di Carlo Delfrati

Amadeus n. 5 aprile 1990: ha inizio la pubblicazione della rubrica “Le Parole della musica” a cura di Carlo Delfrati, uno dei maggiori esperti in didattica musicale e autore di diffusissimi corsi per le scuole medie.
Con questa rubrica si è cercato di chiarire il significato di alcuni dei più frequenti (ma anche dei più insoliti) termini usati dagli addetti ai lavori.
La rubrica Parole della musica si protrae fino al n. 73 del dicembre 1995 e viene sostituita dalla rubrica Scuola cui farà seguito il supplemento ScuolAmadeus.

«Un brano in cui le voci entrano a una a una, e gli ascoltatori a uno a uno escono!». L’autore di una definizione così irriverente ha preferito restare anonimo. Ma riflette a modo suo l’atteggiamento di un buon numero di melomani, facilmente sconcertati davanti alla severa dottrina che traspare da ogni nota di una fuga tradizionale. In lizza aperta sono scesi anche nomi famosi, come il poeta romantico Robert Browning:
So your fugue broadens and thickens / greatens and deepens and lengthens / till one exclaims: / «But where is the music, the dickens?» (Così la fuga s’allarga e s’ingrossa, / s’accresce, sprofonda e s’allunga, / finché uno esclama:/ «Ma dov’è la musica, diamine?).
La fuga è una forma musicale austera. Ma c’è da credere che il poeta romantico, come l’anonimo melomane, avessero davanti il tipo più tradizionale di fuga: quella insegnata e praticata nelle accademie, la fuga scolastica. Se un ascoltatore appena appena apprezza la musica di Bach, non può che rimanere sconvolto dalla libertà e dalla fantasia con cui questo «maestro massimo della fuga» ha applicato – e disapplicato – le regole scolastiche. Più di un musicologo ha riconosciuto che Bach ha trattato la fuga con un rigore ben minore di quello usato da Mozart o da Beethoven nel trattare la forma-sonata. Quali sono dunque le regole scolastiche, quelle che permettono di costruire un modello «perfetto» di fuga? Perfetto sulla carta, s’intende, raramente per l’orecchio? Il principio fondamentale su cui la fuga si costruisce è quello dell’imitazione. Lo stile è sempre fortemente contrappuntistico, con le voci che si rimandano continuamente i motivi.
Originariamente la parola fuga era adoperata proprio per indicare il genere più rigoroso di imitazione, il cànone. Nel corso del Seicento, da forme imitative più libere, come il ricercare e la canzona, si sviluppò una struttura più rigorosa: una struttura monotematica, cioè basata sulla ripresa continua di un solo tema. Un tema breve, che nelle fughe si preferisce chiamare soggetto. Lo sentiamo subito, dalla prima battuta, in una sola delle diverse voci. Lo riprende una seconda voce, ma non sugli stessi suoni, bensì nella tonalità cosiddetta della «dominante»: per esempio se il soggetto si svolge in do maggiore, la sua replica si presenta in sol maggiore. In questo «gioco di coppia», la prima presentazione del soggetto si chiama proposta, o antecedente, o dux; la seconda si chiama risposta, o conseguente, o comes. Il gioco continua così con le voci successive. Altra regola «intoccabile»: quando la seconda voce entra a eseguire la risposta, la prima non tace, ma continua con un discorso nuovo: il controsoggetto. Il compositore deve perciò pensare i suoi controsoggetti in modo tale da poterli ben sovrapporre, in contrappunto, ai soggetti. Il gioco di proposte/risposte, ripetuto tra tutte le voci, si chiama esposizione. Conclusa l’esposizione, è la volta di una parte libera, anche questa naturalmente contrappuntistica e ricca anche di giochi imitativi. Questa parte si chiama episodio, o divertimento. L’ascoltatore la riconosce facilmente perché qui non si sente il soggetto, e l’andamento complessivo è più «leggero». Ecco, una fuga non è che un’alternanza regolare di esposizioni e divertimenti. La successione dei soggetti tende ad allentarsi, a farsi meno ravvicinata, verso la metà della composizione; ma si fa ancora più serrata verso la fine: è il momento del cosiddetto stretto. I manuali per la composizione delle fughe considerano molti altri artifici, per esempio la presentazione del tema a valori di durata maggiore, oppure minore (tema aumentato o diminuito). Se queste sono le regole principali, proprio il modo di servirsene, di eluderle e di ricombinarle fra loro distingue il compositore geniale da quello scolastico. E proprio qui si coglie l’originalità di Bach. Così legato alla struttura della fuga, da comporre in questo modo gran parte delle proprie opere, e da concludere la propria carriera elevando alla fuga un monumento eccezionale: L’arte della fuga – una specie di enciclopedia delle possibilità costruttive, ed espressive insieme, di una fuga.
La densità contrappuntistica della fuga può disorientare un ascoltatore più portato alla melodiosità della musica dell’Ottocento. Ma i compositori dell’Ottocento, e addirittura del nostro secolo, non hanno saputo più rinunciare al tesoro di tecniche compositive messo a punto nell’età della fuga, l’età di Bach. L’ultimo Beethoven ci lascia, in forma di fuga, alcune delle sue pagine più intensamente ispirate. E Schumann, pensando alla varietà di musiche prodotte dalle differenti civiltà, non trovava omaggio più felice che quello di paragonarla alla fuga, appunto: «La musica del mondo è come una grande fuga in cui le varie azioni alternamente risuonano». «Io credo che il problema della fuga – è il riconoscimento recente di un compositore affermato, Hans Werner Henze – si riproporrà sempre a noi, e sempre chiederà di essere risolto».

(Amadeus n. 21 agosto 1991)