In occasione dl decennale della morte di Claudio Abbado, avvenuta a Bologna il 20 gennaio del 2014, iniziamo la pubblicazione di tutti gli articoli dedicati da Amadeus al grande direttore d’orchestra, protagonista della vita musicale del Novecento e di questo primo scorcio del nuovo secolo.
È stato inevitabile che, fin dal primo numero, la nostra attenzione fosse rivolta al Maestro da poco eletto a una delle cariche più prestigiose: quella di direttore dei Berliner Philharmoniker.

(Ottobre 1999 – Amadeus n. 119)

L’omaggio di Abbado al sovrano assoluto

di Duilio Courir

A dieci anni dalla scomparsa di Herbert von Karajan, Salisburgo e i Berliner diretti da Claudio Abbado hanno eseguito in sua memoria, nel Duomo della città, il Requiem di Mozart, preceduto dall’esecuzione di due arie mozartiane e dalle parole dall’arcivescovo Andres Laun che ha parlato con ammirevole semplicità della figura del maestro. Karajan infatti è morto il 16 luglio del 1989, pochi giorni prima dell’apertura del festival che egli doveva inaugurare con il Ballo in maschera verdiano, e che poi fu diretto da Georg Salti. Dieci anni dopo i Berliner sono scesi di nuovo a Salisburgo per rendere omaggio al maestro con il sostegno della Deutsche Grammophon, di una casa giapponese e della Dresdner Bank. È stato un gesto che sentivano di dover compiere e che non ha assunto nessuna forma di celebrazione enfatica, ma piuttosto un atto familiare di raccoglimento, di pensieri e forse di preghiera. Molto di questa scelta si deve a Eliette von Karajan e molto ai Berliner e a Claudio Abbado che ha diretto il Requiem con semplicità e chiarezza sottili, e si trattava della sua prima direzione dell’estremo capolavoro mozartiano.
Niente critici, niente televisione e in generale stampa, lasciati, un poco stizziti, fuori della porta del Duomo con decisione perentoria.

Herbert von Karajan

Le due arie che hanno aperto questo concerto per Karajan officiato nel Duomo di Salisburgo, cantate da una voce giovane e bellissima, ci hanno introdotto in quella ricerca dell’estasi vocale carica però di sentimento e di emozione secondo le riuscite assolute del genio mozartiano, una vocalità che ha una forte venatura di Arcadia ma che svela. accanto a una sensazione di felicità, turbamenti del soffrire settecentesco.
Un silenzio attonito, secondo programma, in una chiesa stracolma di pubblico ha concluso questo concerto salisburghese in doverosa memoria di Herbert von Karajan. A una distanza di tempo sufficiente si può riconoscere come Karajan avesse scatenato in questa città i suoi demoni estetici esercitando un potere artistico illimitato e diritti degni di un sovrano assoluto. Ma, in questa stessa città. Karajan ha vissuto estreme reazioni di velenose polemiche, congiure da operetta che egli pagava con snervanti perdite di tempo e ombre cariche di sinistre meschinità che restano una vergogna degli ambienti musicali salisburghesi. La stessa scelta dei Berliner di venire a Salisburgo non può eliminare ogni oscurità della loro condotta nell’ultima parte dei trentaquattro anni nei quali Karajan è stato direttore, ma è un altro problema. Misurare quello che Karajan ha raggiunto con i Berliner significa parlare di una grandezza e di un’ebbrezza estetica nelle quali orchestra e direttore si sono compresi nel profondo. Ma questa intesa d’anima durata a lungo ha avuto alla fine capitoli di lacerazioni che sembravano indecifrabili come il caso della clarinettista Sabine Meyer stava a indicare. La verità è che la genialità, la sensibilità, le idee di Karajan hanno collimato meravigliosamente e miracolosamente con i pensieri e la cultura di una certa generazione musicale dei Berliner e che neppure nella musica i miracoli si rinnovano tanto facilmente.