In occasione dl decennale della morte di Claudio Abbado, avvenuta a Bologna il 20 gennaio del 2014, iniziamo la pubblicazione di tutti gli articoli dedicati da Amadeus al grande direttore d’orchestra, protagonista della vita musicale del Novecento e di questo primo scorcio del nuovo secolo.
È stato inevitabile che, fin dal primo numero, la nostra attenzione fosse rivolta al Maestro da poco eletto a una delle cariche più prestigiose: quella di direttore dei Berliner Philharmoniker.

(dicembre 1990 – Amadeus n. 13)

Claudio Abbado e i Wiener Philharmoniker all’auditorium del Lingotto di Torino

di Paolo Gallarati

Grazie ai buoni uffici di Francesca Camerana, la Fiat ha potuto ottenere che Claudio Abbado e i Wiener Philharmoniker venissero in Italia per un solo concerto da tenersi al Lingotto la sera del 24 settembre. Facile immaginare l’attesa da cui l’avvenimento è stato circondato: la caccia ai biglietti d’invito, le code notturne degli spettatori che sono infine riusciti a procurarsi un paio degli ambitissimi posti (impossibile ottenerne più di due a testa). Come previsto, il risultato artistico della serata ha totalmente corrisposto alle attese, anche per merito del vasto ambiente che gli architetti del Lingotto hanno ricavato nella ex sala presse; costruito in legno su pianta rettangolare a gradinate discendenti, questo provvisorio «auditorium» si è rivelato la migliore sala da concerto sinfonico di cui la città di Torino possa per il momento disporre.
Il programma della serata comprendeva la Quarta Sinfonia Romantica di Anton Bruckner: una scelta che, se è parsa agli inizi un po’ riduttiva, si è rivelata poi perfettamente riuscita. La sinfonia, pur non essendo tra le più lunghe di Bruckner, sta benissimo così, isolata nella sua monumentalità come pezzo unico d’un intero concerto.
        Che dire della esecuzione di Abbado, se non decantarne, ancora una volta, la chiarezza, la tensione spasmodica, il risalto plastico delle sonorità, il dinamismo e insieme il senso di perfetta stabilità nella costruzione della grande cattedrale sonora? Nell’insieme un fatto mi ha colpito, tuttavia, sopra tutti: constatare quanto il gesto di Abbado si sia ammorbidito rispetto alla secchezza metronomica di un tempo. Il braccio sinistro fluttua ora nell’aria con una libertà, una leggerezza, una espressività del tutto incondizionate ed è facile immaginare quanto beneficio ne tragga l’esecuzione sul piano del fraseggio, duttilissimo, e della bellezza sonora.
I Filarmonici di Vienna hanno suonato al meglio delle loro possibilità, incantando il pubblico internazionale confluito al Lingotto. A Torino sono passate in questi anni alcune tra le più grandi orchestre del mondo, ma i giudizi erano unanimi nell’ammirare l’incredibile morbidezza degli archi, lo splendore degli ottoni, la cantabilità insieme dolce e penetrante dei legni.
Più che lo spessore tedesco, Abbado sottolinea, in Bruckner, le ascendenze schubertiane, eseguendolo con scioltezza, trasparenza e una poesia naturalistica di immediata presa poetica: pullulando di particolari squisiti, salda e ben costrutta nelle sue linee portanti, l’esecuzione ha messo in luce i pregi della Quarta Sinfonia, rendendone avvincente l’ascolto anche in quelle parti in cui la pletorica ridondanza di Bruckner lascia poco spazio alla fantasia dell’ascoltatore. La serata non poteva trovare nell‘Ouverture di Rosamunda di Schubert una conclusione più felice per freschezza, vivacità, zampillante magia sonora: eseguita inaspettatamente fuori programma, ha fornito l’immagine di un crocevia storico tra Rossini, Weber e quel filone di pensosità introversa che troverà in Bruckner il suo esito naturale. Inoltre, il fatto di averla ascoltata alla fine e non all’inizio, come sarebbe stato nella logica della consuetudine, ha ancora accentuato la pregnanza storica e il gusto di questo poetico accostamento.