di Enzo Fabiani

(Pubblicato sul n. 5 di Amadeus, aprile 1990)

Una perfetta analogia tra linguaggio musicale e pittura

Dalle giovanili esperienze nelle isbe e nelle chiese moscovite fino all’amicizia  con Arnold Schonberg
la ricerca artistica del pittore è sempre stata accompagnata da un profondo amore per la musica.

In quella che è forse la più nota fotografia di Wasilij Kandinskij, il celebre pittore russo sembra tale e quale un direttore d’orchestra un attimo prima dell’«attacco»: volto concentrato e teso, occhi fissi sui professori d’orchestra, e tra le prime dita della mano destra, a mo’ di bacchetta diciamo pure magica, il pennello. La figura è perfetta, e può richiamare quella dei più grandi direttori; anche perché Kandinskij era naturalmente elegante, forse per il fatto che la sua bisnonna era una principessa mongola.
Certo, questo non basterebbe a svolgere il nostro tema, ma è utile a farci capire subito che abbiamo a che fare con un artista esatto e vibrante, matematicamente e geometricamente musicale; il quale crede in quello che fa (per Kandiskij, il dipingere era un atto sacro), e non ammette la minima distrazione né all’esecutore né allo spettatore; avendo egli fra l’altro dell’arte una concezione anche «spettacolare», se affermava: «Per anni ed anni ho cercato di ottenere che gli spettatori passeggiassero nei miei quadri: volevo costringerli a dimenticarsi, a sparire addirittura lì dentro. A volte ci sono riuscito, ne ho visto l’effetto nei loro volti».


Arnold Schönberg e Wasilij Kandinskij.

Per completare il quadro esteriore della sua immagine utile è, infine, una parte della lettera scritta il primo settembre 1911 da August Macke all’amico pittore Franz Mare, che dice di Kandinskij: «Alla lunga dalla sua persona emana una sorta di meravigliosa irradiazione. È un romantico, un sognatore, un visionario e un cantastorie. Ma quello che conta è il resto. È pieno di vita, di una vita senza limiti. Le sue fantasticherie non sonnecchiano, ma sprizzano vitalità. I suoi audaci cavalieri sono il blasone sospeso davanti alla sua abitazione, ma non è soltanto nelle rocce, nelle fortezze e nel mare che si sente il suo slancio impetuoso. In ogni angolo, nel giallo, nell’azzurro, nel rosa, ritroviamo anche l’infinita delicatezza, la pastorale, il passo leggero appena accennato delle dame rococò. Sembra il ronzio di milioni di api, il brusio delle mosche, con l ‘accompagnamento di un colpo di cembalo colpito con la dolcezza infinita di un agnello». Un brano un po’ esaltato, ma indicativo.

Incontro con la musica di Dio e del popolo
Wasilij Kandinskij conosceva molto bene la musica, avendo cominciato a studiarla da ragazzo, com’era di norma nelle famiglie ricche russe di fine Ottocento (egli era nato il 4 dicembre 1866 da madre bellissima e da padre alto funzionario); ma questo non basterebbe a sostenere che il suo “Astrattismo mistico” sarebbe nato grazie a questo incontro, come anche alla scoperta della musica religiosa e popolare nelle chiese e nelle isbe, tra il popolo.

Improvvisazione 7 di Wasilij Kandinskij.

Questi incontri sarebbero rimasti cioè dei suggerimenti esteriori e folcloristici, anche se preziosi, se egli non li avesse approfonditi da autentico pensatore e teorico quale egli era, anche se a volte assai difficile e complicato, al fine di configurare e definire reali consonanze tra le arti figurative e il linguaggio musicale. È certo comunque che quelle «Composizioni di luogo» furono per lui suggestive e diremmo germinanti. Come racconterà la moglie Nina in «Kandinskij e io» (pubblicato recentemente dalle Edizioni Costa & Nolan): «Il padre di Wasilij da parte sua non perse nessuna opportunità di arricchire la cultura del figlio. Nel corso dei loro soggiorni moscoviti visitarono insieme tutte le antiche chiese della città. Quando poi enumerava le moltissime chiese, elencandole con il oro meravigliosi nomi antichi, il ragazzo lo ascoltava pieno di attenzione. In quelle occasioni Kandinskij scoprì i mosaici e le icone, e imparò ad ammirarli e a considerarli, come egli stesso comprese in seguito, le radici della propria concezione artistica profondamente ancorata nel suolo della cultura russa».
Ma se chiesa voleva dire anche musica sublime per il giovane studente (e si immagini con quale commozione egli avrà ascoltato le stupende composizioni liturgiche), lo stesso può dirsi per l’isba, intesa come scrigno della tradizione popolare con la sua salmodia interiore, con le sue icone, con le sue meravigliose melodie. Lo racconterà lo stesso pittore in una pagina davvero molto bella.
Dopo essersi laureato in legge ed avere rinunciato all’insegnamento universitario, Kandinskij accettò di compiere un’inchiesta sulla criminalità nella provincia di Vologda. Fu un’esperienza memorabile e determinante. Infatti: «Non dimenticherò mai le grandi case di legno ricoperte da incisioni. In queste case meravigliose ho vissuto un’esperienza che non si è ripetuta da allora. Esse mi insegnarono a muovermi nel quadro, a vivere in esso… Quando infine entrai in camera, mi sentii circondato da ogni parte dalla pittura, nella quale ero dunque entrato». Ora, la sensazione di «entrare nel quadro», di «muoversi» in esso è alla base della nascita dell’astrattismo, almeno in Kandinskij, il quale arriverà a definire la pittura «il coro dei colori», che egli cercava di fissare sulla tela già durante i suoi primi tentativi. Kandinskij come vedremo trovò nella musica forze propulsive del tutto nuove.

La rivelazione del «Lohengrin»

“I pagliai” di Monet indussero Kandinskij a una critica del modo di rappresentare la realtà.

Ma ci fu anche un ‘occasione musicale precisa a spingere pittore verso l’astrazione; e fu una rappresentazione del Lohengrin di Wagner, alla quale egli assistette dopo avere visitato a Mosca una mostra di Impressionisti francesi, tra i quali c’era Monet con il quadro “Il pagliaio”. Scriverà Kandinskij: «Mi domandavo perché il pittore non sarebbe potuto andare oltre Monet, dipingendo liberamente senza nessuna costrizione, da parte dell’oggetto. È quanto fanno i musicisti quando compongono con le note le più belle sinfonie e i più bei quartetti».
Kandinskij andò a vedere l’opera dopo avere visto un tramonto a Mosca che gli era apparso straordinario. Ed ecco che «Il Lohengrin mi parve una perfetta realizzazione di tale Mosca. I violini, i bassi gravi e particolarmente gli strumenti a fiato incarnarono allora per me tutta la forza di quell’ora di prima sera. Vidi nella mente tutti i colori, erano davanti ai miei occhi. Linee tumultuose, quasi folli si disegnarono dinanzi a me. Non osavo esprimere le mie impressioni dicendo che Wagner avesse dipinto musicalmente ‘la mia ora. Mi riuscì però del tutto chiaro che l’arte in generale ha poteri molto maggiori di quanto avessi creduto fino all’ora; e d’altra parte ero convinto che la pittura fosse in grado di sviluppare forze non inferiori a quelle della musica».
Scriverà la moglie Nina: «Questo pensiero non gli lasciò più un attimo di quiete, lo torturò nel senso letterale del termine. Per dieci anni prese appunti su questo argomento finché scrisse Lo spirituale nell’arte, che contiene tutto l’insieme delle sue riflessioni sull’astrazione» .
Conclusione: chiese e icone, popolo, canzoni e Wagner sono in realtà le vere fonti dell’Astrattismo, o meglio della pittura di Kandinskij, che dell’Astrattismo mistico, o lirico, è il padre (almeno putativo).

Improvvisazione 21 di Wasilij Kandinskij.

Musica: arte che tende all’astratto
Ha scritto Nilo Pucci nel libro “Wasilij Kandinskj: Scritti intorno alla musica” da lui curato per le Edizioni del Discanto: «Gli scritti che compongono questa raccolta non riguardano strettamente problemi musicali, dacché Kandinskij non scrisse mai niente che riguardasse solo la musica. Essi sono perlopiù estratti dalle sue opere teoriche più famose, concernenti la creazione pittorica. Eppure può dirsi che non ci sia una pagina d’esse in cui la musica non sia un continuo pendant, non costituisca rapporto ipogeo e mito strutturale insieme. La musica è per Kandinskij l’arte che per natura e per più avanzata evoluzione tiene maggiormente dell’astratto (e come tale è più prossima alle strutture primarie della realtà), e possiede una teoria analitica del proprio linguaggio. Ciò non implica una poetica decadente nella quale la pittura debba tendere alla condizione della musica, né che siano auspicabili scambi e confusioni linguistiche.
«La frequentazione con i classici, con Mussorgskij, Skriabin, Schönberg, gli studi intrapresi fin dalla fanciullezza (pianoforte e violoncello), testimoniano di un interesse alla musica che non ha mai abbandonato Kandinskij, ma, osservati in filigrana, rivelano soprattutto l’impressionante consonanza delle sue ricerche con quelle della cultura più avanzata del suo tempo attorno ai punti nodali del pensiero del Novecento. L’indagine sui valori tonali dei singoli colori e sulle risonanze (armonici) che ciascuno di essi è capace di suscitare, ricorda abbastanza da vicino la Klangfarbenmelodie di Schönberg, od opere come Fuga in rosso (1923) di Klee».

Il matrimonio poetico con Schonberg

Improvvisazione 18 di Wasilij Kandinskij.

Crediamo che quanto fin qui abbiamo ricordato o indicato possa dare un’idea di quella sorta di «matrimonio mistico» tra musica e pittura che si precisò e consumò nella mente e nella sensibilità del grande maestro. Matrimonio, o poetico incontro, al quale peraltro contribuì la grande amicizia con Arnold Schönberg: purtroppo interrotta in seguito ai pettegolezzi della perfida Alma Mahler-Werfel, la quale mise in giro la voce che Kandinskij era antisemita (amicizia che poi riprese, avendo capito il musicista che si trattava soltanto di una calunnia).
È indubbio comunque che grande fu l’intesa intellettuale tra i due. E se anche non è opportuno il voler tentare di vedere nei dipinti di Kandinskij, o almeno in alcuni, dei gorghi o mulinelli di musica raffigurata, e nella musica di Schönberg dei lieviti coloristici, certo è che qualcosa di comunicante e di comunicato tra le loro esperienze e creazioni ci fu, più o meno coscientemente.
Un ultimo episodio, che ci riporta a quanto dicevamo all’inizio riguardo alla musica popolare tanto amata dal maestro. Forse fu un caso, ma la moglie Nina racconta che «il 4 dicembre 1944, giorno del suo settantesimo compleanno, cantammo ancora una canzone popolare con gioia ed entusiasmo». Qualche giorno dopo, il 13, Wasilij Kandinskij si spense; trovando così nell’eternità quel «suono interiore» che sempre aveva ricercato mediante la pittura, secondo il concetto che ripeteva spesso ai suoi allievi: «In generale, il colore è un mezzo che consente di esercitare un influsso diretto sull’anima. Il colore è il tasto, l’occhio il martelletto, l’anima è il pianoforte dalle molte corde. L’artista è la mano che, toccando questo o quel tasto, mette opportunamente in vibrazione l ‘anima umana…» Queste parole riassumono con efficacia il senso intimo della pittura di Kandinskij: un coro di colori.

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Enzo Fabiani è critico d’arte di “Oggi” e caporedattore del mensile “Arte” edito da Giorgio Mondadori

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Le parole sottolineate ed evidenziate in blu fanno riferimento a un link presente su internet, di cui consigliamo la visione.