di Carlo Delfrati

Amadeus n. 5 aprile 1990: ha inizio la pubblicazione della rubrica “Le Parole della musica” a cura di Carlo Delfrati, uno dei maggiori esperti in didattica musicale e autore di diffusissimi corsi per le scuole medie.
Con questa rubrica si è cercato di chiarire il significato di alcuni dei più frequenti (ma anche dei più insoliti) termini usati dagli addetti ai lavori.
La rubrica Parole della musica si protrae fino al n. 73 del dicembre 1995 e viene sostituita dalla rubrica Scuola cui farà seguito il supplemento ScuolAmadeus.

«A pretty girl is like a melody» s’intitola una vecchia canzone di Irving Berlin: «Una ragazza carina è come una melodia». Sembra un’eco ai versi di Robert Burns, il poeta romantico inglese: «Oh, il mio amore è come la melodia che dolcemente risuona». Tutto quello che di piacevole si ritrova nella musica è associato di solito all’idea di melodia, tanto che sembra una contraddizione parlare di una «melodia brutta»: melodia e bellezza e amore sembrano fare tutt’uno.
I musicisti e i musicologi non sarebbero d’accordo, con quest’uso del termine. Schumann ha una battuta la pidaria: «Melodia: il grido di battaglia dei dilettanti!». Stiamo facendo scontrare, qui, due significati del termine: quello degli amanti dei «bei motivi» (ai quali un avallo viene da Thomas Beecham: «I compositori devono scrivere melodie che possano fischiettare autisti e bighellonanti); e quello più tecnico, elegantemente definito così da uno storico del ‘700, Charles Burney: «Per melodia s’intende una successione di suoni più stabili, e in genere più allungati, di quelli del parlare ordinario; disposti con grazia e, con riguardo al tempo, con durate proporzionate, tali che la mente possa facilmente misurarle, e la voce esprimerle». Questa definizione si attaglia perfettamente allo stile musicale del tempo. Da allora in poi, i musicisti hanno piegato il senso della parola melodia ai propri ideali stilistici; tanto che se dalle varie definizioni vogliamo oggi estrarre un significato applicabile alle musiche di ogni tempo, paese e stile, ci resta uno scarno denominatore comune: «Una successione di altezze (o suoni intonati)». In questo, melodia si distingue da armonia, che indica una «simultaneità» di altezze, o da ritmo, che indica una successione di semplici «durate», intonate o no. Accanto al ritmo, all’armonia, e poi ad altri aspetti come il timbro o la dinamica, la melodia è allora uno degli elementi costitutivi del linguaggio musicale, di cui ogni compositore manipola, a modo suo, le varie opportunità. La prima di queste riguarda la direzione, i moti direzionali, come dicono i musicologi, che sono fondamentalmente tre: ascendente, discendente, orizzontale. Due suoni in successione, il secondo più alto del primo, formano il nucleo più semplice di melodia ascendente; se il secondo è più basso, il nucleo melodico è discendente; sei suoni sono uguali, per esempio due do, il nucleo è orizzontale. Estendiamo questo modello a successioni più ampie di suoni. Con una certa frequenza possiamo trovare melodie «orizzontali», o, più propriamente, monocordi: quando Mimì si spgne nel suo letto, mentre i violini ricordano il momento felice del primo incontro con l’amato, la sua voce resta inchiodata sul la bemolle, a lungo ripetuto: «Qui amor, sempre con te! Le mani al caldo, e dormire.» Insistenza sul medesimo suono, insistenza di morte. La ritroviamo nel lied di Schubert La Morte e la fanciulla: la fanciulla invitata dal crudele lusingatore (Der Tod, la Morte, in tedesco è maschile!) si difende agitando la voce verso l’alto e verso il basso; e l’altro, implacabile, rinnova il suo invito («Dammi la tua mano…») gelidamente fermo su un suono solo. Naturalmente la melodia monocorde non ha sempre a che fare con situazioni ferali. In tanti altri casi quello che la melodia monocorde suggerisce è piuttosto un’assenza o un distacco dalle emozioni, concentrazione, immobilità anche fisica… Il canto religioso, e non solo cristiano, conosce bene questo stato psicologico di «estraniazione» di stacco dall’emotività. Cantus rectus (ossia diritto, melodia orizzontale) era chiamato; o anche tonus communis. All’opposto, è molto raro che una melodia si svolga tutta verso l’alto, o tutta verso il basso. Nella quasi totalità dei casi, il compositore ha a disposizione una gamma illimitata di possibilità combinatorie. Si parla a questo proposito di profilo melodico. Ogni melodia ha un proprio profilo, inconfondibile proprio come avviene per i profili dei nostri volti. E i diversi tipi di profilo melodico si distinguono per tanti aspetti, tra i quali emerge la «direzione tendenziale». Consideriamo il finale dell’Aida: «Per noi si schiude il ciel…». E Verdi costruisce la lunga arcata canora degli infelici amanti con una serie di slanci verso l’alto e di ricadute; l’effetto complessivo, il profilo «su scala maggiore» mostra una forte tendenza ascensionale, esasperata, alla fine, dal «volo» dei violini nell’empireo della regione melodica sovracuta. Ma sotto questa melodia sublimante, Verdi colloca un canto monocorde: il compianto funebre di Amneris: «Pace t’invoco». Non era la prima volta che un musicista sapeva commuovere i suoi ascoltatori con una soluzione di questo tipo. E nemmeno l’ultima.
Quasi un secolo dopo, la ritroviamo inaspettatamente nel finale di un lavoro non meno drammatico, A floresta è jovem e cheia de vida di Luigi Nono. Anche qui voci che gridano inseguendosi in un profilo melodico ascensionale di rabbia e disperazione; anche qui un apparato strumentale che esaspera la pulsione verso l’alto fino ai limiti dell’udibile sovracuto; e anche qui la presenza di una struggente voce monocorde, quella del clarinetto: come la rassegnazione dell’impotenza davanti al male e all’ingiustizia. Capovolgendo l’immagine di Berlin, Nono ci mostra che una melodia, per essere bella, può ben apparire. Qualcosa di diverso da una «pretty girl» (e chi ci dice poi che con la sua metafora melodica anche Berlin non volesse suggerire che ogni ragazza è a suo modo carina?)!

(Amadeus n. 38 gennaio 1993)