di Enzo Fabiani*

(Pubblicato sul n. 7 di Amadeus, giugno 1990)

La casa del padre del pittore francese ogni lunedì sera riuniva
uno scelto gruppo di appassionati della musica.
I bassifondi parigini di Toulouse Lautrtec e la musica tra i canali
veneziani di Suzanne Manet.

La musica ha suggerito agli impressionisti un vero mondo sensibile

Siamo nello studio del pittore Edgar Degas, intorno al 1916. Le tende delle finestre sono abbassate, poiché il maestro, ormai vecchio e semicieco, non sopporta più la luce; e difatti da tempo si è dedicato alla scultura (tema prediletto: le ballerine), che può fare anche a occhi semichiusi.

edgar degas

Degas si lamenta della sua condizione, e rivolto alla modella Pauline, ormai abituata peraltro a quegli sfoghi, le dice: «Ah, figlia mia, quanto è spaventoso non veder più bene! Ho dovuto rinunciare a disegnare e a dipingere per accontentarmi di modellare statue… Ma se la mia vista continua a diminuire, non potrò neanche far questo. Come potrò allora passar e le mie giornate? Morirò di noia e di disgusto!».
Poco dopo, Pauline, stanca di stare su una gamba, chiede di riposarsi e, mentre gira intorno alla stufa, tenta di farsi venire in mente un’aria di minuetto. Non riuscendovi, dice: «Signor Degas, non vorreste insegnarmi quell’aria così carina che cantavate poco fa?» «Ma sì, figlia mia. Te la canto». Degas si piazza davanti a Pauline, e mentre le canta l’aria del minuetto, le fa le riverenze, che la ragazza restituisce ridendo, divertita dello spettacolo comico che offrono: lei, tutta nuda, solo con un paio di sandali ai piedi; e lui, un vecchio dai capelli bianchi, vestito col suo camicione da scultore.

Il miracolo della luce
Questo un aneddoto documentato, grazioso, ma anche commovente, che ci fa capire l’importanza (in questo caso rasserenante) che la musica ebbe per il grande maestro che, proprio per i suoi disegni e dipinti di ballerine, può essere considerato tra gli Impressionisti, e altri artisti di fine secolo, il pittore più sensibile alla musica in sé e allo spettacolo che da essa deriva in varie, dinamiche e variopinte forme; sino a farne uno dei motivi più approfonditi, insieme con il paesaggio della «scoperta» impressionista.

Edgar Degas: Ballerina al Barre

Gli Impressionisti dunque, quasi tutti , amavano la musica: anche per dimostrarsi diversi dai loro colleghi accademici, spesso presi a rievocare nei loro quadroni i fantasmi più o meno eroici del passato; e intendevano perciò la musica come un fatto di cultura stimolante, in nome anche di quel miracolo della luce che essi avevano scoperto e che sentivano in qualche modo di poter «Sposare» appunto con la musica (ma soltanto Debussy riuscì, forse, a comporre musiche vagamente impressioniste per certe «trascrizioni sonore degli scintillii e delle screziature della  pittura  impressionista»).
Fatto sta che diversi di essi, i migliori, amavano e ascoltavano la musica classica, per non parlare della danza e del ballo. Punto d’incontro era la casa del signor De Gas, il banchiere mezzo napoletano padre di Edgar, che ogni lunedì sera riuniva nel suo salotto appassionati e amici, i quali potevano ascoltare solisti anche famosi, perlopiù provenienti dall’Opéra. Gli autori preferiti erano Boccherini, Cimarosa, Mozart e Gluck. Niente Wagner, perché troppo moderno; anche se alcuni l’ammiravano svisceratamente come Cézanne (che in gioventù era stato suonatore di cornetta), Fantin–Latour, lo stesso Edgar e Renoir.

Musicisti e pittori in casa Degas
Questi anzi aveva conosciuto il maestro tedesco a Palermo e gli aveva fatto il ritratto, essendo riuscito a ottenere una posa, sia pure di appena venti minuti. Raccontava Renoir: «Ho amato molto Wagner. Mi ero lasciato prendere da quella specie di fluido appassionato che sentivo nella sua musica; ma un giorno un amico mi portò a Bayreuth, e devo confessare che mi sono annoiato a morte. I gridi delle valchirie vanno benissimo all’inizio; ma se devono durare sei ore, c’è da diventare pazzi; e mi ricorderò sempre dello scandalo che suscitai quando, innervosito oltre misura, accesi un fiammifero prima di essere uscito dalla sala».
Tra i frequentatori assidui di casa De Gas (questo il vero cognome, che il pittore aveva cambiato in Degas) c’erano Edouard Manet e sua moglie Suzanne, entrambi ottimi pianisti; specie la signora, che nel suo proprio salotto dava ogni settimana un concerto con musiche di Beethoven, Schumann e anche di Wagner; mentre il compositore Emmanuel Chabrier, intimo della casa, eseguiva in anteprima le sue nuove creazioni. Suzanne era considerata una vera e propria virtuosa, e aveva un’anima romantica: basti dire che nel 1873, durante una gita a Venezia, volle fare al marito una bella sorpresa. Fece sistemare un pianoforte su una imbarcazione; poi dopo cena invitò il marito a seguirla, e «così, mentre la barca scivolava sui canali illuminati dai lampioni, nel silenzio della notte veneziana, Suzanne suonò barcarole e notturni».

EdgarDegas: Il caffè concerto

Per ritornare a Edgar Degas, peraltro bravo pianista anch’egli, va subito detto che fece del mondo musicale e dei suoi personaggi un motivo fondamentale della sua importante, anche se scontrosa, ricerca pittorica: lo confermano i ritratti del fagottista Désiré Dihau e di sua sorella Maria, pianista, del flautista Altès, del contrabbassista Gouffé, del violoncellista Pillot, che gli servirono per il quadro L’orchestre de l’Opéra, oggi al Musée d’Orsay.
Eppoi le ballerine: basti ricordare il suo famoso Classe di danza del 1874, oggi al Louvre; eppoi Musicisti nell’orchestra, L’étoile, Prova di balletto in scena e cento altri tra oli, pastelli, disegni. Mai, forse, un motivo ha trovato tanta consonanza in un pittore, mai è stato approfondito come questo. Per Degas le ballerine avevano certamente qualcosa di ammaliante e di enigmatico; tuttavia nulla in lui c’era di edonistico, di superficiale, di letterario. Disse infatti da vecchio: «Quando si parla di ballerine, le si immagina riccamente mantenute, coperte di gioielli, proprietarie di casa, carrozza, domestici, come nei romanzi. In realtà, là maggior parte si tratta di povere ragazze che esercitano un mestiere molto duro, e che fanno veramente una gran fatica a guadagnarsi da vivere. Io le conosco molto bene, i sorcetti, fin dai tempi in cui venivano a posare per me…”·

Musica classica e musica popolare
Una curiosità: il motivo delle ballerine salvò Degas in una occasione drammatica. Ricchissimo, frequentatore del gran mondo, collezionista di quadri e mobili, il pittore nel 1876, dimostrando la sua nobiltà d’animo, vendette il palazzo in cui viveva da solo e tutti i suoi averi per aiutare i fratelli che erano falliti. Per mantenersi dovette cominciare a vendere i propri dipinti: specialmente quelli delle ballerine, che piacevano molto ai collezionisti. Allora, per produrre un numero maggiore di quegli «articoli», come lui li definiva, abbandonò l’olio e si mise a lavorare con i pastelli: un mezzo che gli permise di creare i capolavori che sappiamo… Dieci anni dopo Edgar Degas era ritornato, grazie alle ballerine, un ricco signore e un accorto e importante collezionista.
Dalla musica classica a quella popolare, con Auguste Renoir; il quale da ragazzo, prima di fare il decoratore di ceramiche e tendaggi, era stato prima voce bianca nella Corale di Saint-Eustache diretta da Charles Gounod. Con Renòir in specie con il suo capolavoro Le bal du Moulin de la Galette, si entra nel mondo delle grandi balere dei dintorni, allora, di Parigi, rese famose da artisti e scrittori. La Galette (cioè la frittella) sorgeva in un luogo in cui nel 1814 il mugnaio Debray era stato massacrato dai cosacchi per avere cercato, con tre suoi fratelli, di respingerli a fucilate.

Pierre-Auguste Renoir: Bal au moulin de la Galette

Renoir dipinse il suo gran quadro nel giardino del moulin, scegliendo i modelli nella zona, detta La Butte. Dirà il maestro a Vollard: «Ho avuto la fortuna di trovare delle ragazzine che non domandavano di meglio che posare, come quelle che si vedono in primo piano nel mio quadro. Da principio ho avuto il timore che gli amanti, più o meno del cuore, delle modelle, avrebbero impedito alle loro “donne” di venire in seguito nel mio studio. Invece anche loro erano dei buoni diavoli, e riuscii persino a farne posare qualcuno. Non bisogna tuttavia credere che le ragazze si dessero a chiunque le volesse, queste bambine abbandonate per la strada erano talvolta di una scontrosa virtù».
Questo capolavoro non è l’unico quadro «musicale» di Renoir (si ricordino ad esempio Femme au piano del 1875 circa, e Femme jouant de la guitare del 1896-97), ma è certamente il più poetico: qui la musica è nel cuore dei giovani bulletti parigini, delle ragazzine fresche come fiori; una musica non wagneriana certamente, ma semmai  popolare nel senso più alto, che si manifesta in un soggetto trattato, cioè dipinto, non per se stesso ma mediante il colore, sicché qui, come affermava Georges Rivière, Renoir «a cherché et trouvé une note contemporaine». Una festa en plein air, dunque, resa con una gioiosità in cui colori (blu chiaro, blu scuro, nero, rosa) sono degli «a solo» o degli «insieme» che vengono coinvolti senza retorica alcuna, che vivono e vibrano di una profondità genuina, per cui anche la fissità degli sguardi, le labbra appena sorridenti, sono animati da un «fluido appassionato» sì ma gentile, umanamente. Da ricordare infine che questo è il primo quadro in cui Auguste Renoir affronta l’insieme, la coralità, essendosi prima cimentato in figure a sé stanti o in gruppi (come Le cabaret de la Mère Antony del 1866) non così animati, così appunto «Corali».
Ma dopo gli «spettacoli» classici di Edgar Degas e quelli popolari di Auguste Renoir, eccone un terzo in cui pittura e musica sembrano avvinghiarsi per poi esplodere: è quello della grande stagione del Caf’Conc’, ossia del Caffè concerto che ha il suo centro dinamico specialmente nel Moulin Rouge e che ha come dominatore, dal punto di vista diremmo reclamistico, un nano di genio: Henri de Toulouse-Lautrec (1864-1901) nato in una  famiglia di antichissima nobiltà, condannato a vivere per la sua deformità (due cadute impedirono alle sue gambe di svilupparsi in armonia con il resto del corpo) al di fuori dell’alta società, quindi amaramente costretto ad arrancare nei bassifondi, tra le prostitute, le sciantose sensuali e disperate, tenere e violente che si chiamavano Louise Weber detta «La Goulue», Jane Avril, Cha-U-Kao, May Milton, Yvette Guilbert; tra cantautori che si chiamavano Aristide Bruant ed Eugénie Buffet…

Henri de Toulouse-Lautrec: Jane Avril

Toulouse-Lautrec (ma anche altri eccellenti disegnatori come Steinlen e Cappiello) si fa dunque «reclamista» di quel mondo che ha il suo centro nel Moulin Rouge; diventa cioè «maitre de l’affiche» mediante manifesti che non solo propagandano i balli scatenati delle varie vedettes, ma creano un nuovo stile grafico che non è soltanto rappresentativo, ma interpretativo. Si tratta di una vera e propria rivoluzione figurativa, grazie specialmente a Toulouse-Lautrec: il quale ha studiato sì Ingres, Degas, Van Gogh, Bonnard e Valladon, ma ha anche capito la·lezione fondamentale e rivelatrice della pittura giapponese. Insomma, come scriveva Roger Marx, grazie ai manifesti esaltanti di divette e spettacoli «gli stessi muri delle strade cospirano contro il riposo dello sguardo e dello spirito»: dato che ogni passante «è costretto a subire il brioso arabesco del disegno, a gustare la fioritura variegata schiusa tra le pietre grigie».
Per concludere: pensiamo che questi accenni diano modo di capire come negli ultimi decenni del 1800 la musica sia stata un vero lievito per la pittura: almeno come spunto, come occasione, come motivo non soltanto esterno (le ballerine, le balere, le sciantose) ma anche interiore, essendo essa musica (mediante la sua rappresentazione, il suo dinamismo, o ritmo) capace di muovere ed elettrizzare i sentimenti e i corpi, di  suggerire  quella  meravigliosa «piccola sensazione» che secondo Paul Cézanne è alla radice della pittura. Questo miracolo avvenne, come abbiamo visto, in vari modi: ma è certo che senza la musica o classica o popolare, o «effervescente» quale fu nella cosiddetta Belle Epoque, la pittura non sarebbe stata quella che è stata: naturalmente grazie al genio di Degas, Renoir e Toulouse-Lautrec, ma anche grazie alle frenetiche danze della signorina Louise Weber ,detta «La Goulue», e compagnia bella …

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*Enzo Fabiani è critico d’arte di “Oggi” e caporedattore del mensile “Arte” edito da Giorgio Mondadori.