di Claudio Casini

(Pubblicato sul n. 1 di Amadeus, dicembre 1989)

Lettere, biografia e brevi schede aiutano a ricostruire la genialità del celebrato compositore di Salisburgo e al tempo stesso offrono uno spaccato ricco di particolari e di notazioni ove sono riproposti gli aspetti salienti di una società e di una famiglia che vivono al centro della cultura di un grande impero plurinazionale. Tra gli aneddoti è facile imbattersi anche in squarci che evocano la leggenda, com’è il caso della morte del Maestro per avvelenamento.

Mozart eterno ragazzo prodigio, poi giovanotto sregolato e inconsapevole del proprio genio – così l’ha rappresentato anche Forman in Amadeus – deve questa fama ai propri familiari, in particolare al padre Leopold e alla sorella Anna Maria. Ecco che cosa pensava Anna Maria di suo fratello:
«Questa creatura d’eccezione, in quanto artista diventò ben presto un uomo; ma l’imparzialità obbliga a dire che, in tutti gli altri aspetti, o quasi, restò sempre un bambino. Non imparò mai a regolare sé stesso; non sapeva tenere casa, né fare uso oculato del danaro, né limitarsi e dar prova di criterio e di razionalità nei piaceri. Gli ci volle sempre una guida, un tutore che lo sostituisse negli affari domestici, dato che il suo spirito era sempre impegnato da preoccupazioni di tutt’altro genere, che lo rendevano incapace di prestarsi a riflessioni serie»
A parte queste considerazioni, in cui si sottintende che Wolfgang senza la presenza del padre aveva vissuto allo sbando, Nannerl fornisce notizie curiose, ad esempio sulle mani di Mozart: «Sembravano fatte soltanto per la tastiera e a tavola riusciva a tagliare la carne nel piatto raramente, con grande fatica e con una grande paura di ferirsi. Abitualmente, chiedeva a sua moglie di rendergli questo servizio». Ed è sempre Nannerl la fonte di altri aneddoti sul giovane Mozart, come quello che racconta quando il padre sorprese il bambino davanti a un foglio pieno di scarabocchi che, a un esame approfondito fra le macchie d’inchiostro, si rivelarono essere un concerto (a Leopold vennero le lacrime agli occhi); quando l’Imperatore Francesco I, a corte, obbligò il piccolo Wolfgang a suonare con un panno posto sopra la tastiera, e poi con un dito solo; quando, all’età di dieci anni, il suono della tromba si rivelò per lui così insopportabile da farlo svenire; quando Wolfgang, a Roma, riscrisse a memoria un mottetto che aveva ascoltato soltanto una volta e che era tenuto rigorosamente segreto nell’archivio della Cappella Sistina.

Mozart bambino in un ritratto d’incerta attribuzione a Pietro Antonio Lorenzoni (1763).

«Era piccolo magro e pallido»
Ma la narrazione di Nannerl si arresta agli anni giovanili; sulla seconda parte della vita di Mozart, quella che si svolse dal 1781 al 1791 fra Vienna e Praga, tace. E si tratta di un silenzio vistoso perché non viene citata, salvo Il Flauto magico, alcuna delle grandi opere teatrali: non Il Ratto dal Serraglio, Le Nozze di Figaro, Don Giovanni, Così fan tutte. Di questo periodo è messa in rilievo soltanto la celebre frase di Haydn al dubbioso Leopold: “Vi dico davanti a Dio e sul mio onore: considero vostro figlio il più grande compositore che io conosca, ha gusto e possiede una cognizione approfondita dell’arte della composizione».
Infine, Nannerl ci dà un ritratto del fratello: «Era piccolo, magro, pallido e la sua fisionomia non rivelava niente di straordinario. Il suo corpo era in movimento, doveva sempre giocherellare con le mani o con i piedi. Era appassionato di biliardo e abitualmente ne aveva uno in casa, sul quale giocava per distrarsi. Anche il suo volto cambiava sempre; esprimeva sempre i suoi stati d’animo in cui le facoltà inferiori una delle quali, limmaginazione, gli consentì di diventare l’incantatore che tutti conoscono – prevalevano nettamente su quelle superiori».
Perché Anna Maria parlò così del fratello? In famiglia erano stati scandalizzati dal fatto che Wolfgang Amadeus avesse abbandonato il sicuro impiego presso la corte dell’arcivescovo di Salisburgo per andarsene a Vienna e darsi alla vita del libero artista; in realtà, tanto Leopold quanto Anna Maria sottovalutavano i successi di Wolfgang nella capitale, dalle grandi opere teatrali ai concerti per pianoforte e orchestra, dalle ultime tre grandi sinfonie agli estremi lavori cameristici. Nell’ottica provinciale di Salisburgo, Vienna era un mondo lontano, pericoloso, perfino corrotto, dal quale giungevano gli echi della nuova vita di Wolfgang.

La Famiglia Mozart.

Leopold non perdonò al figlio di essersi sposato, senza il suo consenso, con una delle ragazze Weber, famiglia che non stimava; nel 1785 si affrettò a recarsi a Vienna per controllare in quali condizioni si trovasse il figlio; e in fondo, non era convinto che Wolfgang fosse davvero un grande musicista, finché Haydn non glielo garantì solennemente. Ad ogni modo, non volle che Wolfgang e sua moglie Costanze si trattenessero a Salisburgo, nell’unica visita che gli fecero.
Anna Maria probabilmente non riuscì mai a convincersi che il fratello, col quale da ragazzina aveva diviso i viaggi e i successi, fosse diventato un compositore adulto e famoso, circondato dalla stima dell’aristocrazia viennese; quanto a lei, aveva finito per sposare un nobile di provincia, vedovo e con numerosi figli, ed era diventata così la baronessa Berchtold zu Sonnenburg; non amava, neanche lei, la moglie di Mozart.
Nel momento in cui Mozart morì, il 5 dicembre 1791, suo padre era scomparso da quattro anni. Della famiglia Mozart, oltre ai due figli, Karl e Wolfgang, restavano le due donne, la sorella e la moglie. Quando Costanze andò a stabilirsi a Salisburgo, fra le due non ci fu alcuna cordialità: sembra che non si salutassero nemmeno. Anna Maria, la Nannerl di un tempo, visse fino al 1829, vedova dal 1801 e cieca dal 1820. Costanze, otto anni dopo la morte di Wolfgang, si era unita con un diplomatico danese, Georg Nikolaus von Nissen, lo sposò nel 1809 e rimase nuovamente vedova nel 1826 (la coppia si stabilì a Salisburgo nel 1820) nel frattempo, grazie ai consigli di Nissen, era diventata l’amministratrice dell’eredità artistica di Wolfgang: morì nel 1842 e fu sepolta vicino a Leopold, il suocero che non l’aveva mai amata.

Haydn, il maggiore estimatore
Tanto Anna Maria quanto Costanze vollero dare la propria versione del grande musicista e il modo migliore fu quello di far scrivere una sua biografia. Anna Maria contribuì alla prima biografia mozartiana, da Friedrich Schlichtteggroll, un erudito che provvedeva a compilare annualmente i necrologi delle celebrità defunte. Costanze si rivolse a un cecoslovacco, Franz Xaver Niemetschek, professore universitario a Praga. Schlichtteggroll fece stampare il suo Necrologio nel 1793, Niemtschek pubblicò la sua biografia nel 1798, con un titolo solenne: Vita del Maestro di Cappella di sua Maestà Reale ed imperiale Wolfgang Gottlieb Mozart e la dedicò significativamente a Franz Joseph Haydn, che era il più grande musicista vivente ed era stato il maggior estimatore di Mozart.
Annamaria aveva risposto a un questionario di Schlichtteggroll, che riprodusse fedelmente le risposte di lei ma che non aveva conosciuto personalmente Mozart. Niemetschek, invece, lo aveva frequentato negli ultimi mesi, quando Mozart si era recato a Praga per mettere in scena la sua ultima opera, La clemenza di Tito, composta per l’incoronazione dell’imperatore Leopoldo II a re di Boemia.
I cittadini di Praga amavano molto il compositore, fin dal 1786, quando Le nozze di Figaro avevano sollevato l’entusiasmo del pubblico e non c’era festa in cui non risuonassero le melodie dell’opera, trasformate e adattate in musica da ballo; avevano accolto entusiasticamente la prima assoluta di Don Giovanni, nel 1787, il cui libretto sembra che avesse avuto, come consulente, Giacomo Casanova, col quale Mozart aveva fatto amicizia proprio nella capitale boema.
Niemetschek pose l’accento su questa parte dell’esistenza di Mozart, citando i suoi successi teatrali a Vienna e a Praga. Ma il passo importante della sua biografia scritta sulla documentazione fornita da Costanze Mozart, riguardo alla composizione del Requiem e la leggenda: «Un messaggero sconosciuto gli consegnò una lettera sen za firma, piena di adulazione cui gli si chiedeva di voler comporre una Messa da morto, in qual tempo e a quale prezzo. Egli rispose allo sconosciuto che avrebbe composto il Requiem per una certa somma e che non poteva fissare esattamente la data del compimento... Poco tempo dopo, il messaggero riapparve e portò non soltanto il compenso richiesto, ma, dato che le esigenze di Mozart erano modeste (la promessa di un notevole supplemento da consegnarsi alla fine del lavoro». Fin qui si trattava di un normale committenza. Ma in seguito, Mozart cominciò ad aver brutti presentimenti, soprattutto quando lo sconosciuto si ripresentò nel momento in cui il musicista stava partendo per mettere in scena a Praga La clemenza di Tito, e chiese a che punto era il Requiem, tirando Costanze per il mantello.
Di ritorno da Vienna, Mozart si era messo a lavorare al Requiem ma venne preso da una profonda malinconia, racconta ancora Niemetschek . Costanze, per distrarlo lo portò al Prater. Seduti su una panchina, con le lagrime agli occhi Mozart disse: «Sento bene che non ho molta vita: mi hanno avvelenato, certo! Non posso togliermi questidea». Ed ecco, nelle pagine di Niemetschek, il racconto di Costanze: «Queste parole caddero come un peso terribile sul cuore della moglie infelice; ella non fu in grado di consolarlo e di convincerlo che non aveva alcun motivo di credere a questi cupi pensieri. Pensando che si delineava una malattia e che il Requiem metteva a dura prova i delicati nervi di lui, ella chiamò il medico e tolse di mezzo la partitura».

Litografia del 1857 di Franz Schramm, intitolata “Momento degli ultimi giorni di Mozart”. Mozart, con in grembo la partitura del Requiem, dà a Süssmayr le istruzioni dell’ultimo minuto. Constanze è di lato e il messaggero sta uscendo dalla porta principale.

Con l’ultimo doloroso sguardo
Il giorno della sua morte Mozart si fece portare la partitura su letto.
«Non avevo predetto che componevo il Requiem per me?» disse, e rilesse attentamente il manoscritto da cima a fondo, con gli occhi bagnati di pianto. Con questo ultimo e doloroso sguardo, col presentimento della morte, egli prese congedo dall’arte che aveva tanto amato. «Adesso mi tocca partire», si lamentava spesso, durante la malattia, «proprio quando potrei vivere tranquillo! Dovrò rinunciare alla mia arte proprio quando, non più schiavo della moda né prigioniero degli speculatori, potrei seguire gli impulsi dei miei sentimenti e scrivere liberamente, senza rendere conto ad alcuno, ciò che il cuore mi detta! Devo lasciare la mia famiglia, i miei poveri figli, nel momento in cui mi sarebbe stato possibile vegliare sul loro benessere!» Morì nella notte del 5 dicembre 1791. I medici non furono d’accordo sulla natura della sua malattia».
In un secondo tempo, Costanze, affidò una più ampia biografia di Mozart al secondo marito, Nissen, e la fece stampare nel 1828. Si trattò di una minuziosa narrazione, basata sui documenti che lo scrupoloso Nissen aveva raccolto in anni di ricerche e che non lasciarono molto spazio alla leggenda creata da Niemetschek e, forse, alimentata da Costanze, in particolare sul fatto che Mozart fosse convinto di essere stato avvelenato. A Nissen, tuttavia, si deve un affascinante episodio ignoto ai precedenti biografi, Schlichtteggroll e Niemetschek. «A Praga, Mozart alloggiava in una locanda chiamata Nuovo Albergo e là ascoltò un bravo arpista, che tutti amavano molto e che, benché suonasse tutto a memoria, divertiva gli ospiti con melodie scelte dalle Nozze di Figaro sulle quali improvvisava di suo. Mozart lo fece venire nella sua camera, gli suonò una melodia al pianoforte e gli chiese se sapeva improvvisare variazioni su di essa. L’arpista rifletté un momento, pregò il Maestro di suonargli un’altra volta la melodia e improvvisò molte variazioni. Mozart si dichiarò. molto soddisfatto e lo compensò lautamente».
Molti anni dopo, nel 1842, l’arpista, che si chiamava Hiusler, ancora viveva ed un libraio praghese fece a tempo a conoscerlo e a raccontare questo incontro, che venne riferito nel 1892 da Rudolph Prohaszka nel suo libro Mozart a Praga. Si tratta dell’ultima testimonianza su chi aveva conosciuto Mozart di persona: «La sua redingote verdastra e lisa gli cadeva fino alle ginocchia ed il vecchio, di bassa statura, la portava aperta, lasciando vedere il gilet logoro, un tempo ornato di fiori, e una vecchia cravatta di seta. Calze nere, scarpe con la fibbia, capelli lisci ravviati all’indietro e annodati da un nastro pendente sulla nuca, completavano il costume d’epoca rococò… un certo Kaiser, buon musicista, lo notò e chiese chi fosse. Quando seppe che quell’uomo aveva conosciuto Mozart e che Mozart aveva composto un pezzo per lui, gli andò vicino, in preda ad una grande emozione... durante la conversazione, l’arpista tirò fuori di tasca un foglio di carta e lo mostrò a Kaiser, ma non se lo fece togliere di mano e lo rimise subito in tasca. Era la composizione di Mozart, Kaiser volle farsela prestare per copiarla, ma si ebbe un rifiuto. L’arpista, che era poverissimo, non voleva disfarsi del manoscritto, nemmeno per un istante e neanche in cambio di una somma sostanziosa. Kaiser gli chiese di suonare la composizione sull’arpa ed il vecchio acconsentì volentieri».

Leopold

Leopold Mozart in un ritratto di Pietro Antonio Lorenzoni.

«non pensare solamente al pubblico che sa di musica ... ma anche a quello che non ne capisce affatto…». Da questo passaggio di una lettera dell’11 dicembre 1780 indirizzata da Leopold Mozart al figlio Wolfgang si potrebbe dedurre che Leopold avesse una concezione, come dire, consumistica del comporre musica e ciò a discapito della qualità. In realtà, Leopold era un pessimista, sugli uomini in generale (in una lettera del 1777 definiti «tutti scellerati») e sui salisburghesi in particolare, secondo lui impregnati di uno spirito comico volgare e poco interessati all’arte musicale autentica.
Ed è sempre a questo pessimismo che si possono far risalire le martellanti sollecitazioni rivolte a Wolfgang perché sfruttasse con serietà e severità d’impegno il proprio talento.
Per molto tempo la critica mozartiana l’ha dipinto come un pedante, imbevuto di presunzione piccolo-borghese, proprio come una reazione alla figura del padre-ideale divulgata dalla critica del primo ‘800. Oggi, i due schieramenti si sono trovati d’accordo nel proporci un Leopold in possesso di solide conoscenze musicali, come dimostrano i giudizi lusinghieri espressi su alcune pagine della sua consistente produzione musicale dai contemporanei (Marpurg) e per il prestigio che lo circondava come didatta grazie al suo Trattato violinistico uscito nello stesso anno della nascita di Wolfgang. E quest’ultimo, del resto, doveva avere una certa considerazione del padre se era a lui, e solo a lui, che confidava dubbi, progetti e problemi artistici. Sul piano dell’affetto certo le cose stavano diversamente, perché in Leopold, mentalità illuminista e, dunque, al fondo, moralista, assieme ad una certa rigidità teutonica.
Non si spiegherebbe altrimenti la sua ostilità al trasferimento di Wolfgang a Vienna, un gesto che non poteva comprendere chi, come lui, apparteneva ancora ad una generazione, l ultima, di musicisti-servitori, e soprattutto quella verso Costanze, dovuta in gran parte al fatto che lei proveniva da una famiglia di artisti di teatro, un ambiente che per Leopold era sinonimo di immoralità e perdizione.

Anna Maria Pertl

Anna Maria Pertl
Anna Maria Pertl era orfana sin dall’infanzia e sposò Leopold a 27 anni; insieme ebbero sette figli dei quali sopravvissero solo Nannerl e Wolfgang. Aveva un carattere estroverso e gioviale ed era in possesso di un’ironia che, a volte, sfociava in quegli scherzi e in quelle battute volgari che tanto piacevano a Wolfgang e che comunque avevano il merito di diradare l’atmosfera seriosa che era imposta da Leopold. Amò il figlio di un amore incondizionato e caldo.
Durante il secondo viaggio a Parigi (1778) non riuscì o, forse, non volle tenere a freno l’irruenza bruciante di Wolfgang che, per imposizione del marito, lei accompagnava nella capitale della cultura europea. E quando in pochi giorni morì, lasciò il figlio, per la prima volta, solo dinanzi ad un’avversità, da lui peraltro affrontata con dignità: «Ho chiesto al buon Dio soltanto due cose: un trapasso sereno per mia madre e forza e coraggio per me; e il buon Dio mi ha esaudito».
Ma pochi giorni dopo scriveva alla cuginetta di Mannheim perché lo raggiungesse per divertirsi insieme. Il rapporto con la vita riacquistava così di colpo quel colore positivo insegnatogli proprio dalla madre e che lo accompagnerà ancora per poco.

“Nannerl”, sorella di Wolfgang Amadeus Mozart.

Nannerl
Quando nacque Wolfgang, Anna Maria Nannerl Mozart aveva cinque anni e la sua educazione al clavicembalo era già iniziata. Un insegnamento condotto personalmente dal padre, con la meticolosità e serietà di sempre, che dette buoni risultati, anche perché Nannerl era di per sé molto dotata; lo dimostra il giudizio dato alcuni anni dopo dal barone FriedricJ Melchior Grimm e riportato dalla rivista Correspondance litteraire, dove si parlava di una «Stupefacente precisione» nell’eseguire anche i pezzi più ardui. Inoltre non va dimenticato che quando nel 1801 ritornò a Salisburgo dopo essere rimasta vedova, Nannerl visse dando delle lezioni di pianoforte che erano molto ambite dalla borghesia locale, onorata che i propri figli studiassero con la sorella «del nostro grande Mozart».
Tentò anche la composizione ma con risultati insignificanti. Sino a quando Wolfgang rimase a Salisburgo i loro rapporti furono ottimi, anche se dopo il 1769 lei non l’accompagnò più all’estero. Come il padre, non condivise le scelte di vita del fratello ma non al punto da non andare, nell’81, a Monaco per la prima di Idomeneo. È probabile che non si sia mai resa conto della sua grandezza, tant’è vero che, quando nel 1792 il primo biografo di Mozart, Schlichtteggroll, le inviò un questionario, lei si limitò a fornire notizie sugli aspetti quotidiani della fanciullezza, senza mai tentare considerazioni artistiche che, forse, non era in grado di avanzare.

Constanze Mozart

Marie Costanze
Delle tre sorelle Weber Maria Costanze era la meno bella e vocalmente la meno dotata, anche se poi canterà da soprano nella Messa in do minore di Mozart. Ma sapeva suonare bene il pianoforte ed aveva una certa vivacità intellettuale. Con Wolfgang riuscì a stabilire un’intesa fatta di sensualità, di ingenuità spruzzata di morbosità e di un comune gusto per la vita vissuta giorno per giorno nell’ambito della propria famiglia. Come si può leggere nel capitolo a lei dedicato da Robbins Landon, il suo ritratto al negativo andrebbe attribuito agli studiosi mozartiani che hanno voluto dare credito totale a Leopold, laddove la realtà potrebbe essere stata esattamente il contrario.
È un fatto, ad esempio, che dopo il 1791 tutta la vita di Costanze sia stata tesa a divulgare e far apprezzare il genio musicale del marito. In questa impresa, che dette risultati tutt’altro che disprezzabili, sia dal punto di vista artistico sia da quello economico, fu molto aiutata dal suo secondo marito von Nissen.
Anzi, da fonti recenti ed abbastanza sicure emerge una Costanze per nulla incolta da un punto di vista musicale, tanto che era a lei che Wolfgang dava da leggere le composizioni appena terminate per poi suonarle e cantarle insieme, come in un improvvisato concertino.
L’inversione di rotta rispetto alla tradizione sembra però troppo brusca per essere pienamente attendibile; ma c’è da credere che Mozart abbia trascorso con lei momenti sinceramente felici; se d’incomprensione della moglie verso il genio musicale di Mozart si deve parlare, allora si tratta di un’incomprensione che pone Costanze sullo stesso piano di quanti erano in possesso di tutte le capacità «tecniche» almeno per intuirle.