di Carlo Delfrati

Amadeus n. 5 aprile 1990: ha inizio la pubblicazione della rubrica “Le Parole della musica” a cura di Carlo Delfrati, uno dei maggiori esperti in didattica musicale e autore di diffusissimi corsi per le scuole medie.
Con questa rubrica si è cercato di chiarire il significato di alcuni dei più frequenti (ma anche dei più insoliti) termini usati dagli addetti ai lavori.
La rubrica Parole della musica si protrae fino al n. 73 del dicembre 1995 e viene sostituita dalla rubrica Scuola cui farà seguito il supplemento ScuolAmadeus.

Per sua natura, la musica si svolge nel tempo, è l’arte del tempo; lo scrittore William H. Auden l’ha addirittura definita «il mezzo migliore che possediamo per digerire il tempo». Non ci si stupirà allora se la parola tempo ricorre con tanta frequenza nei discorsi che riguardano cose musicali: «Il primo tempo della sinfonia di Mendelssohn è scritto in tempo binario»; oppure: «Il tema è ripreso in un tempo più lento, con gli accenti ben marcati sul primo tempo di ogni battuta...» In queste frasi la parola è usata quattro volte, e ogni volta il significato cambia. Non sempre è facile capire qual è il significato che le assegna chi parla o scrive, perché poche parole musicali sono più ambigue di questa. Tentiamo di mettere un po’ d’ordine.
«Il primo tempo di una sinfonia»: è l’uso meno «tecnico» della parola. È lo stesso uso che si ha nel cinema o nel teatro: indica un’ampia sezione dell’opera; il sinonimo teatrale è «atto». Una sinfonia è di solito in quattro tempi, come una commedia è in tre atti.
Nell’uso più tecnico, invece, tempo indica la scansione regolare, costante, isòcrona, di un brano musicale. Un termine alternativo, meno equivoco, è pulsazione («pulsus» dicevano gli antichi). Come la vita dell’organismo è scandita dal battito regolare del cuore, così il fluire musicale è scandito da un battito costante: più spesso nascosto, implicito. Ma a volte marcato, esplicito: basti pensare alla disco music, con il suo ossessivo martellare.
Nella disco music ogni colpo rende evidente una pulsazione, un tempo: così evidente che anche il ballerino più inesperto non avrà dubbi su come muovere le gambe: ogni tempo è un passo! Il riferimento al battito cardiaco è particolarmente fecondo: la regolarità del battito non è mai meccanica, rigorosa; è elastica.
Così avviene in musica: a parte la disco music, sono rari i casi in cui il tempo è scandito con precisione matematica. E quando un esecutore, o un direttore, ci offre esempi di questo tipo, l’ascoltatore sensibile se ne accorge, e protesta contro la «freddezza» dell’esecuzione. Succede frequentemente ai principianti: «So che si deve battere il tempo quando si impara la musica»- dice Alice al Cappellaio Matto. Il caso opposto è dato da un’esecuzione che elude il rigore con eccessiva disinvoltura. Ovviamente, se questa disinvoltura è richiesta espressamente dall’autore, la prassi è lecita, e ha persino il suo termine tecnico: tempo rubato. Se non si vuole il rubato, basta prescrivere di suonare… a tempo, ovviamente.
Dove il confronto con il cuore non tiene più è nella musica d’avanguardia, o in tanta musica esotica. Qui i suoni fluiscono liberamente, senza farsi guidare da scansioni regolari: l’assenza del tempo-pulsazione è segno di concezioni diverse, meno meccaniche, del… tempo.
Nella musica tradizionale i tempi-pulsazioni si susseguono raggruppati in modo regolare, a due a due, a tre a tre e così via. È un aspetto del linguaggio musicale che approfondiremo una prossima volta. Anche per questi raggruppamenti è adoperata la parola tempo: e così si creano facili equivoci, nei discorsi sulla musica. Gli anglosassoni non cadono in questo trabocchetto, e chiamano «pulse» il tempo-pulsazione; «meter» (metro) il tempo-raggruppamento. Anche in italiano si guadagnerebbe in chiarezza a chiamare metro, o misura, questo particolare aspetto della musica.
Gli anglosassoni adoperano anche la nostra parola tempo, senza tradurla: e con questa passiamo all’ultimo dei significati: la velocità di scorrimento delle pulsazioni. Quando troviamo la parola tempo in un testo inglese, è sempre in questo significato. Il termine velocità è chiaro, non permette equivoci. Ma, vuoi per difendere l’atmosfera un tantino mistica, da iniziato, in cui il musicista ama avvolgere la propria arte, vuoi per il suo orrore verso ciò che sa di macchina, la limpida parola «velocità» non gode fortuna presso i musicografi. Lento, andante, presto … sono i termini con cui il musicista indica la velocità alla quale eseguire la composizione: i termini approssimativi, che lasciano spazio alle interpretazioni più soggettive. Per non parlare poi di termini come vivace, allegro, maestoso… che sembrano riferirsi piuttosto a stati d’animo che a precise indicazioni musicali.
Ma c’è una ragione a tutto: e su questa singolare pratica dei musicisti varrà la pena tornare con calma, lasciando… tempo al tempo.

(Amadeus n. 12, novembre 1990)