di Carlo Delfrati

Amadeus n. 5 aprile 1990: ha inizio la pubblicazione della rubrica “Le Parole della musica” a cura di Carlo Delfrati, uno dei maggiori esperti in didattica musicale e autore di diffusissimi corsi per le scuole medie.
Con questa rubrica si è cercato di chiarire il significato di alcuni dei più frequenti (ma anche dei più insoliti) termini usati dagli addetti ai lavori.
La rubrica Parole della musica si protrae fino al n. 73 del dicembre 1995 e viene sostituita dalla rubrica Scuola cui farà seguito il supplemento ScuolAmadeus.

Scolasticamente, è la combinazione simultanea di tre o più suoni (quando i suoni sono due, il termine corretto è bicordo, oppure intervallo armonico). Le regole scolastiche anno anche fissato due tipi di accordi: consonanti e dissonanti. I primi sono quelli formati da intervalli di terza, quarta, quinta e ottava: per esempio Do + Sol + Do acuto, oppure Do + Mi + Sol. Dissonanti sono gli altri. Questa distinzione serviva nelle epoche in cui l’apprendista compositore era vincolato a un codice di norme rigorose. Ma nelle altre epoche il codice non è altrettanto rigido. Oggi addirittura la distinzione fra consonanza e dissonanza scompare, per essere sostituita dal concetto di agglomerato sonoro, dal carattere più o meno statico, più o meno dinamico. Che non è un modo diverso di chiamare la consonanza e la dissonanza. Un effetto statico infatti può essere ottenuto mediante un cluster, che è l’accordo più dissonante che ci sia; si ottiene infatti eseguendo simultaneamente tutte, o quasi, le note comprese in un segmento di scala. Con questa scelta, la musica contemporanea sembra tornare alle origini della polifonia: quando non contava quali note esattamente formassero l’accordo, ma si cercava un effetto di «magnificazione» liturgica. A partire grosso modo dal 1000, la sensibilità uditiva si modifica lentamente. Il musicista, e chi lo ascolta, è sempre più attento all’effetto prodotto da ciascuna combinazione di suoni: cioè all’ accordo. Certe combinazioni vengono sentite come dissonanti, e o vengono proibite, o sono ammesse solo momentaneamente: un accordo dissonante deve «risolvere» su uno consonante. Si afferma un bisogno sempre più forte di eufonìa, di effetto acusticamente piacevole. Non a caso, è proprio fra il ‘400 e il ‘500 che cambia il significato della parola armonia. Al tempo di Franchino Gaffurio (vd. Amadeus n. 50) si avviava quella rivoluzione nella musica occidentale, che porterà alla nascita dell’armonia moderna, l’armonia tonale. E ci vorranno ancora un paio di secoli prima che l’armonia sia istituita come disciplina autonoma, fondamento degli studi di ogni musicista, con i trattati di Jean Philippe Rameau e di Fux. E con la musica di Haydn.
Dell’antico uso classico, la parola armonia continua a conservare nel Rinascimento il senso più profondo: quello che ogni vocabolario registra quando cita espressioni come «l’armonia del creato», «vivere in armonia», «agire in armonia con le leggi». «Armonia est amœnitas», l’armonia è piacevolezza, leggiamo nel primo dizionario dei termini musicali che si conosca, quello di Johannes Tinctoris, del 1475. È questo concetto di piacevolezza che regolerà la storia dell’armonia, ossia i criteri di formazione degli accordi. Ed è adesso che si fissa il concetto di consonanza e dissonanza. Fino a tutto il ‘300, questo effetto piacevole si ritrova nei bicordi di ottava (es. Do basso + Do alto), di quarta, (Do + Fa) e di quinta (es. Do + Sol). Alle nostre orecchie, questi bicordi suonano «Vuoti», «inconsistenti» (il lettore è pregato di verificare questo esempio e i prossimi con uno strumento). Perché un accordo acquisti sapore per noi, abbiamo bisogno di riempirlo con altri intervalli, a cominciare quello di terza esempio Do + MI + Sol). Questa sensibilità per l’intervallo di terza (e poi per quello detto di settima in particolare per quello detto di settima di dominante: Mi + Sol + Si bemolle) si è formata poco per volta, tanto che le tappe della storia sono anche quelle dell’intera storia della musica occidentale. Il bicordo di terza cambia condizione nell’armonia del Rinascimento.
Ora è sentito come consonante, ma insieme dotato di una carica dinamica che spinge il discorso musicale a procedere fino alla conclusione del brano, in cui solo gli intervalli di quarta, quinta e ottava tornano a essere ammessi. Il trionfo della tonalità moderna, nell’età barocca, è caratterizzato dall’affermazione dell’«accordo pieno» (per esempi Do + Mi + Sol) come accordo perfetto, e dell’abbandono dell’«accordo vuoto», sentito ora come imperfetto (Do + Sol). Accordo perfetto è proprio il suo termine tecnico (si dice anche triade). Si abbandonano le vecchie scale modali: la sensibilità si polarizza su due soli modi, il maggiore e il minore. In questa polarità, l’uso dell’accordo perfetto è determinante: l’accordo dell’esempio precedente (Do + Mi + Sol) fissa alle nostre orecchie il modo maggiore; ma se alla terza maggiore Do + Mi sostituiamo la terza minore Do + Mi bemolle, la triade che risulta (Do + Mi bemolle + Sol) è il segno inconfondibile del modo minore. Possiamo dunque dire che la musica tonale nasce quando la triade non è più sentita come dissonante ma come l’alternativa fondamentale (tra modo maggiore e modo minore) su cui l’intera composizione si basa.

(Amadeus n. 51 febbraio 1994)