di Carlo Delfrati

Amadeus n. 5 aprile 1990: ha inizio la pubblicazione della rubrica “Le Parole della musica” a cura di Carlo Delfrati, uno dei maggiori esperti in didattica musicale e autore di diffusissimi corsi per le scuole medie.
Con questa rubrica si è cercato di chiarire il significato di alcuni dei più frequenti (ma anche dei più insoliti) termini usati dagli addetti ai lavori.
La rubrica Parole della musica si protrae fino al n. 73 del dicembre 1995 e viene sostituita dalla rubrica Scuola cui farà seguito il supplemento ScuolAmadeus.

Esistono rapporti tra la musica e la gastronomia? Chi sia convinto del contrario dovrà ricredersi, vedendoci seduti sulle lussuose poltroncine di raso, scorrere con gli occhi la lista appena ricevuta: s’incomincia con una sapida misticanza italiana, si continua con una fricassée borgognona seguita da un’ensalada di Toledo, per chiudere con un quodlibet bavarese. Il lettore buongustaio esiterà ad augurarci il doveroso «buon appetito» solo perché vorrà prima saperne di più sull’ultimo piatto: a che ghiottoneria corrisponde un quodlibet? A un pasticcio di Boemia, a un potpourri vallone, o forse a una macedonia, naturalmente greca? E qui si sbaglia: non solo perché nel singolare menù la parola macedonia non ha diritto di cittadinanza (e perciò il redattore si è rifiutato di scriverla in corsivo); ma soprattutto perché il nostro… non è un menù.
La poltroncina su cui siamo seduti non si trova nel ristorante di Gualtiero Marchesi, ma in una sala da teatro, e la lista altro non è che il programma del (molto improbabile) concerto. Misticanza, fricassée, ensalade, pasticci, potpourri, altrettante irresistibili leccornie, sono anche parole musicali, parole adoperate dai musicologi per indicare un singolare procedimento della composizione musicale. Ed è per il rispetto dovuto alla propria disciplina che accanto a termini tanto goderecci i musicologi hanno pensato bene di coniarne uno accademico, il latino quodlibet appunto. Ma anche questa parola seria ha un’origine festaiola, che ci porta diretta al significato del termine. Quodlibet significa «quel che si vuole». Disputationes de quodlibet erano facezie goliardiche in uso nella Germania del Cinquecento, in cui gli studenti si divertivano a infilare l’una dopo l’altra, a caso, citazioni o pensieri su temi grotteschi. E quodlibet musicali saranno per analogia chiamate le composizioni in cui diversi temi musicali preesistenti vengono «infilati» l’uno dopo l’altro, oppure l’uno simultaneamente all’altro. Un lavoro di collage, un miscuglio di motivi musicali: proprio come si fa in cucina, quando si mescolano bocconcini diversi, o si preparano insalate miste.
Il termine quodlibet fu usato la prima volta, in senso musicale, nel 1544, in un volume di Wolfgang Schmeltzl contenente mescolanze di canzoni tedesche. Ma la pratica era più antica, e la sua origine si perde nel buio delle antiche usanze popolari. Cucire insieme materiali musicali diversi appartiene alla logica stessa della composizione musicale. Nel Medioevo la pratica era molto diffusa nelle chiese e nei conventi. Molte melodie gregoriane «crescevano» su se stesse assimilando spunti melodici di altre melodie; certi frammenti letteralmente «migravano» da una melodia all’altra. Questa pratica era chiamata centonizzazione e la parola centone è un’altra che rimarrà nell’uso proprio con questo significato di miscuglio, musicale e non.
La varietà internazionale di termini sinonimi dice che la pratica del quodlibet era universale; e nella stragrande maggioranza dei casi si applicava a situazioni umoristiche. Le prime ensalade spagnole giunte fino a noi erano miscugli di canzoni d’osteria cantate in diverse lingue, con inserimenti di parolacce, onomatopee e nonsense. La fricassée del francese Henri Fresneau era un pezzo formato di un centinaio di brevi citazioni. Ma non mancavano anche usi seriosi del quodlibet. Lo spagnolo Aguilera de Heredia chiamò ensalade alcune sue ampie composizioni organistiche, che presentavano una sequenza di stili musicali diversi. In alcune composizioni polifoniche del tedesco Melchior Franck (XVII secolo), tre o più voci accompagnano la linea del soprano, che non è altro che un quodlibet di motivi popolari del tempo. Per queste forme, i musicologi parlano di quodlibet successivi: forme che confinano con la Fantasia. Esiste anche un’altra forma: il quodlibet simultaneo: qui i motivi presi a prestito non risuonano uno dopo l’altro, ma uno insieme all’altro, in contrappunto. E anche qui, ai prevedibili usi scherzosi si affiancano usi raffinati, come mostrano le tenere composizioni del cinquecentesco Ludwig Senfl.
Queste pratiche non sono circoscritte alla musica antica. Tra i quodlibet più illustri sta il Gallimathias musicum di Mozart e le Variazioni Goldberg in cui Bach intreccia in un quodlibet simultaneo il tema principale con due canzoni popolari tedesche. Nel nostro secolo il quodlibet, in entrambe le sue forme, è stato prediletto dallo statunitense Charles Ives: il Campo del Generale Putnam è un quadretto realistico, sentiamo le tante bande che convergono nella piazza per la grande festa, ognuna con il proprio distinto motivo, preso dal repertorio tradizionale americano. Forse il termine quodlibet è un tantino forbito per questa sagra paesana: potremo sempre ripristinare la vecchia usanza, e chiamare il brano di Ives con un gastronomico neologismo: l’abbuffata.

(Amadeus n. 31 giugno 1992)