di Jacques Lonchampt

(Pubblicato sul n. 5 di Amadeus, aprile 1990)

Il senso del tempo nella musica di Boulez.
Il compositore racconta la genesi dell’opera: l’idea nacque dall’incontro giovanile
con la poesia di Renè Char, nel lontano 1946, quando aveva solo venti anni; venne
poi la versione di Colonia del 1957 che non fu mai rappresentata e quella attuale frutto
di un’assidua ricerca di perfezione formale, dove ritroviamo la sontuosità
cosmica dell’ultimo Boulez..

L’esecuzione di Visage nuptial, presentato a Metz, a Milano e al Festival d’autunno di Parigi nella sua edizione definitiva, il 16 e il 17 novembre 1989, è stata senza dubbio l’avvenimento musicale della fine dell’anno.
Si tratta di un’opera particolare nella produzione di Pierre Boulez, e che ha accompagnato tutta la sua vita di compositore: aveva ventunanni, nel 1946, quando iniziò a comporla ed era destinata a un organico molto ristretto: soprano e contralto, due onde Martenot (si tratta di uno strumento elettronico a tastiere inventato nel 1928 che sfrutta le differenze di frequenze emesse da  due generatori  n.d.r.), pianoforte e percussioni. In seguito Boulez, nel 1957 a Colonia, ne realizzò una grande versione orchestrale, che però, scontento del suo lavoro, rifiutò di rappresentare nel 1981 a Parigi. Infine, in questi ultimi anni, il compositore ha riscritto interamente la partitura utilizzando un organico di notevoli dimensioni: un soprano e un contralto, un coro di soprani e contralti e una orchestra completa di cento musicisti.

Il poeta Renè Char

L’incontro con Char e Klee
Nel corso di una conferenza che si è svolta a Metz, Boulez ha spiegato le ragioni del suo attaccamento a quest’opera e dei suoi successivi rimaneggiamenti: «L’incontro con la poesia di Renè Char è avvenuto al tempo dei miei venti anni, in un momento in cui sentivo il bisogno di uno slancio positivo. La stessa cosa avvenne con Paul Klee nel 1948. Le opere che voi riconoscete e che guardate, parlano di voi nella stessa misura in cui parlano di se stesse.
«Avevo conosciuto Char attraverso alcune poesie apparse in Les Lettres françaises e avevo facilmente ricordato quel nome breve, incisivo, granitico. Poco dopo, ho trovato sui ‘quais’ la raccolta dove si trovava Visage nuptial. È l’unico poema narrativo di Char, una storia d’amore strutturata in maniera formale. Nel 1946 ho incontrato Char dopo aver composto la mia musica. In seguito venne Le Marteau sans maitre. Poi venne il tempo di Mallarmè».

Le tre versioni di «Visage nuptial»
Tuttavia sono rimasto molto legato al Visage nuptial e sempre desideroso di lavorarci ancora sopra. Quando si studia a fondo un testo, lo si rende da un lato più leggibile, dall’altro meno spiegabile. Fin dall’inizio, ho cercato di trascrivere musicalmente l’analisi formale del poema, e la forma che ho ottenuto non è mai mutata attraverso le tre versioni.
Nella seconda, ho voluto esprimere con l’orchestra il sentimento del trascorrere del tempo e, con il coro, allargare l’estensione vocale; ma il mio stile, negli anni ’50,·era radicalmente differente, austero e seriale, e oltretutto mancavo di esperienza con l’orchestra; l’estensione della linea vocale, l’appesantirsi delle note strumentali che attraversavano le voci, tutto mi mostrava che bisognava rifare il lavoro, riannodare i fili e obbedire a un’opera ideale, chiusa; al di sopra e quasi al di fuori di me!… La terza versione è in alcuni punti più lunga e differente come tessitura, profondità, colore e prospettiva, ma il gesto resta fondamentale lo stesso nel rapporto fra la musica e il poema».

Un vasto poema in cinque parti
Nell’attesa di disporre della partitura e delle registrazioni non si può che attenersi, per ora, alle impressioni d’ascolto.
L’opera, che dal 1957 a oggi è stata ampliata fino a raggiungere una durata di trentuno minuti, è un vasto poema in cinque parti sull’attesa, sull’amore, sulla sua consumazione, sulla pace dei sensi, prima del ritorno alla solitudine. Questa composizione ha nel contempo la sontuosità cosmica dell’ultimo Boulez, il lirismo scabro, addirittura brutale, della poesia di Char e l’aspetto molto elaborato, al limite quasi prezioso, a delle strutture vocali del compositore di Pli selon pli, anche se queste appaiono qui molto più morbide.

Un affresco colorato
Il gioco dei solisti e del coro è di una qualità estrema: le voci sorelle nuotano all’unisono attraverso l’onda e i fulgori dell’orchestra, oppure si rispondono, s’interpellano, si sostituiscono le une alle altre, come dei pesci o delle sirene.


Le due donne, al principio quasi timide (nella sezione intitolata Conduite), poi con delle risonanze del coro (Gravite), avanzano in un progredire tenero e sensuale ad ogni istante più intenso, in una foresta di crotali (coppie di piccolissimi piatti metallici che danno un suono argentino e molto acuto n.d.r.), che sfocia nel Visage nuptial. È questo il centro del poema, dell’esaltazione, dell’estasi, un affresco colorato, a tratti contraddittorio, che di volta in volta si fa vivo, ostentato, gioioso e brutale, col supporto di percussioni secche, per aprirsi a movimenti più ampi, calmi e sereni, che lasciano nuovamente scattare l’entusiasmo prima di una conclusione quasi immobile. Ma è impossibile cogliere di primo acchito tutta la ricchezza di quest’orchestra scatenata, vellutata, profonda e calorosa.
Già il tempo fugge, i cori declamano su una nota il poema di Evadné e l’opera si richiude su di un Post­ scriptum con ondate di voci portate e dissimulate che si cancella nell’armonia del mondo e in una sorta di pienezza stellare. Prime audizioni ammirevoli nell’interpretazione dell’Orchestra e dei Cori della BBC, con Phyllis Bryn-Julson ed Elizabeth Laurence soliste, il tutto sotto la direzione apollinea del compositore.