di Carlo Delfrati

Amadeus n. 5 aprile 1990: ha inizio la pubblicazione della rubrica “Le Parole della musica” a cura di Carlo Delfrati, uno dei maggiori esperti in didattica musicale e autore di diffusissimi corsi per le scuole medie.
Con questa rubrica si è cercato di chiarire il significato di alcuni dei più frequenti (ma anche dei più insoliti) termini usati dagli addetti ai lavori.
La rubrica Parole della musica si protrae fino al n. 73 del dicembre 1995 e viene sostituita dalla rubrica Scuola cui farà seguito il supplemento ScuolAmadeus.

Tra i lavori meno noti di Giuseppe Verdi c’è una singolare cantata del 1862, per tenore, coro e orchestra, che gli fu commissionata dagli organizzatori dell’Esposizione Internazionale di Londra: l’Inno delle nazioni. Il testo di Boito esalta le virtù dei diversi paesi, e ne auspica la pacifica fratellanza. La musica di Verdi non vuole essere da meno delle parole: nella seconda parte della cantata sentiamo uno dopo l’altro gli inni rappresentativi di Inghilterra, Francia (La Marsigliese) e Italia (Fratelli d’Italia). A questo punto, sorpresa: l’inno francese e quello inglese vengono eseguiti simultaneamente. E non basta: per poche battute sentiamo risuonare, in aggiunta ai primi due, anche l’inno italiano! Una fusione perfetta e un simbolo trasparente: l’integrazione fra le musiche viene a suggerire l’armonia fra i popoli. Contrappunto è proprio questo «risuonare insieme» questa «integrazione» di motivi diversi.
L’idea di usare il contrappunto come simbolo di «affratellamento» non era nuova. Uno degli esempi più illustri è nel finale della Nona Sinfonia di Beethoven. I contralti cantano: «Seid umschlungen, Millionen!» («Abbracciatevi, moltitudini!»); contemporaneamente i soprani intonano l’Inno alla Gioia, sulle parole di Schiller: il contrappunto che nasce diventa l’emblema di una gioia fatta coincidere con il modello ideale della fratellanza universale. Altrettanto frequenti sono gli usi umoristici del contrappunto. Nel suo Festino del giovedì grasso, del 1600, Adriano Banchieri inserisce un brano in cui si trovano a dialogare fra loro un cane, un gatto, un cucù e una civetta: tutti insieme, simultaneamente: Contrappunto bestiale è il titolo del brano. E come non ricordare i concerti rossiniani?
«Uno alla volta per carità» protesta Figaro agli amici che sbraitano tutti insieme: contrappuntisticamente, appunto. Rossini gioca su questa equivoca contraddizione fra i linguaggi.
Quella che nei dialoghi parlati è vissuta come una pratica di maleducazione, nel linguaggio musicale diventa una straordinaria risorsa, capace di aggiungere una dimensione in più all’espressione. E non solo nella musica cantata, beninteso. Il contrappunto è una delle tecniche fondamentali di tutta la musica occidentale, vocale come strumentale. E soprattutto la sapienza con cui arriva a concatenare fra loro le voci dell’intreccio contrappuntistico che rende eccezionale l’arte di Bach, tanto strumentale quanto vocale. La fuga, come vedremo in un’altra occasione, è la forma più complessa generata dalla pratica del contrappunto.
Quando si è cominciato a far musica in contrappunto? Probabilmente l’uso si perde nella notte dei tempi. Basta sentire certe musiche tribali del cuore dell’Africa, dove ogni cantore o suonatore partecipa a modo suo, con una sua cantilena, all’invocazione rituale agli Spiriti della caccia o della pioggia. Il termine contrappunto appare nei libri dei teorici occidentali intorno alla metà del XIV secolo, e si riferisce a una pratica che aveva incominciato a diffondersi da noi intorno al 900: la pratica dell’organum. «Punctus contra punctum», spiega il trattato di Petrus detto Palma Ociosa, nel 1336. Un «punctus» (punto) è semplicemente una nota musicale, «Contro» la quale, ossia da suonare simultaneamente, il compositore ne scrive una diversa. Da semplice «nota contro nota» il termine viene esteso a indicare «motivo contro motivo», «melodia insieme a melodia diversa». Un altro termine si usa con un significato pressoché identico: polifonia. Le diversità tra i due termini riguardano piuttosto l’uso dei musicologi che la sostanza: si preferisce usare «polifonia» quando si parla della musica fino al Rinascimento, e «Contrappunto» per quella successiva.  Oppure, con una distinzione più sottile: «polifonia» è la parola che si usa per il «genere» di musica costruito con la tecnica specifica del «Contrappunto». Si diceva all’inizio che Verdi usava il contrappunto nel suo Inno delle nazioni, con un intento simbolico trasparente. Una conferma di questa valenza simbolica viene dalla reazione con cui l’Inno fu accolto dai committenti: che fu di garbato ma secco rifiuto! Gli organizzatori britannici non apprezzarono il dissacrante mélange verdiano tra il maestoso inno del proprio paese e il canto sanguigno dei sanculotti rivoluzionari. Nemmeno i simboli musicali sono del tutto innocui.

(Amadeus n. 17 aprile 1991)