di Carlo Delfrati

Amadeus n. 5 aprile 1990: ha inizio la pubblicazione della rubrica “Le Parole della musica” a cura di Carlo Delfrati, uno dei maggiori esperti in didattica musicale e autore di diffusissimi corsi per le scuole medie.
Con questa rubrica si è cercato di chiarire il significato di alcuni dei più frequenti (ma anche dei più insoliti) termini usati dagli addetti ai lavori.
La rubrica Parole della musica si protrae fino al n. 73 del dicembre 1995 e viene sostituita dalla rubrica Scuola cui farà seguito il supplemento ScuolAmadeus.

Un secolo dopo la scoperta dell’America, gli Indios sono ormai diventati in Europa l’oggetto di farse teatrali. In un Intermezzo del 1599, recitato alla corte di Filippo III di Spagna, una banda di convitati: trova il sistema di alleggerire il padrone di casa – un capo indiano – della sua ricca argenteria: la festa è al culmine quando gli ospiti esibiscono il loro numero migliore: la chacona del platillo (la ciaccona del piattino), una danza che esige il passaggio dell’argenteria di mano in mano, fino… alle sottovesti delle opulente compagne di festa e di latrocinio. Non tutti i termini musicali hanno origini nobili. Nello stesso anno il ballo della ciaccona era oggetto delle indignate censure di un moralista, lo spagnolo Juan de la Cerda. Doveva essere una danza ben poco castigata, se arrivava a sottrarre al letto coniugale la protagonista di un’altra commedia del tempo, ammaliata dai nottambuli che la suonavano e ballavano per la via. «El baile de la chacona encierra la vida bona» («Il ballo della ciaccona imprigiona la vita onesta») fa cantare Cervantes alla protagonista della sua Illustre fregona. Va da sé che gli appassionati di questo ballo invertivano la rima e il senso: “Y esta sì que era vida bona. Vàmonos todos a Chacona» («Questa sì che era una bella vita, andiamo tutti a Ciacco­ na»). E Ciaccona ha qui la maiuscola, perché è assimilata a un altro paese dei divertimenti, Cuccagna («Cocana»). Dunque, la ciaccona è una danza festosa ideata alla fine del XVI secolo. La sua musica è a misura ternaria, cantata sulla chitarra e accompagnata da nacchere. Il nome stesso ha forse un’origine onomatopeica, dal «Ciac» delle nacchere. Che sorpresa ritrovarla allora nel Seicento in tante composizioni per organo! I costumi si sono forse rilassati? Non sembra proprio. La verità è che le parole si trasformano molto più lentamente dei fatti. Quella che in origine era una danza scostumata, di lì a pochi decenni è una composizione addirittura severa. La severità le viene dal procedimento conosciuto nel numero scorso: l’ostinato. Quando leggiamo la parola ciaccona, aspettiamoci ormai, senza fallo, una composizione basata sulla ripetizione continua di un frammento melodico, quasi sempre al basso; un ostinato, appunto. Il cambiamento di significato è dovuto a un fenomeno musicale apparentemente banale: si prende l’abitudine di accompagnare la danza, la ciaccona, con un «giro armonico» fisso: un accompagnamento di poche battute, di solito quattro; e da questo accompagnamento si ritaglia la linea del basso, che così «Si cristallizza» e verrà ripetuta sempre uguale. La ciaccona era particolarmente adatta a questa operazione, per la sua semplicità popolaresca, a differenza di altre danze del tempo, dallo svolgimento ben più vario. Il musicista colto trova nell’ostinato della ciaccona una sfida alle sue possibilità inventive. Una delle più meritatamente celebri è di Monteverdi: Zefiro torna (dagli Scherzi musicali 1632). Ben 54 volte Monteverdi ripete il basso ostinato, ma non è detto che l’ascoltatore se ne accorga, tanto ricco e imprevedibile è lo svolgimento melodico delle due voci che dialogano sopra il basso. Alla cinquantaquattresima ripetizione il brano non finisce.
«Zefiro torna e di soavi accenti fa l’aer grato…» dicono fin qui le parole, che celebrano la primavera. Ora il poeta (Ottavio Rinuccini) cambia registro : «Sol io per selve abbandonate e sole… or piango». Monteverdi abbandona il basso ostinato, cambia, da allegro a tre tempi, a lento a due tempi, introduce armonie audaci. Ma manca ancora una parola da musicare, nella poesia di Rinuccini : dopo “or piango “, “or canto”. E il canto dei due tenori conclude il brano su un liberatorio vocalizzo, mentre dallo strumento affiora, per l’ultima volta, il basso di ciaccona.
Altri autori, come Falconieri e Frescobaldi, ci fanno sentire il basso di ciaccona solo in alcune zone del brano. Altri ancora mantengono l’espediente dell’ostinato per tutta la composizione, solo che cambiano il tipo di ostinato da una sezione all’altra. Tutte queste forme passano dall’originaria ciaccona cantata alla ciaccona strumentale (per tastiera, chitarra, arciliuto …). È singolare che, mentre la ciaccona ha origine in Spagna, la maggior fioritura musicale si ha in Italia. Il bisogno di “stabilizzazione formale» proprio dell’età tardo-barocca fa sì che i compositori sempre più tendano a usare il basso di ciaccona per costruirci serie di variazioni (nel Seicento chiamate piuttosto partite), susseguentisi senza interferenze. Così avviene nella monumentale Ciaccona per violino solo di Bach. Il violino solo non può permettersi di ripetere tale e quale il basso e di aggiungerci sopra una ricca polifonia. Ed ecco allora Bach creare il miracolo, includendo il basso in un lussureggiante arabesco che appena lo sfiora. o addirittura lo “sottintende»: ci dà cioè la sensazione di sentirlo anche se fisicamente non c’è. Bach adopera la stessa procedura nella Passacaglia per organo. Anche la passacaglia si basa su un ostinato, e spesso il suo ostinato è lo stesso usato in certe ciaccone. Stiamo entrando in un vespaio. Persino i musicologi finiscono col punzecchiarsi quando devono decidere il confine tra passacaglia e ciaccona. Per noi l’uscita dal vespaio sarà nel prossimo numero, dedicato, va da sé, alla passacaglia.

(Amadeus n. 46 settembre 1993)