di Carlo Delfrati

Amadeus n. 5 aprile 1990: ha inizio la pubblicazione della rubrica “Le Parole della musica” a cura di Carlo Delfrati, uno dei maggiori esperti in didattica musicale e autore di diffusissimi corsi per le scuole medie.
Con questa rubrica si è cercato di chiarire il significato di alcuni dei più frequenti (ma anche dei più insoliti) termini usati dagli addetti ai lavori.
La rubrica Parole della musica si protrae fino al n. 73 del dicembre 1995 e viene sostituita dalla rubrica Scuola cui farà seguito il supplemento ScuolAmadeus.

L’estro dei compositori barocchi arrivava al sadismo. Un’incisione di Callot ci mostra una fila di gatti ingabbiati, usati come le corde di un cembalo: schiacciando un tasto si provocava il miagolio del gatto collegato. Quello di far cantare la natura su comando umano è un sogno antico, che solo nel nostro secolo ha potuto essere soddisfatto. E senza molestare il creato. È quello che si proponeva il gruppo di musicisti francesi che alla fine degli anni Quaranta coniarono il termine di musica concreta. Il maggior teorizzatore di questo nuovo genere musicale era Pierre Schaeffer che, insieme a Luc Ferrari, Edgar Varèse, Iannis Xenakis e altri, creò a Parigi il Club d’Essai (chiamato poi Gruppo di Ricerca di Musica Concreta, e infine Gruppo di Ricerche Musicali). Il principio che li guidava era semplice. La musica tradizionale europea aveva fino allora usato una gamma ben selezionata di suoni: i suoni di strumenti musicali «Codificati» (dal violino al tamburo) e quelli della voce umana. Perché non pensare musica costruita con tutti i suoni possibili, ascoltabili nel mondo che ci circonda, dunque anche rumori naturali, tecnologici, ambientali?
L’idea non era poi nuova, anche senza risalire al «gatti­cembalo» di Callot. Già trentacinque anni prima erano stati i futuristi a lanciare la parola d’ordine «musica di rumori». Luigi Russolo e Balilla Pratella avevano addirittura costruito un inedito strumento musicale, l’intona-rumori: un insieme di macchine capaci di produrre gli effetti sonori più disparati, scoppi e scrosci, fischi e sbuffi, bisbigli e gorgoglii, crepitii e stropiccii, botti, effetti orali. Sei famiglie di effetti, per altrettante famiglie di macchine. Ma questa audace proposta dei futuristi non ebbe seguito immediato. A consentire il rilancio, ai musicisti del Club d ‘Essai, sarà l’elettronica. Con i mezzi elettronici, qualsiasi suono può essere non solo registrato mediante microfono e riutilizzato come si vuole, ma può essere manipolato, attraverso complessi congegni, in un’infinità di modi, e combinato con qualsiasi altro suono. Musica concreta è proprio quella che nasce da questo gioco di trasformazioni e combinazioni dell’originale materiale sonoro registrato su nastro. Le procedure di manipolazione sono tante: un suono può essere riprodotto all’incontrario (con moto retrogrado), può essere liberamente modificato nei suoi parametri (altezza, intensità, timbro), può essere privato del suo momento d’attacco, gli si può creare un effetto di riverbero e così via. L’aggettivo concreta non si riferiva però soltanto al fatto che i suoni usati erano quelli riconoscibili del mondo «Concreto» (in fondo, anche gli strumenti musicali tradizionali appartengono allo stesso mondo), ma al fatto che era prodotta in modo diretto e definitivo dal compositore, sul nastro, senza l’intermediario della scrittura e dell’interprete. In questo senso, la musica tradizionale appariva a Schaeffer astratta, perché si basava su un sistema di simboli (le note) predefinito e in ciò «astratto» (nell’ottica di Schaeffer un compositore tradizionale è «astrattamente condizionato» a comporre con pochi suoni, quelli della scala per intenderci). La musica concreta elimina la necessità dell’interprete e anche della partitura. Come contraccolpo, crea problemi di comunicazione. La musica tradizionale è oggetto di riflessione e di analisi, che sono rese possibili proprio dalla presenza della pagina musicale scritta. Senza questa, com’è possibile il contributo del musicologo, o dell’insegnante? Schaeffer stesso si rendeva conto di questa limitazione, tanto che si sentì spinto a scrivere diffusamente intorno alla sua opera. Visto che non si poteva più parlare di scale e di ritmi, di accordi e di frasi musicali, Schaeffer elaborò tutta una classificazione di «oggetti sonori», come li chiamava (Trattato degli oggetti musicali è il titolo della sua maggiore opera teorica), messi in relazione fra loro mediante un sistema di solfeggio concreto. Anche l’esperienza di Schaeffer non avrà il seguito sperato. In fondo, quando non si riesce a «parlare» di una cosa, il suo destino appare segnato. Ma poi, è l’elettronica che ha preso il sopravvento: perché ingegnarsi a registrare i suoni dall’ambiente – si chiederanno i compositori – se l’elettronica ci permette di generarli direttamente in laboratorio? La differenza tra musica concreta e musica elettronica sta tutta qui: la prima usa suoni del mondo esterno e li manipola elettronicamente; la seconda crea e manipola i suoni elettronicamente.
Però una rivincita la musica concreta se l’è presa proprio negli ultimi anni, grazie al campionatore: una tastiera con registratore incorporato. Registri un qualsiasi rumore ambientale, e con la tastiera lo riproduci su qualsiasi altezza della scala cromatica. Oggi se ne trovano anche da pochi soldi. E così ogni ragazzino può finalmente realizzare senza infrangere la bioetica, il sogno di intere generazioni: far cantare i gatti.

(Amadeus n. 54 maggio 1994)