di Carlo Delfrati

Amadeus n. 5 aprile 1990: ha inizio la pubblicazione della rubrica “Le Parole della musica” a cura di Carlo Delfrati, uno dei maggiori esperti in didattica musicale e autore di diffusissimi corsi per le scuole medie.
Con questa rubrica si è cercato di chiarire il significato di alcuni dei più frequenti (ma anche dei più insoliti) termini usati dagli addetti ai lavori.
La rubrica Parole della musica si protrae fino al n. 73 del dicembre 1995 e viene sostituita dalla rubrica Scuola cui farà seguito il supplemento ScuolAmadeus.

Un gruppo di amici esce a camminare per il corso principale della città. Chi se li immagina perfettamente sincronizzati sull’un due, un due del passo di marcia? La gente si fermerebbe perplessa: è carnevale? Stanno giocando…? La verità è che il passeggio (l’andare a spasso) e il passo (di marcia) sono cose ben diverse, con funzioni ben diverse, per diversi contesti sociali. Qual è allora la funzione della marcia? A quali situazioni è congruente? La risposta è elementare: si marcia per regolarizzare il passo, per automatizzarlo, dunque risparmiare fatica; ma poi, e soprattutto, per coordinare il passo di persone diverse. La marcia appare congruente in situazioni di disciplina. Il caso dei soldati è il più rappresentativo: il plotone deve muoversi compatto, compatto effettuare le conversioni, le diversioni. Il tutto in obbedienza al comando di qualcuno, che funge da autorità. Nasce da qui un significato più latamente morale di cui la marcia si carica, una sua connotazione, che avrà riflessi decisivi sui significati stessi delle musiche di marcia: da ordine fisico a disciplina morale, quindi a obbedienza e autorità.
Le testimonianze sull’uso della musica nelle marce dei soldati sono antiche. I primi documenti musicali che possediamo sono indiretti: sono brani strumentali o vocali con cui alcuni autori del Rinascimento, come Janequin, Andrea Gabrieli, William Byrd, descrivevano a modo loro scene di battaglia. È ben verosimile che i motivi ricorrenti in queste pagine si rifacessero a marce militari del tempo. Troviamo qui le caratteristiche musicali prevalenti della marcia: andamento ben scandito, cellule ritmiche scattanti, misura binaria. Quanto alla velocità, questa varia in funzione del compito. Gli eserciti del Sei-Settecento distinguevano tre tipi fondamentali di marcia, secondo la velocità; e questi tipi passeranno poi alle marce da concerto: il pasordinaire, quieto e solenne, per le parate e le rassegne; il pas redoublé, per manovre militari e per gli spostamenti celeri; il pas de charge, per gli assalti, sul campo di battaglia. Le forme più elementari di musiche di marcia erano le semplici scansioni sui tamburi. Ogni nazione aveva le proprie. Nella sua Orchésographie, del 1588, Thoinot Arbeau riporta quelle dei francesi e degli svizzeri. Eccole (ancora oggi, la conoscenza della scrittura musicale può partire proprio da qui, dall’alternanza regolare di battiti e di silenzi):

Poco per volta, questi semplici ritmi servirono come base su cui fiorire motivi affidati a strumenti per lo più a fiato, più adatti per la maneggevolezza e per volume sonoro, alle situazioni militari. Un semplice ornamento decorativo? Se lo chiedeva anche un famoso generale dell’esercito di Luigi XIV, Maurizio di Sassonia, nelle sue Memorie militari: «Tutti gli ufficiali fanno suonare le marce senza saperne lo scopo. Credono che sia solo un ornamento militare. Niente di tutto ciò. Il segreto è presto detto: con la musica farete marciare i soldati veloci o lenti come vorrete; la vostra retroguardia non rimarrà mai indietro, tutti i vostri soldati procederanno con lo stesso piede; le conversioni si faranno insieme, con rapidità e con stile; le gambe non si confonderanno. E i soldati non si stancheranno. Tutti hanno visto danzare persone per una notte intera, saltando e agitandosi continuamente. Prendete un uomo, fatelo danzare solo due ore senza musica e vediamo se resiste. I suoni hanno una segreta potenza su di noi, la quale predispone i nostri organi all’esercizio fisico e lo facilita. Cosa mi direte se io vi dimostro che è impossibile caricare vigorosamente il nemico senza questa scansione musicale?». Luigi XIV, era particolarmente attento ai protocolli della vita militare: al suo servizio troviamo i primi illustri compositori di musiche espressamente destinate agli eserciti: André Philidor e soprattutto Jean­ Baptiste Lully, che si prese l’incarico di organizzare la banda reale, formata di percussioni e strumenti ad ancia. Dal campo militare al salotto aristocratico, il passo è breve. La musica strumentale del tempo si arricchisce di pagine «marziali», come sentiamo in Purcell e Couperin. Ma è soprattutto la scena lirica a offrire le più ghiotte occasioni all’inserimento di musiche di marcia. Ne sparge Lully nelle sue tragédies lyriques, poi Rameau e Gluck. Händel ne fa largo uso nei suoi oratori: addirittura in Scipione ne troviamo una che Händel aveva composto originariamente per le Guardie dei Granatieri Reali, in Inghilterra. In tutti questi casi la musica, accompagna le cerimonie, i trionfi, le processioni militari, che si snodano sul palcoscenico. Ma questo, degli usi militari, è solo un capitolo della storia della marcia, o meglio della musica marziale. (continua)

(Amadeus n. 66 maggio 1995)