di Ettore Napoli
In occasione del concerto inaugurale della stagione 2021-2022 l’Orchestra Sinfonica Siciliana diretta da Gianna Fratta, e con la partecipazione di Martha Argerich, ha eseguito come bis tre dei quattro Pièces fugitives per pianoforte op. 15 di Clara Wieck Schumann (1819-1896) nella orchestrazione di Andrea Portera. Terminati nel 1844, fanno parte di un catalogo abbastanza esiguo (una trentina di brani editi, più altrettanti inediti o perduti, tutti per o con pianoforte) che non devono aver contribuito in maniera decisiva alla fama di una pianista dal virtuosismo pari, nientemeno, a quello di Franz Liszt, che così scrive di lei: «Verrà ammirata sempre da tutti, perché effettivamente ha raggiunto una maestria, che per così dire è un marchio immancabile sotto ogni riguardo, grazie a una cura impeccabile e continua, a un’energica volontà e a una completa dedizione estetica. Clara Schumann non è una pianista e una concertistica nell’accezione abituale del termine. Il suo talento ci appare quasi una personificazione dell’oratorio terreno: una Peri, che anela il suo paradiso, in una continua contemplazione mistica del sublime, del bello e dell’ideale».
Clara Schumann: Trio in sol minore per pianoforte, violino e violoncello op. 17
In occasione del concerto inaugurale della stagione 2021-2022 l’Orchestra Sinfonica Siciliana diretta da Gianna Fratta, e con la partecipazione di Martha Argerich, ha eseguito come bis tre dei quattro Pièces fugitives per pianoforte op. 15 di Clara Wieck Schumann (1819-1896) nella orchestrazione di Andrea Portera. Terminati nel 1844, fanno parte di un catalogo abbastanza esiguo (una trentina di brani editi, più altrettanti inediti o perduti, tutti per o con pianoforte) che non devono aver contribuito in maniera decisiva alla fama di una pianista dal virtuosismo pari, nientemeno, a quello di Franz Liszt, che così scrive di lei: «Verrà ammirata sempre da tutti, perché effettivamente ha raggiunto una maestria, che per così dire è un marchio immancabile sotto ogni riguardo, grazie a una cura impeccabile e continua, a un’energica volontà e a una completa dedizione estetica. Clara Schumann non è una pianista e una concertistica nell’accezione abituale del termine. Il suo talento ci appare quasi una personificazione dell’oratorio terreno: una Peri, che anela il suo paradiso, in una continua contemplazione mistica del sublime, del bello e dell’ideale».
Ma tanta considerazione non è ricambiata :«Ieri [31 luglio 1883] è morto Liszt a Bayreuth […]. Era un eminente virtuoso di pianoforte ma pericoloso modello per i giovani, poi era un cattivo compositore, anche in questo pernicioso per molti […]. Le sue opere sono noiose e certamente non tarderanno quanto prima, con la sua morte, a sparire completamente dall’universo». Non sappiamo cosa Liszt a sua volta pensasse di lei come compositrice; ammesso che ne fosse a conoscenza dal momento che a quel tempo se era molto raro che una donna fosse una concertista di fama lo era ancora di più avere un’attività compositiva, anche se pubblicata da editori prestigiosi come Breitkopf & Härtel e Diabelli.Acquarelli e ritratti giovanili rimandano l’immagine di una ragazza dai tratti del viso delicati e uno sguardo amabile anche se distaccato che con il trascorrere del tempo acquista l’espressione e il portamento propri di una signora della borghesia tedesca del secondo Ottocento e di un’artista dedita con severità alla propria arte («Appartengo alla mia arte con anima e corpo» ripeteva spesso). Dietro tanta amabilità e compostezza si cela una donna dal carattere determinato se non ferreo sia nel privato che nella gestione di un’attività artistica intensissima dentro e fuori e casa, salottiera e concertistica per tutta Europa sino a tarda età. Sono le circostanze della vita ad avere plasmato il suo carattere: l’insegnamento inflessibile sin da bambina del padre Friedrich Wieck, pianista e didatta, il tormentato innamoramento a sedici anni con Robert Schumann, per il padre un pianista fallito (vero) e un compositore insignificante che solo dopo una lunga e scandalosa vertenza familiare potrà sposare, gravidanze una dopo l’altra (otto), ménage turbato dall’instabilità mentale del marito sfociata in un tentativo di suicidio nel Reno (1854) e nel ricovero in un manicomio dove muore due anni dopo. Secondo lo scrittore francese Nicolas Cavaillès (Les Huit Enfants Schumann, 2015) a pagare il prezzo più alto di questa pesante situazione sono stati i figli, messi in secondo piano rispetto a Robert e alla musica.
Tutto questo andava conciliato con la musica alla quale non ha mai rinunciato nella triplice veste di didatta, compositrice e soprattutto di interprete di molte pagine prima di Robert Schumann, nonostante l’avversità della critica, quindi di Johanns Brahms dallo stesso Schumann esaltato come il nuovo “astro” della musica contemporanea in contrapposizione alla Zukunftmusik (Musica dell’avvenire) promossa da Liszt e da Richard Wagner. I giudizi di Clara su di loro sono feroci. La Sonata in Si minore del primo, per altro dedicata a Schumann, è «null’altro che un cieco rumore, neppure una minima idea sana, tutto è confuso, impossibile trovarci un collegamento armonico chiaro. È troppo spaventevole». Di Wagner se il Tannhäuser è “atroce” e il Lohengrin “orribile”, Tristan und Isolde è la «cosa più ripugnante che abbia mai visto o sentito in tutta la mia vita». Per lei l’unica, vera, musica, è quella “assoluta”, immune da influenze poetiche e priva di finalità descrittive, che aveva nella linea Haydn – Mozart – Beethoven – Mendelssohn – Schumann la sua manifestazione più alta; si fonda anche su questo pronunciamento estetico il duraturo e profondo legame artistico con Brahms del quale ancora oggi si discute (inutilmente) se, dopo la morte di Robert, abbia avuto anche un risvolto sentimentale.
Vissuta all’ombra di Schumann e di Brahms, che molto devono a lei – in particolare il primo – per la determinazione con la quale l’ha eseguito con scarso successo per tutta la vita e per i consigli dispensati (Concerto per pianoforte e orchestra n. 1 del secondo), è stata anche una testimone preziosa della società e del gusto musicale del tempo attraverso il Diario scritto a quattro mani con Robert, un corposo epistolario, ricordi sparsi a piene mani in pubblicazioni prevalentemente in tedesco. Da tutto questo emerge il ritratto di un’artista più che di una donna, tranne quando parla d’amore. A Robert: «Cosa devo mai fare? Devo piangere, gridare, rimproverare, picchiarti, devo pizzicarti il mento – oh se solo potessi averti subito qui saprei bene cosa fare con te! Sei capace di farmi aspettare così tanto? Poco fa ho visto venire il postino, sono corsa alla finestra e ho fatto un cenno. Lui ha scosso la testa […]. Perché fai così? Sono già passati otto giorni e ho soltanto una tua lettera». Da un certo momento in poi frequenti sono i riferimenti a problemi muscolari alle braccia per affaticamento (gli introiti più cospicui derivano dall’attività concertistica in Germania e in Inghilterra, necessariamente intensa dopo la morte di Robert): «Pensi [al violinista Joseph Joachim], appena arrivata mi busco tali dolori al braccio sinistro che, dopo una notte terribile, il mattino seguente ho dovuto disdire il concerto, un secondo concerto e altre cose ancora» (questa e le altre citazioni provengono da Lettere, diari, ricordi a cura di Claudio Bolzan, Zecchini Editore, Varese 2015). Consultando tutto questo abbondante materiale autobiografico è probabile che non si trovi alcun accenno allo spiritismo praticato con Robert); sullo sfondo si delinea sempre la figura di Robert: «La nonna era di nuovo giù […] D’un tratto l’ammalata ha espresso il desiderio che le suonassi qualcosa. “Suona qualcosa del nonno”. Subito ho suonato i numeri 4, 5, e 6 dagli Intermezzi op. 4 e infine la Romanza in Fa diesis maggiore […] Improvvisamente la nonna ha detto: “Adesso basta. Smetti”» . Questa la testimonianza del nipote Ferdinand nelle Memorie riferite agli ultimi giorni di vita di Clara nel maggio 1896.