di Luigi Gianoli

(Pubblicato sul n. 1 di Amadeus, dicembre 1989)

Al Teatro alla Scala: la memorabile rappresentazione del 1956 di «Traviata»

Il regista usava ricordare che quest’opera di Verdi era stata immaginata
come il primo melodramma contemporaneo; per questo, a Milano, aveva cercato
di avvicinarlo al nostro tempo, soprattutto disponendo
di una cantante-attrice come la Callas.
Poi, a poco a poco il grande legame tra i due finì per sciogliersi perché gli equilibri
erano instabili come lo sono sempre tra protagonisti portati dal loro
stesso genio ad essere infine egoisti, egocentrici e prepotenti.

Figurini di Lila De Nobili per “Violetta” della Traviata con Maria Callas nell’edizione 1954-1955.

Nel riassettare un armadio ho trovato tre cassette nelle quali, intorno agli anni Sessanta, avevo registrato la voce di amici carissimi, documenti, conversazioni destinate a non so più quale scopo ed uso. Restano, per me, dialoghi in libertà, interessanti e commoventi, come riascoltare una melodia che aveva accompagnato le passioni di anni lontani. Dialoghi che dovevano avere uno scopo, se i miei interventi tendono, troppo spesso, a guidare la conversazione con intromissioni importune e inopportune. È perciò un procedere faticoso come d’un vagone su rotaie sconnesse. Ma, in realtà, molte verità sono rimaste imprigionate nel nastro. Affascinante e però dolente è il dialogo con Luchino Visconti, riascoltare quella sua voce baritonale ricca di sfumature, insaporita da una aristocratica vena di ironia o da taglienti accuse allorché intendeva replicare alle offese di qualche critico o di qualche avversario.

I cavalli, la grande passione aristocratica
Per cominciare parlammo di cavalli, della sua scuderia, dei suoi grandi vincitori, Lafcadio, Sanzio, quella meravigliosa scuderia nella quale fu prigioniero per anni: in piedi al mattino alle cinque per passare in rivista i puledri, allenarli, governarli, iscriverli alle diverse corse, oppure partire per la Gran Bretagna ad acquistare fattrici o yearlings. La passione di Luchino per i cavalli era stata esclusiva come del resto ogni altra attività alla quale dedicava anima e corpo.

Sergio Toppi ha rievocato i protagonisti di questa indimenticabile Traviata.

Ricco, intelligente, capace, si era impegnato per diventare il più abile e illuminato proprietario di cavalli d’Italia, al punto da preoccupare Tesio stesso, il quale temeva l’intelligenza e la ricchezza del giovin signore milanese, l’unico in Italia in grado, a suo avviso, di scalzarlo dal suo predominio. In quella scuderia dai colori bianco-verdi, soleva venire spesso addirittura il principe di Piemonte. Tuttavia l’intensità e forse la monotonia di questo duro e costosissimo impegno finirono per stancarlo. Di colpo Luchino vendette tutto e andò in Francia dove conosciuto Renoir ne divenne amico e quindi aiuto-regista. Così imparò l’arte mentre gli si spalancava davanti agli occhi e all’anima un mondo umano e sociale di cui nel clima dell’Italia fascista non aveva neppure avuto sentore.
Furono anni alacri che determinarono il corso della sua vita.
«Avevo vissuto a Milano in un ambiente antifascista, ma si trattava di un antifascismo mediocre, inattivo. In Francia mi resi conto di aver vissuto con gli occhi bendati, le orecchie tappate. Renoir non fu un maestro, per me, ma un artigiano prodigioso del quale ammiravo la meticolosità, l’umanità, la tecnica e infine la tenerezza con la quale trattava le persone»
Luchino trattava invece la gente da gran signore, da aristocratico, cioè con qualche durezza ma concedendo a chi amava la propria benevolenza, e facendo bene intendere che si trattava di un dono particolare.
Seguii talvolta Luchino regista di commedie, ma il periodo in cui lo incontrai più sovente fu quando egli piombò con tutto il suo genio e la sua autorità nel mondo fatato del melodramma, soprattutto alla Scala. Fu qui che con la sua mano energica e il suo intuito infallibile ebbe il merito di ricreare, dico ricreare, il melodramma, soprattutto quello italiano dell’Ottocento a cominciare dalla Vestale di Spontini. Ma il grande incontro, l’incontro determinante che riportò il teatro d’opera a vertici inauditi fu quello con la Callas.

Il regista Luchino Visconti e Maria Callas.

«Uno strumento unico e raro»
Chi fu per lui la Callas? Un meraviglioso strumento, un essere che sulla scena si librava nel canto a tal punto da diventare leggera come una libellula, espressiva come la Duse, sublime come una dea.
«Era uno strumento magnifico, – insisteva Luchino – unico, raro. Non ho più trovato una cantante tanto dotata, capace di sposare con tanta felicità il canto al gesto, al punto che insieme con lei e con Giulini studiammo la partitura della Traviata nota per nota per attribuire alla frase musicale quel gesto, quell’espressione del volto, quel movimento della figura. E lei voleva essere guidata da principio alla fine.
Qualche volta opponeva una piccola resistenza, ma era questione di farle intendere l’importanza di quel dato movimento. Ci fu solo una incomprensione che non riuscimmo a comporre. Fu il cappellino del terzo atto di Traviata, quel cappellino nero che lei doveva calcare in testa quando decideva di vestirsi, di uscire; cappellino che le faceva il viso come quello di una scimmietta triste. Lo mise per qualche replica, ma trovava il modo di farlo volar via. Più tardi seppi che non lo mise mai.
Pazienza! Era stato suo marito a consigliarla di buttar via il cappellino. Ma quale attrice avrebbe saputo con tanta grazia e fervore e disinvoltura sciogliersi i capelli e buttar via le scarpe nella cabaletta del primo atto! E quale cantante avrebbe saputo superare eroicamente la tessitura impervia del primo atto che esige un soprano di coloratura, la stesura lirica del secondo e quella drammatica del terzo? Nessuna. Provai una Traviata ridimensionata a Spoleto con una giovane pure assai dotata, ma fui costretto a smontarne i vari pezzi e a ridurla a livello di un’operina borghese».

Un lavoro sontuoso
La Callas era in apparenza docile, quasi remissiva di fronte a Luchino. Pareva adorarlo, sembrava suggestionata dal suo fisico, dal suo sguardo, dal suo carattere autoritario e aristocratico insieme. Il loro primo lavoro, La Vestale, riuscì qualcosa di sontuoso e di perfetto. Tutto il secondo atto si elevò nel clima del capolavoro.

Violetta (Maria Callas) e Alfredo (Giuseppe Di Stefano).

E forse per il tipico egoismo da primadonna, la Callas si sentiva offesa dalle premure prodigate da Visconti verso il bellissimo tenore Corelli e l’affascinante direttore Leonard Bernstein. Non aveva il coraggio di mostrare il proprio disappunto a Luchino, ma si sfogava col marito, Meneghini, che eccedette forse nel sottolineare certi risentimenti della Callas verso il regista.
Ammise di essere rimasta turbata allorché, dopo un anno o più, seppe dell’omosessualità di Luchino, il che pare piuttosto strano in quanto Luchino non ne faceva mistero con nessuno. E, del resto, la Callas frequentò ben altri omosessuali, senza mostrare di esserne scandalizzata. Comunque il sodalizio Callas-Visconti continuò a regalarci spettacoli sublimi come la Sonnambula, come l’Anna Bolena. E se la Vestale veniva conclusa con un balletto sfrenato nel segno del gusto napoleonico, la Sonnambula si concludeva dopo il buio che circondava la Callas impegnata nell’aria più alta e dolorosa che sia stata scritta (così la qualificò Strawinsky), investita solo da una colonna di luce, in uno sfavillare di luci cui si aggiungevano quelle dei palchi e del grande lampadario a ricordare il trionfo della prima scaligera dell’opera belliniana.
Ma se Sonnambula non ebbe nulla di realistico e apparve come una stupenda stampa colorata nella quale la Callas si mosse come un «meraviglioso uccello notturno», tuttavia essa si lamentò dell’abito di seta («devo essere una contadina e con questa seta addosso…?») e del coro dei contadini in cilindro e guanti bianchi. Non aveva capito dove Visconti la stava portando, ma in breve si rese conto qual era il personaggio che doveva impersonare: anche la sua voce divenne strana, lunare, con splendori misteriosi mai uditi. Ma tutto mutò in Traviata.

Violetta (Maria Callas) e Giorgio Germont (Ettore Bastianini).

Visconti e la scenografa Lila De Nobili la spostarono in avanti, verso il 1875, l’epoca sognata e più amata da Luchino. E quando gli dissi che con quei costumi e quelle scene sfarzose datate 1875, a volte mi pareva che Verdi, allorché attaccava con certi accompagnamenti e certi accordi, restasse un po’ indietro. «È un’atmosfera, il 1875, che presuppone Debussy», ma Visconti, innamorato di quest’opera, non ne voleva sapere. Perciò non gli riferii il giudizio di Gavazzeni sulla Traviata o meglio sul Verdi di quest’opera: «Purtroppo Verdi era ancora immaturo per un soggetto del genere».

Melodramma contemporaneo
L’ispirazione fu straordinaria, incredibile, ma in qualche momento i vecchi stilemi fanno sentire il loro peso.
«L’opera fu immaginata – ricordava Visconti – come il primo melodramma “contemporaneo“. Ho cercato quindi di avvicinarlo a noi, soprattutto disponendo di una cantante-attrice come la Callas. E a poco a poco, la Callas diventò la Duse, diventò un personaggio proustiano, ogni gesto ottenuto dopo ore e ore di studio per raggiungere la più profonda verità, battuta per battuta. E come dimenticare il momento in cui la Callas, vestita di rosso sanguigno, entra nel salone di Flora e, scorgendo Alfredo, porta terrorizzata, disperata le mani alle guance? E come dimenticare il gesto, nel secondo atto, quando si accinge a scrivere il biglietto fatale, quel gesto dolente, la mano sulla fronte e poi sul petto? E infine le brevi vane speranze dell’ultimo atto e poi la fine con quel “rinasco”, che suona invece come un addio tremendo e lei restare irrigidita dalla morte al proscenio».

Maria Callas al proscenio della Scala al termine della Traviata.

C’è da disperarsi che quell’opera, quella rappresentazione somma non sia stata fermata dall’occhio della televisione, occhio mediocre ma testimone fedele, mentre il ricordo di tanto capolavoro va a poco a poco offuscandosi nella nostra memoria. Con quest’opera, per me, rinacque il melodramma, rinacque quel mondo già polveroso e invece resuscitato allo splendore della sua intramontabile e ardua genialità. Ardua davvero, per cui è necessario disporre di artisti supremi come lo furono Visconti, Giulini, la Callas e quanti le furono attorno, dalla De Nobili alle stesse maestranze che allestirono lo spettacolo.
Si dice che il più grande trionfo la Callas l’ottenne con Anna Bolena, altro capolavoro riesumato proprio per lei e portato da Visconti a un vertice espressivo addirittura travolgente, al punto che quando Anna alza il grido finale contro la «coppia iniqua», la Callas commosse la platea sino ad ottenere una chiamata memorabile: ventiquattro minuti. Visconti sosteneva invece che la sua opera migliore era stata l’Ifigenia in Tauride dove, cancellato ogni riferimento alla Grecia, egli ne aveva fatto il trionfo del Settecento sia nella scenografia sia nei costumi, trasposizione che irritò invece la Callas la quale, da buona greca, pretendeva pepli e colonne doriche. Il ménage artistico e amicale Visconti-Callas continuò per quattro anni, felici ma anche tempestosi: Visconti felice di scoprire valori sempre nuovi nella meravigliosa cantante e attrice, lei innamorata del fascino di lui, lui pronto a tormentarla come usava fare con le persone che amava e che lo amavano, lei gelosa a modo suo, tutti e due protagonisti di spettacoli eccezionali che suscitarono invidia e persino odio.
E così a poco a poco il grande legame tra i due finì per sciogliersi poiché gli equilibri erano fatalmente instabili come lo sono sempre tra dei protagonisti portati dal loro stesso genio ad essere infine egoisti egocentrici prepotenti.

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Luigi Gianoli (Monza 1918-Milano 1998)
Scrittore e critico musicale: È stato critico musicale del quotidiano L’Italia.
Definito “poeta dei cavalli”, ha partecipato alla campagna di Russia nel 3º Reggimento di Cavalleria Savoia, esperienza largamente descritta nel suo romanzo Savoye bonnes nouvelles – L’ultima carica della cavalleria italiana. In seguito ha partecipato alla Resistenza, è stato catturato dai tedeschi riuscendo poi ad evadere di prigione. (Fonte Wikipedia)

La Traviata
Opera in quattro Atti. Musica di Giuseppe Verdi. Libretto di Francesco Maria Piave
Da Alexandre Dumas figlio La Dame aux Camelias.

Violetta Valery…………………….Maria Callas soprano
Alfredo Germont…………….Giuseppe Di Stefano tenore
Giorgio Germont……………..Ettore Bastianini baritone
Flora Bervoix………………Silvana Zanolli mezzo soprano.
Gastone………………………..Giuseppe Zampieri tenore
Baron Douphol…………………Arturo La Porta baritono
Marquis D’ Obigny……………….Antonio Zerbini basso
Annina………………………………Luisa Mandelli soprano
Doctor Grenvil……………………..Silvio Maionica basso
Giuseppe…………………………Franco Ricciardi tenore

Coro e Orchestra del Teatro alla Scala di Milano.
Carlo Maria Giulini, direttore.
Stagione lirica 1955 – 1956.

N.B.: L’ascolto di questa registrazione audio della serata inaugurale della stagione 1955 del Teatro alla Scala di Milano viene consigliata per la sua importanza come documento della carriera di MARIA CALLAS. Nonostante siano state utilizzate le più recenti e sofisticate tecniche di rimasterizzazione nel restauro permangono problemi nel suono.

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Le parole sottolineate ed evidenziate in blu fanno riferimento a un link presente su internet, di cui consigliamo la visione.