto di musica da camera, le irraggiungibili esecuzioni del «Quartetto Busch», chi si cimenta con questa musica dalla profondità abissale, della quale non esiste un parallelo negli ambiti culturali del tempo, ivi compreso il «Rornanticismo» di Eichendorff, Heine, Uhland, Müller, Rüchkert, Claudius,Morike, Morgenstern            e molti altri, avverte l’ipoteca che grava su queste opere, in vista di un’eventuale propria esecuzione.
A questi mondi lontani si rivolse il «Quartetto Italiano» e questi mondi si rivelano oggi ascoltando queste incisioni. Risulta in modo evidente quale sia la compattezza nell’interpretazione fornita da queste registrazioni discografiche, risulta quale è la ricchezza dell’esperienza raccolta in decenni di «suonare insieme» giorno dopo giorno. Si pensi a quanta energia sia stata necessaria per arginare i conflitti e l’inevitabile usura, poiché anche i legami più amichevoli o quelli artistici, imposti dalla ferrea legge musicale, non sono esenti da debolezze umane.
Si sa che qualche volta, nelle formazioni esclusivamente maschili uno o l’altro dei componenti ha perso la pazienza. Ciò è avvenuto nel caso del non meno leggendario «Quartetto Amadeus», non diversamente da molti altri casi, come spesso ci raccontavano i membri di questi gruppi riferendosi alla loro quotidianità un po’ «monotona» (stessi hotel, stessi mezzi di trasporto) e alla costrizione di dover stare perennemente insieme.

Virtù individuali davvero straordinarie
La bellezza della musica, l’omogeneità e l’uguaglianza dell’esecuzione non dovevano essere compromesse neanche da situazioni di tensione reciproca. Nel caso di quattro persone, tutto deve funzionare alla perfezione, in modo che sulla base dello stesso pensiero e delle medesime sensazioni, sia possibile superare ogni tensione estranea al fatto musicale. Una somma di condizioni ottimali è la premessa perché la vita di un quartetto d’archi duri per decenni. Per garantire tutto ciò a livello umano, sono necessarie virtù individuali straordinarie.
Per i critici il «Quartetto Italiano» costituisce un autentico miracolo e non si può dar loro torto. Quei miracoli di enorme dimensione umana e artistica che si sono realizzati in queste formazioni musicali, oggi possono considerarsi una rarità, se posti a confronto con la scarsa fioritura delle nuove generazioni. Sono miracoli anche per quello che riguarda la concezione della propria professione, esercitata non per un senso del dovere, bensì per una libera scelta, basandosi sul proprio talento. Ma non basta: ad un quartetto d’archi; sono richiesti anche miracoli di modestia e di sacrificio. Il divismo da show e lo splendore circense non fanno parte di questo mondo eletto. A questo spirito erano vincolate le leggendarie formazioni quartettistiche del passato e su questa strada si devono incamminare le formazioni giovanili.

(Traduzione di Michael Mathieu)