di Carlo Delfrati

Amadeus n. 5 aprile 1990: ha inizio la pubblicazione della rubrica “Le Parole della musica” a cura di Carlo Delfrati, uno dei maggiori esperti in didattica musicale e autore di diffusissimi corsi per le scuole medie.
Con questa rubrica si è cercato di chiarire il significato di alcuni dei più frequenti (ma anche dei più insoliti) termini usati dagli addetti ai lavori.
La rubrica Parole della musica si protrae fino al n. 73 del dicembre 1995 e viene sostituita dalla rubrica Scuola cui farà seguito il supplemento ScuolAmadeus.

Una sera di festa, in una corte signorile italiana del Trecento: si danza, si leggono poesie, si canta e si suona. «La musica, come tutte le arti, usciva di chiesa per farsi profana», racconta il Carducci. E ricorda il caso di Giovanni da Cascia, che dopo aver suonato l’organo nel duomo di Firenze, passa «per amor di guadagno» alla corte del tiranno Martino della Scala, e qui entra in concorrenza con Jacopo da Bologna, «maestro peritissimo dell’arte».
Il gusto del tempo incoraggia poeti e musicisti a preferire temi campestri: «Compagnie di gentili donne e scene di amori cittadineschi alla campagna, o divertimenti» come la pesca e soprattutto la caccia. Sono scenette dal vivo, in cui sentiamo risuonare le grida dei cacciatori e l’abbaiare dei cani, all’inseguimento della preda. L’immagine dell’inseguimento cattura l’attenzione dei musicisti, che lo rappresentano in maniera ingegnosa: due cantori eseguono la medesima melodia, ma non simultaneamente; il secondo incomincia a cantare quando il primo ha già iniziato da un pezzo. L’effetto che si ottiene è quello di una «fuga» del primo cantore dalla «Caccia» ­ del secondo. Caccia, oppure fuga, sono proprio i nomi che questo genere di composizione prese in quel tempo. Il termine caccia rimase circoscritto a queste scene campestri del XIV secolo. Giovanni da Cascia, Jacopo da Bologna, e altri come Gherardello da Firenze sono gli autori più celebrati di cacce. Il secolo successivo preferirà argomenti diversi. Ma la tecnica compositiva dell’«inseguimento» non verrà più abbandonata. Fino al Seicento si continuerà a chiamarla fuga.
Nel XV secolo si incomincia a chiamarla anche con un’altra parola: cànone. Il termine fuga verrà dirottato, nel Seicento, nel senso particolare che conosciamo in tante opere di Bach (lo vedremo un’altra volta). Cànone resterà il termine per indicare proprio questa imitazione rigorosa di una voce da parte di un’altra. O di diverse altre. L’arte del contrappunto, che nei secoli XIV-XV raggiunge livelli altamente sofisticati, porta a estendere la tecnica del cànone a un numero maggiore di voci. Non solo, ma si moltiplicano anche le regole in base alle quali le voci devono susseguirsi. La regola più elementare è quella che già era applicata nelle caccie: la seconda voce ripete esattamente la prima. È il cànone all’unisono. Ma la seconda voce può entrare a partire da una nota diversa: la melodia resta identica, ma «Spostata» un po’ più su o un po’ più giù rispetto alla prima. Se la distanza della seconda voce dalla prima è di una terza, il cànone si dice alla terza; se è di una quinta, anche il cànone è alla quinta.
Altre regole riguardano la durata dei suoni. Ci sono cànoni in cui la seconda voce ripete la melodia alterando la durata dei singoli suoni: se la seconda voce procede più lentamente, abbiamo un cànone per aumentazione; se procede più rapidamente, abbiamo un cànone per diminuzione. Fra le tante altre regole, la più singolare è quella che dà origine al cànone cancrizzante; o contrario: la seconda voce esegue la stessa melodia della prima, però partendo dall’ultima nota e retrocedendo («cancrizzante» viene da «Cancer» gambero). Il francese Guillaume de Machaut intitola un suo cànone Ma fin est mon commencement (La mia fine è il mio inizio). Il gusto tardo-gotico per i giochi intellettuali non si ferma qui. Si arriva a comporre cànoni che ammettono tante soluzioni diverse (per esempio all’unisono oppure alla quinta, a piacere degli esecutori). Quando l’età barocca farà rinascere questo gusto, si raggiungeranno limiti impensati, come il Cànone sul Salve Regina di PierFrancesco Valentini, del 1629, che ammette più di duemila soluzioni! In certi casi, l’autore comunica la regola da seguire per la realizzazione del cànone mediante un indovinello: è il caso del cànone enigmatico. La fortuna del cànone, nei secoli, sarà duplice: da una parte se ne impadronisce il gusto popolare, che fa nascere canoni dalla struttura molto semplice (chi non ha provato una volta a cantare Fra’ Martino?). Dall’altra parte il cànone passa nella musica strumentale: e la sua fortuna procede parallelamente con quella del contrappunto. Bach sarà il maestro insuperato del cànone tardo­barocco. Toccherà poi alla sapienza contrappuntistica di Brahms recuperarlo e rilanciarlo all’attenzione dei musicisti del nostro secolo, da Schonberg a Pierre Boulez.

(Amadeus n. 20 luglio 1991)