di Carlo Delfrati

Amadeus n. 5 aprile 1990: ha inizio la pubblicazione della rubrica “Le Parole della musica” a cura di Carlo Delfrati, uno dei maggiori esperti in didattica musicale e autore di diffusissimi corsi per le scuole medie.
Con questa rubrica si è cercato di chiarire il significato di alcuni dei più frequenti (ma anche dei più insoliti) termini usati dagli addetti ai lavori.
La rubrica Parole della musica si protrae fino al n. 73 del dicembre 1995 e viene sostituita dalla rubrica Scuola cui farà seguito il supplemento ScuolAmadeus.

Un pittore davanti al soggetto prediletto: ritratto tante e tante volte, dalle angolature più diverse, vicino o lontano, sotto la luce chiara del mattino o con i colori del tra­ monto, lasciato solo oppure intrecciato ad altri oggetti… È una situazione normale per un pittore, addirittura tipica, quella di fissare tante volte sulla tela lo stesso soggetto. Tante, ma ogni volta diverse in qualcosa. Tante variazioni sullo stesso tema.
Un’altra analogia serve a introdurci a quella che è fra le tecniche fondamentali della composizione musicale, la variazione appunto. Anche molti miti, per esempio degli indios sudamericani, non sono se non rielaborazioni di un unico modello. Cambiano a volte anche i personaggi e le situazioni, ma al fondo non faremmo fatica a ritrovare in tutti la stessa struttura, la stessa logica. Non è un caso che Claude Lévi-Strauss, il grande antropologo, inizi una delle sue opere più note, Il crudo e il cotto, con un capitolo intitolato «tema e variazioni»: il tema è il «mito di riferimento» dello snidatore d’uccelli, dei Bororo dell’Amazzonia; le variazioni che sono sei, sono altrettante trasformazioni del mito dei Bororo. Anche un tema musicale può essere trasformato in un gran numero di modi. Perché si possa parlare propriamente di variazione, è necessario che dietro il motivo modificato si possano percepire i tratti salienti del motivo originale. Le prime «variazioni su tema» storia della musica occidentale risalgono alla fine del XIV secolo. Ma è soprattutto nell’Inghilterra e nella Spagna della metà del Cinquecento che il genere conosce una grande fioritura, rispettivamente nelle hornpypes e nelle diferencias. Qui sentiamo a volte il tema quasi letteralmente ripetuto, con semplici fioriture della linea melodica: un po’ come l’arabesco che lascia trasparire le linee del frontone. E il caso limite che chiamiamo «inferiore», e che ritroviamo per esempio in certi quartetti di Haydn o nella suite dall’Arlesiana di Bizet. Di solito i compositori intervengono più decisamente sulla sostanza musicale del tema. Possono farlo in più modi, a seconda che del tema vengano modificati:
– l’andamento ritmico (per esempio da un ritmo scattante a uno dondolante);
– la linea melodica (un disegno che procede a note lontane fra loro può essere riempito con le note intermedie);
– i colori strumentali (il tema proposto leggermente dai violini può essere riesposto pesantemente dagli ottoni);
– l’armonia (può cambiare l’accompagnamento; può aggiungersi al tema un controtema, o anche più d’uno;
– il modo (da maggiore a minore e viceversa).

Naturalmente è possibile – e avviene frequentemente – che il compositore modifichi e simultaneamente diversifichi questi aspetti.
La storia della variazione è anche storia di un gioco che si fa sempre più complicato, fino a mettere a dura prova le abilità degli spettatori, in questo caso l’orecchio degli ascoltatori. Il gioco consiste nel «camuffare» sempre più arditamente il tema, fino al caso limite che chiameremo «Superiore», iniziato alla fine del secolo scorso da compositori come Strauss o D’Indy e portato al culmine da Schönberg. Qui è totalmente impossibile riconoscere il tema all’ascolto. Si può parlare ancora di variazione, in casi come questo? Di fatto il titolo di variazioni lo danno i compositori stessi. E in certo senso a ragione: il tema originario è presente alla loro coscienza in modo sottinteso, proprio come il «mito di riferimento» è presente nei tanti miti che sembrano a un primo ascolto così diversi dal primo. Un anello storicamente importante della catena che porta dalla variazione barocca e poi classica (in cui il tema è sempre ben riconoscibile) a quella contemporanea è rappresentato da Brahms. Le sue Variazioni su tema di Haydn, come quelle su tema di Haendel, portano il gioco del camuffamento a un livello notevolmente sofisticato di trasformazioni.
In questo caso di Brahms, le variazioni si presentano come un’opera interamente autonoma. È così che le troviamo fin dalle origini di questa pratica. Ma dall’età classica in poi una pagina in forma di «tema e variazioni» è facile trovarla in composizioni più ampie, come sonate o sinfonie: in quest’ultimo caso più facilmente nel secondo movimento. C’è un aspetto essenziale in cui l’analogia tra la composizione musicale in forma di tema e variazioni, e le varianti di un soggetto pittorico, o quelle di un mito, non tiene più. Ogni variante che Giorgio Morandi ci offre dei suoi vasi è un’opera in sé compiuta, è una specie di rifacimento totale dell’opera. In musica invece le diverse variazioni si susseguono l’una all’altra, a formare una collana; e l’opera intera consta della totalità delle variazioni. La genialità di un compositore come Brahms sta anche nel gioco sottile dei rapporti che sa creare tra una variazione e la seguente.

(Amadeus n. 19 giugno 1991)