Il successo con cui è stata accolta la prima puntata dimostra il gradimento dei nostri lettori che ci incoraggiano a proseguire in quest’impresa che mette a disposizione del pubblico e degli studiosi l’inestimabile patrimonio costituito dagli articoli della rivista che, in trent’anni di attività, ha accompagnato più generazioni di appassionati in un percorso tanto arduo quanto entusiasmante.
La seconda puntata della “Breve storia dell’Opera” di Andrew Porter, è dedicata al Settecento, secolo che in una parola possiamo definire sorprendente.
Secondo “Opera News” Andrew Porter
«Nello scrivere la critica per un’opera che era nuova per lui, come il Macbeth di Bloch, era capace di assistere a tre spettacoli prima di sentirsi qualificato a scrivere su di essa; egli spesso tornava alla produzione, dopo la prima, per perfezionare il suo punto di vista, passando in rassegna praticamente tutta la partitura ed aver esaminato lo spartito.»
Breve storia dell’opera: 2 – Il Settecento
di Andrew Porter
(pubblicato sul n. 8 di Amadeus, luglio 1990)
I maestri dell’aria e del recitativo
Lasciamo che alcune statistiche ci indichino il divampante progresso dell’opera attraverso l’Europa del XVII secolo. Tra il 1679 e il 1717 Alessandro Scarlatti compose circa 115 opere (oltre a molti oratori e serenate, innumerevoli cantate e mottetti). Tra il 1689 e il 1736, Antonio Caldara compose circa cento opere, principalmente per il Teatro di Corte di Vienna (oltre a più di 40 oratori). Tra il 1963 e il 1733, Reinhard Keiser compose oltre cento opere principalmente per il teatro lirico di Amburgo aperto nel 1678. Antonio Vivaldi dichiarò di aver composto 94 opere tra il 1713 e il 1739 (oltre a circa 500 concerti).
Sono cifre sorprendenti. Può una tale produzione in serie conciliarsi con la qualità artistica? È ugualmente sorprendente scoprire – quando le opere dell’inizio del XVIII secolo vengono riprese ai giorni nostri, che la risposta spesso è «sì». Negli ultimi anni io sono stato affascinato dalla tenera Griselda di Scarlatti, incantato dalla bellezza melodica dell’Ifigenia di Caldara, turbato dal dramma pungente del Masaniello e ho ammirato diverse opere di Vivaldi, tra le quali Giustino, Orlando, La fida ninfa, L’Olimpiade: che ognuna esibiva una propria tinta drammatica all’interno di un meraviglioso flusso di invenzione melodica e strumentale. Tra i compositori solo un po’ meno prolifici, spiccano soprattutto, Agostino Steffani, Leonardo Vinci e, di poco successivi, Johann Adolf Hasse e Niccolò Jommelli (creatore di lavori di ampiezza imponente).I – La codifica dell’opera seria
La produzione in serie era facilitata perché si era trovata una formula di successo. A Metastasio si attribuisce la codifica della forma dell’opera seria, ma prima del 1724 quando apparve il suo primo libretto Didone, il programma essenziale era già stato steso una serie di forti situazioni drammatiche ognuna delle quali era introdotta da un recitativo e approfondita da un’aria che si sviluppava liricamente e veniva abbellita con tutte le potenzialità insite nel canto virtuosistico. L’argomento poteva far riferimento alla storia quella di eliminare la frivolezza dalle trame comuni, di concentrarsi su alte questioni e, tra parentesi, di scrivere una poesia migliore di quella dei suoi predecessori e imitatori.
La formula era un po’ rigida ma efficace. Metastasio continuò ad essere messo in scena per tutto il secolo e anche nel successivo (da Meyerbeer a Mercadante). Era facile prendere in giro l’opera seria. Benedetto Marcello lo fece nel suo divertente trattato Il teatro alla moda o sia metodo sicuro e facile per il ben comporre ed eseguire l’opere italiana in musica all’uso moderno, pubblicato circa nel 1720, quindi prima che Metastasio avesse iniziato le sue riforme.
Tuttavia era una buona formula: i più importanti compositori del tempo la impiegarono in opere che la nostra epoca ha ritenuto meritevoli, belle e perfino nobili. Dato che le convenzioni esistevano, esse a volte si potevano disattendere, per confondere le aspettative del pubblico con qualche sorpresa musicale e drammatica.
II – Il genio drammatico di Händel
Una scoperta dei nostri giorni è stato il genio drammatico di Händel che non venne più rappresentato sulle scene liriche dalla fine del XVIII all’inizio del XX secolo ma che oggi viene spesso considerato alla stregua di un Monteverdi, un Mozart e un Verdi per aver saputo penetrar nei profondi meccanismi dei sentimenti dell’uomo. Nel Settecento, per quanto riguarda l’opera, egli non fu una figura di primissimo piano. Dopo un positivo viaggio in Italia fatto in gioventù (dove la sua Agrippina venne rappresentata circa 30 volte nel teatro Giovanni Crisostomo di Venezia nel 1710) egli si stabilì a Londra. La lunga voce del dizionario di musica New Grove sull’Opera seria decanta la maestria di altri compositori citati in precedenza, ma non parla di Händel. Nella nuova storia vivente dell’opera, quella che viene scritta sulle scene odierne, egli spicca invece come un gigante.
III – Gluck: il grande riformatore
Il compositore onorato da tutta la storia operistica è Gluck, il grande riformatore. A Vienna nel 1762, egli realizzò l’Orfeo, la prima opera che può vantare un record continuo di repliche. Gluck aveva composto molte opere serie – numerose delle quali su libretti di Metastasio – prima di affrontare l’Orfeo. II suo «manifesto di riforma» apparve nella prefazione dell’Alceste cinque anni dopo; fu lì che egli scrisse di ricercare «una stupenda semplicità». Nell’Orfeo l’aveva già raggiunta. Qui le gerarchie metastasiane vengono abolite. Al posto di un gruppo ordinato ed equilibrato di virtuosi che cantano le proprie arie c’è Orfeo, l’eroe protagonista delle primissime opere (il primo interprete fu Gaetano Guadagni, che era stato allievo del grande David Garrick e che al tempo, suscitava una certa ostilità perché si rifiutava di ringraziare per gli applausi e di concedere il bis). In questa opera al posto degli intrighi incontriamo un’azione rettilinea. Il pubblico partecipa alle sofferenze, agli sforzi e alle gioie di Orfeo, passa attraverso un’avventura emotiva e spirituale eguagliata solo dall’Orfeo di Monteverdi del 1607, che Gluck sicuramente non aveva sentito.
IV – Le «troppe note» di Mozart
Un secolo e mezzo di storia dell’opera rimase in attesa della riscoperta avvenuta nel XX secolo, ma tra Gluck e i suoi successori vi è una linea diretta. Mozart, Berlioz e Wagner lo veneravano. L’Idomeneo di Mozart (1781 è impregnato di Gluck, anche quando il giovane compositore deciso a mostrare tutte le sue capacità, vi impiega una padronanza delle forme musicali e una ricchezza strumentale non comuni. Nel nostro breve resoconto dell’opera attraverso i secoli, lasciamo che il luminoso genio mozartiano – la sua creazione di personaggi vivi, la sua operosità, la sua flessibilità e ricchezza – venga dato per scontato.
Il Don Giovanni diventò l’opera internazionalmente più autorevole e lasciò il proprio marchio su Rossini, Berlioz, Gounod, Wagner e Verdi. Forse vale la pena di osservare che anche La finta giardiniera e Lucio Silla sembrano pronte a entrare nel repertorio internazionale e che solo nel nostro secolo sono state nuovamente allestite Così fan tutte, Il ratto dal serraglio e La clemenza di Tito. Mozart apre la strada al XIX secolo e all’era del romanticismo, ma per i gusti del XVIII secolo le sue partiture contenevano – come dichiarò l’Imperatore Leopoldo II – «troppe note». I compositori di successo della fine del XVIII secolo esibivano drammi meno intricati e dettagliati e con orchestrazioni più semplici.Lasciamo che questo sguardo all’opera del Settecento termini come è iniziato, con qualche statistica significativa. Il Mozart maturo (da Idomeneo al Flauto magico e alla Clemenza di Tito) compose otto opere. Tra i suoi contemporanei, Antonio Salieri ne compose oltre 40; Domenico Cimarosa (il cui Matrimonio segreto eclissò le Nozze di Figaro di Mozart) ne compose oltre 60, e Giovanni Paisiello (il cui Barbiere di Siviglia fu il precursore di vari Figaro) ne compose oltre cento.
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*Nel prossimo capitolo: Il dramma musicale nell’età romantica