di Carlo Delfrati

Amadeus n. 5 aprile 1990: ha inizio la pubblicazione della rubrica “Le Parole della musica” a cura di Carlo Delfrati, uno dei maggiori esperti in didattica musicale e autore di diffusissimi corsi per le scuole medie.
Con questa rubrica si è cercato di chiarire il significato di alcuni dei più frequenti (ma anche dei più insoliti) termini usati dagli addetti ai lavori.
La rubrica Parole della musica si protrae fino al n. 73 del dicembre 1995 e viene sostituita dalla rubrica Scuola cui farà seguito il supplemento ScuolAmadeus.

Anche nel caso delle parole, non si può mai giurare sulla paternità legittima e vale il detto «pater semper incertus». C’è chi dice sia stato un amico di Wagner, il Wolzogen, a coniare la parola Leitmotiv, nel 1878; chi l’attribuisce al musicologo Jähn, in un suo studio su Weber, nel 1871. Il suo significato letterale è «motivo conduttore (o ricorrente)», e certamente Wagner ne fece uno degli elementi strutturali fondamentali delle sue opere. Personaggi, oggetti, eventi speciali: ognuno di essi è associato a un particolare motivo, che torna innumerevoli volte nel corso del dramma, soprattutto nella Tetralogia. Il Leitmotiv di un personaggio ne accompagna l’azione, ne anticipa l’apparizione sulla scena, ne evoca il ricordo. Il motivo conduttore wagneriano è spesso un inciso di poche note, oppure una frase melodica estesa. L’uso che il compositore ne fa non è mai meccanico: il motivo si ripresenta ogni volta tanto o poco modificato, nelle note che lo compongono, nei ritmi, nell’armonizzazione; a volte dà luogo a un vero e proprio sviluppo. Queste trasformazioni del Leitmotiv sono legate alle situazioni specifiche del dramma. Per esempio il motivo che simboleggia Sigfrido, nell’opera omonima, è ingenuamente scorrevole quando Wagner ci presenta il giovane spensierato; diventa energico e marziale quando Sigfrido raggiunge lo stato di bellicosa virilità.
Ma il fatto stesso che lo Jähn usasse il termine Leitmotiv con riferimento a Weber, in particolare alle sue opere Il franco cacciatore ed Euryanthe, rivela che la tecnica del motivo ricorrente non fu certo invenzione di Wagner. Ne possiamo trovare un uso sia pure embrionale in opere composte nel tardo Settecento, come in Riccardo Cuor di Leone del francese Grétry, nel 1874. E l’anno seguente ci fu addirittura chi ne formulò esplicitamente il principio in uno scritto di estetica: il Lacépède, nella sua Poetica della musica. Troppo suggestivo appariva questo principio perché i compositori lo lasciassero in esclusiva alla scena lirica. Richard Strauss si divertirà a comporre la sua Sinfonia domestica attribuendo un motivo particolare a ciascuno dei componenti la famiglia protagonista. Ma il caso più famoso è quello di Berlioz, che adopera decisamente la tecnica del Leitmotiv nella sua Sinfonia Fantastica, è l’ossessionante «idea fissa» che ricorre da un movimento all’altro dell’opera. È un bisogno «romanzesco» a suggerire impieghi del genere: bisogno di trattare l’intera composizione musicale come una storia dall’intreccio ricco e unitario, con situazioni che si trasformano e che si ripresentano a distanza. Esempi diversi ma non meno illustri sono la Fantasia Wanderer di Schubert, e la Nona Sinfonia di Beethoven, che all’inizio dell’ultimo movimento ci ripropone i temi dei precedenti.
Analogamente Bruckner in più di una occasione fa riecheggiare nel momento culminante dei suoi finali il motivo con cui l’intera avventura musicale era iniziata. Come già nel Settecento, è ancora in terra francese che la musica strumentale sfrutta più sistematicamente questo principio, in numerosi lavori di Franck, Fauré, D’Indy, Saint­Saens, Dukas.
L’idea di usare un unico motivo nelle successive parti di un’ampia composizione non è però nota nel Settecento. Un’applicazione importante, e su vasta scala, si ha ben tre secoli prima, quando i compositori di Messe sentono il bisogno di infondere unità musicale al grande edificio polifonico.
E lo fanno in due modi: uno è quello di iniziare le diverse parti della Messa (Kyrie, Gloria, eccetera) con il medesimo motivo (queste Messe si chiamano «Messe­motto»); l’altro è quello di costruire le diverse parti della Messa tutte sopra una medesima melodia gregoriana: è la «Messa-cantus-firmus».
Nata in Inghilterra con Lionel Power e John Dunstable all’inizio del Quattrocento, questo secondo tipo di Messa conoscerà un’impressionante fioritura nella seconda metà del secolo, specialmente nelle opere straordinarie di Dufay, Obrecht, Ockeghem. Il «Cantus-firmus» risuona immancabilmente alle fondamenta di tutti gli «scenari» liturgici, e fa da struttura portante comune. Dal sacro al profano. La tecnica del motivo conduttore segna di sé la storia della musica occidentale non solo nelle occasioni raffinate e austere, ma anche in quelle quotidiane e caserecce.
Il Leitmotiv è diventato un ingrediente di sicura presa sul pubblico in una quantità di musiche da film. Chi non risente con un brivido di emozione il ricorrente «Tema di Lara»? Chissà mai che la filmologia non muti l’uso della musicologia e che un domani pellicole come Via col vento, Guerre stellari, Indiana Jones o Il dottor Zivago possano essere dottamente classificate… «Film-cantus­firmus».         

(Amadeus n. 8, luglio 1990)