di Gaetano Santangelo

Il musicattore Luigi Maio, in collaborazione con la Filarmonica della Scala, ha presentato al suo pubblico, quello dei bambini s’intende, accompagnati da nonni e genitori “Sogno di una notte di Ognissanti”, opera per voce e orchestra da camera da lui scritta e musicata, dove un agguerrito e nutrito ensemble di solisti, dal pianoforte ai fiati (non mancavano arpa, archi e percussioni) diretti dal maestro concertatore Alessandro Ferrari – coautore insieme a Maio delle musiche originali – lo assecondava puntualmente nella scorribanda di sapore halloweeniano.

 ©Filarmonica della Scala | Anna La Naia

Il riuscitissimo mix di due fiabe di Andersen (I fiori della piccola Ida e Il monte degli elfi) e il pastiche di musiche di diversi autori (Berlioz, Grieg, Dukas, Musorgskij e Raff), creava un’atmosfera fiabesca e onirica, intrisa di una sottile vena poeticamente scherzosa, che le proiezioni di disegni animati (realizzati dalla bravissima Miriam Ulrich) rendevano ancor più sognante e lieve.
Usando la sua vena di abile rimatore, Maio ha saputo rendere evidente e conciliare il rapporto tra due mondi che sembrano lontani tra loro: poesia e “fifa”. Si avete capito bene, ho scritto fifa, perché credo sia il termine corretto da usare per descrivere la paura secondo l’autore. Fifa, perché il sentimento che, in forme diverse, ci accompagna tutta la vita e chiamiamo paura qui diventa un gioco dove la realtà, fatta di tanti frammenti di vita, si trasforma in un caleidoscopio colorato, un divertimento. Così non fa più paura a nessuno, perché se la paura è fifa, la vita diventa gioco.
Maio sceglie di ‘innestare’ la fiaba della piccola Ida con quella del monte degli elfi in quanto, quest’ultima, ispirò il drammaturgo norvegese Ibsen per il suo Peer Gynt: da qui l’inserimento didattico di alcuni estratti delle musiche di scena di Grieg, arrangiati da Maio e Ferrari, brani ben noti al grande pubblico per il loro utilizzo nella pubblicità e nel cinema.

 ©Filarmonica della Scala | Anna La Naia

La vicenda: Ida, la piccola protagonista, è trasportata (in sogno) dal suo letto magico nel mondo dei Troll, brutti e dispettosi, delle Streghe, che non sono tutte cattive e delle Fate, che non sono tutte buone. Il re dei Troll vuole sposarla offrendo alla piccola il regno del suo trollesco popolo, ma ottiene un prevedibile rifiuto. Solo il ritorno tra le accoglienti mura di casa e il risveglio, grazie alla voce della mamma (cosa c’è di più bello?), rimette le cose a posto.
Se non ce n’eravamo ancora accorti è perché siamo distratti e abbiamo perso le qualità che arricchivano anche la nostra infanzia, qualità che il musicattore ha conservato, anzi ha incrementato: la curiosità e l’innocenza del bambino, che vive la realtà come se fosse un sogno e il sogno come se fosse realtà. A lui viene quindi naturale di non essere condizionato dalla “paura”, di essere capito dai bambini, da quello che egli, a ragione, ritiene sia il pubblico in sintonia con il suo mondo. Anzi è probabile sia vero il contrario: talvolta sono proprio gli adulti a non capire l’importanza di giocare con la paura. Che vantaggio c’è a non essere più spaventati da teschi, pipistrelli e da zucche luminose?
Se tutto ciò non è vero, se mi sono sbagliato allora chiedo a Luigi Maio perché ha scritto “Dante in 3D” dedicandolo proprio ai bambini? Non sarà perché il mondo del mistero, della fantasia, del diabolico è così carico di stimoli, fino a diventare una costante nei suoi lavori?
«Dovunque vi siano bambini esiste un’età d’oro, dice il nobel Jimenez nell’introduzione al suo: “Platero y yo”, ebbene, per questa età d’oro, che è come un’isola spirituale caduta dal cielo, va il cuore del poeta, e vi si trova così a suo agio che il suo desiderio più grande sarebbe di non doverla mai abbandonare».

È qui che ho incontrato Luigi Maio.